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Approfondimenti

La decorrenza del termine di prescrizione nel contenzioso tra investitori e intermediari

4 Giugno 2020

Manuela Malavasi, Partner, Francesca Cimpanelli, Associate, BonelliErede

Indice: 1. Premessa; 2. Computo della prescrizione e azioni c.d. caducatorie; 2.1 Nullità; 2.2 Annullamento; 2.3 Risoluzione per grave inadempimento; 3. Computo della prescrizione e azioni c.d. risarcitorie

 

1. Premessa

Nelle controversie in tema di prestazione di servizi di investimento la prescrizione costituisce una tipica eccezione a disposizione dell’intermediario per resistere a contestazioni aventi ad oggetto investimenti in strumenti finanziari risalenti nel tempo e rivelatesi pregiudizievoli per il cliente a distanza di anni.

In tale contesto, riveste quindi indubbia rilevanza pratica stabilire con esattezza il dies a quo per il computo del termine di prescrizione.

Se infatti, è pacifico che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”, la concreta individuazione di tale momentoha dato luogo – specie nel caso delle operazioni di investimento – a interpretazioni tutt’altro che univoche, influenzate dalla ricerca di un delicato equilibrio tra tutela dell’investitore incolpevolmente inerte, insopprimibile esigenza di certezza dei rapporti giuridici e speculare interesse dell’intermediario a non vedersi sottoposto, per un tempo indefinito, al rischio di contestazioni tardive avanzate dai clienti a seconda del carattere profittevole o meno dell’investimento.

Nella presente analisi verranno dunque illustrate le varie posizioni assunte dalla giurisprudenza nel caso in cui vengano contestate all’intermediario violazioni dei doveri di condotta nella fase genetica o antecedente all’operazione di investimento in strumenti finanziari, sia di carattere formale (assenza del c.d. contratto quadro, mancanza di firma, violazione della disciplina sul c.d. fuori sede), sia di carattere sostanziale (mancata o incompleta informativa sulla natura e sulle caratteristiche dei titoli acquistati, violazione della normativa in tema di appropriatezza e adeguatezza dell’operazione, omessa segnalazione dell’eventuale conflitto di interessi).

A tal fine, occorre anzitutto distinguere a seconda del tipo di domanda formulata dall’investitore e, in particolare, tra:

  1. azioni volte alla declaratoria di nullità, all’annullamento ovvero alla risoluzione del contratto per grave inadempimento (azioni c.d. caducatorie), con conseguenti pretese di restituzione ex art. 2033 c.c. del prezzo corrisposto per l’acquisto del titolo; e
  2. azioni volte a ottenere il risarcimento del danno subito dall’investitore per inadempimento contrattuale dell’intermediario (azioni c.d. risarcitorie).

2. Computo della prescrizione e azioni c.d. caducatorie

2.1 Nullità

Come noto, se da un lato l’azione di accertamento della nullità è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c., dall’altro l’azione di ripetizione ex art. 2033 c.c. delle prestazioni effettuate in forza del contratto dichiarato nullo resta soggetta al termine ordinario di prescrizione decennale. Tale termine, in conformità a quanto statuito dalla Suprema Corte, inizia a decorrere dalla data in cui è stata eseguita la prestazione in adempimento del negozio nullo, vale a dire dalla data del pagamento della somma della quale si chiede la restituzione [1].

Se quindi l’investitore potrà sempre invocare la nullità di un investimento in strumenti finanziari, non potrà più ottenere la restituzione dell’importo corrisposto per l’investimento, decorsi dieci anni dal pagamento.

Discorso a parte va fatto per la peculiare categoria delle nullità c.d. relative, previste in tema di prestazione di servizi di investimento, ossia quelle nullità che, in deroga al principio di cui all’art. 1423 c.c., possono essere fatte valere solo dalla parte nel cui interesse sono stabilite. Si pensi, ad esempio, alla nullità per inosservanza della forma scritta del contratto quadro ex art. 23 TUF oppure alla nullità per violazione della disciplina sull’offerta c.d. fuori sede di strumenti finanziari ex art. 30, comma 7, TUF [2].

