In tema di azione di responsabilità esercitata dal fallimento ai sensi degli artt. 2393 e 2394, cod. civ. e 146 L. Fall., la Suprema Corte ribadisce il carattere di inscindibile unitarietà dell’azione promossa dal curatore fallimentare ed afferma che, in mancanza di riscontri più puntali circa una anteriore risultanza dell’insufficienza patrimoniale di cui all’art. 2394, cod. civ. in capo ai creditori sociali, è consentito individuare la dichiarazione di fallimento quale dies a quo cui commisurare la decorrenza a ritroso della prescrizione, in applicazione del principio per cui essa “decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui alla L. Fall., art. 5, derivante, “in primis”, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito. In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione “iuris tantum” di coincidenza tra il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (Cass. 24715/2015).
In tema poi di business judgement rule, il Collegio dichiara in particolare inammissibile la censura di parte ricorrente – risolvendosi in un’impropria critica della sola motivazione – secondo la quale la sentenza oggetto di impugnazione avrebbe erroneamente qualificato come affetta da negligenza e priva di giustificazione ex ante la rilevante scontistica praticata sulle vendite rispetto ai prezzi di listino. Al riguardo, la Corte richiama il principio per cui “in tema di responsabilità dell’amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l’insindacabilità del merito delle sue scelte di gestione (cd. “business judgement rule”) trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia “ex ante”, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell’art. 2392 c.c., – nel testo, applicabile “ratione temporis”, anteriore alla novella introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003 – sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere” (Cass. 15470/2017).
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