Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione si esprime in merito alla data di decorrenza della misura cautelare disposta ai sensi dell’art. 45 del D. Lgs. 231/2001, in base al quale il pubblico ministero può chiedere l’applicazione, quale misura cautelare, di una delle sanzioni interdittive previste dall’art. 9 del citato decreto, quali ad esempio il divieto di contrattazione con la pubblica amministrazione per un determinato periodo di tempo.
Giova a questo punto ricordare che, da un lato, l’art. 48 del D. Lgs. 231/2001 prevede che l’ordinanza con la quale viene disposta una misura cautelare sia“notificata all’ente a cura del pubblico ministero” e, parimenti, l’art. 84 del citato decreto statuisce che tale ordinanza sia comunicata “alle autorità che esercitano il controllo o la vigilanza sull’ente”.
In base all’interpretazione fatta propria dal Tribunale di primo grado, il termine iniziale della misura interdittiva dovrebbe decorrere dalla data di notifica all’autorità di controllo o di vigilanza competente, in quanto, in mancanza, il provvedimento non potrebbe trovare sua specifica attuazione, stante l’impossibilità per tale autorità, in assenza di notifica, di poter concretamente verificare l’esecuzione del provvedimento.
Tuttavia la Corte di Cassazione, argomentando sulla base dell’art. 51, comma 3, del citato decreto e della relativa relazione illustrativa, si discosta da tale interpretazione, precisando invece che la decorrenza del termine iniziale della misura cautelare decorra dalla data di notifica del provvedimento al soggetto sanzionato.
In particolare, da un lato l’art. 51, comma 3, del D. Lgs. 231/2001 precisa che il termine di durata della misura cautelare decorre dalla data di notifica dell’ordinanza, analogamente a quanto previsto per la esecuzione della sanzioni interdittive, dall’altro, la stessa relazione illustrativa ritiene sufficiente la notifica al soggetto sanzionato.
Secondo quanto specificato in quest’ultima, infatti, la notifica all’ente sanzionato sarebbe sufficiente sia all’iscrizione della sanzione nell’anagrafe nazionale, cosi consentendo alle pubbliche amministrazioni ed agli enti incaricati di pubblico servizio di accertarsi della eventuale interdizione, sia ad informare il rappresentante dell’ente che, venuto a conoscenza dell’interdizione, sarà passibile di sanzione in caso di violazione del divieto.
Pertanto, secondo la Corte, ha errato il Tribunale di primo grado ad assumere quale criterio per valutare l’efficacia del provvedimento la comunicazione all’autorità di controllo, in quanto tale comunicazione ha una mera funzione di pubblicità-notizia, finalizzata all’esercizio di poteri di controllo e vigilanza dell’autorità, ma non correlata all’efficacia della misura interdittiva.