Con riferimento a tali fattispecie, il regime della prescrizione è infatti strettamente correlato alla questione – tutt’altro che pacifica – riguardante la disciplina applicabile alle nullità relative.

Secondo un primo orientamento, le nullità relative, pur essendo sottoposte ad un particolare regime sotto il profilo della legittimazione ad agire, conservano tutti i restanti connotati tipici delle nullità c.d. assolute, ivi compreso il profilo della prescrizione [3]. Valgono quindi i principi generali già visti: l’azione di nullità è imprescrittibile ai sensi dell’art. 1422 c.c., mentre la relativa azione restitutoria ex art. 2033 c.c. si prescrive in dieci anni dalla data del pagamento del controvalore del titolo [4].

Aderendo a questa tesi, quindi, una volta decorsi dieci anni dalla data di acquisto del titolo, l’investitore perde il diritto alla restituzione degli importi investiti, tanto che alcune pronunce di merito escludono la permanenza in capo all’attore di un interesse all’accertamento della nullità del contratto ove risulti ormai prescritta l’azione di ripetizione della prestazione [5].

Secondo, invece, un diverso (e, a parere di chi scrive, condivisibile) orientamento, le nullità relative vanno distinte dalle nullità assolute e sono piuttosto assimilabili al regime dell’annullabilità, con tutto ciò che ne deriva sotto il profilo della convalida del contratto e, per quanto interessa in questa sede, dell’applicabilità del termine quinquennale di prescrizione ex art. 1442 c.c. con decorrenza dalla conclusione del contratto.

In questo senso, il Tribunale di Pavia, dopo aver individuato il dies a quo per il computo della prescrizione “nella data di stipulazione ed esecuzione del contratto”, ha dichiarato prescritta anche l’azione di nullità per difetto di forma scritta del contratto quadro ex art. 23 TUF, statuendo che “la norma prevista dall’art. 1422 c.c., che prevede l’imprescrittibilità dell’azione di nullità trova giustificazione nel fatto che la nullità ex art. 1418 tutela l’interesse generale. Nel caso specifico invece l’art 23 d.lvo 58/98 tutela l’interesse di una sola parte – come l’azione di annullabilità – e quindi, in base al principio interpretativo “eadem ratio, idem dispositio”, si reputa che la nullità relativa sia disciplinata dalle norme che regolano l’annullabilità del contratto” [6]. Più di recente, la tesi è stata ribadita dal Tribunale di Ravenna che, dopo aver qualificato la nullità comminata dall’art. 30, comma 7, TUF nel caso di offerta c.d. fuori sede di strumenti finanziari come “una nullità relativa o di protezione, in quanto funzionale alla tutela del solo contraente debole, il cui regime giuridico presenta notevoli affinità con quello dell’annullabilità del contratto”, con sentenza non definitiva ha respinto tale domanda di nullità proprio perché proposta oltre il termine di prescrizione di cinque anni dalla data degli ordini di acquisto [7].

2.2 Annullamento

In tema di azioni c.d. caducatorie merita una breve analisi anche l’azione di annullamento del contratto per vizio del consenso (specie, errore o dolo) conseguente alla mancata o scorretta informativa al momento dell’investimento [8], benché tale rimedio abbia avuto scarsa applicazione nella prassi giudiziaria. Nella maggioranza dei casi, infatti, le domande di annullamento fondate su censure di dolo o errore vengono rigettate in quanto l’investitore non assolve l’onere di provare gli elementi costitutivi della pretesa (si pensi ai raggiri nel dolo), ovvero per difetto di essenzialità dell’errore ex art. 1329, n. 2, c.c. [9], per convalida del contratto ex art. 1444 c.c. [10] o, ancora, per intervenuto decorso del più breve termine quinquennale di prescrizione.

Ciò premesso, con riguardo al profilo della prescrizione e al momento iniziale di decorrenza di tale termine, l’art. 1442 c.c. prevede espressamente che, nel caso di annullamento per errore o dolo, il termine di cinque anni decorre dal giorno in cui sono stati scoperti l’errore o il dolo.

In materia di intermediazione finanziaria, alcune (alquanto opinabili) pronunce di merito hanno identificato tale data sic et simpliciter con le perdite subite dall’investitore e, quindi, con la dichiarazione dello stato di default dell’emittente [11] o con la sua comunicazione [12], a prescindere dall’allegazione e dalla prova, da parte dell’investitore, dell’esatto momento storico di scoperta dell’errore o del dolo.

A nostro avviso più fedelmente al dettato di cui all’art. 1442 c.c., altra parte della giurisprudenza ha invece ha ritenuto che “in assenza di qualsivoglia allegazione attorea in ordine ad una successiva scoperta del dolo o dell’errore (lo si ribadisce, invero, neppure compiutamente allegati dagli attori), il dies a quodella prescrizione dell’azione di annullamento non può che individuarsi nel giorno stesso di stipula del contratto”[13].

2.3 Risoluzione per grave inadempimento

Tra i rimedi potenzialmente esperibili dall’investitore vi è anche l’azione di risoluzione del contratto per inadempimento di non scarsa importanza e la conseguente domanda di restituzione dell’indebito, oltre al risarcimento del danno (artt. 1453 ss. c.c.) [14].

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha sottolineato che il termine decennale di prescrizione dell’azione di risoluzione del contratto decorre, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dal momento dell’inadempimento o comunque dal momento in cui si realizza l’inadempimento di non scarsa importanza [15].

A tale principio si è conformata quasi tutta la giurisprudenza in materia di intermediazione finanziaria che identifica il dies a quo della prescrizione con il momento in cui l’intermediario non ha fornito le dovute informazioni all’investitore e, quindi, con la data di acquisto del titolo contestato [16]. Resta, infatti, del tutto isolata la tesi che ha ritenuto, peraltro senza una puntuale argomentazione, di posticipare il dies a quo prescrizionale alla comunicazione del default dell’emittente anche nel caso di domanda di risoluzione per inadempimento [17].

3. Computo della prescrizione e azioni c.d. risarcitorie

Il problema dell’individuazione del momento iniziale di decorrenza della prescrizione è maggiormente discusso nell’ipotesi in cui l’investitore avanzi una domanda di risarcimento del danno derivante dal dedotto inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario al momento dell’investimento.

In tal caso, il dibattito sull’individuazione del dies a quo del termine decennale di prescrizione ha risentito del contrasto registratosi in seno alla giurisprudenza di legittimità in relazione alla decorrenza della prescrizione del diritto al risarcimento del danno nelle ipotesi di responsabilità contrattuale.

L’impostazione tradizionale, formatasi soprattutto con riguardo a operazioni di investimento legate ai noti crack Argentina, Cirio, Parmalat e Lehman Brothers, àncora la decorrenza della prescrizione al momento della percezione del pregiudizio causato dal colpevole inadempimento del debitore, richiamando l’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimità in tema di responsabilità aquiliana e condiviso da alcune pronunce della Suprema Corte anche con riguardo a fattispecie di responsabilità contrattuale [18].

Sulla scorta di tale principio, il dies a quo per il computo del termine prescrizionale è stato individuato nella data del default dell’emittente, quale momento in cui l’investitore assume contezza dell’inadempimento della banca intermediaria agli obblighi informativi e del pregiudizio derivatone (vale a dire, la perdita del valore dell’investimento) [19].

Nell’ambito di questo stesso indirizzo, vi sono poi alcune sentenze di merito che, seppure con riferimento a fattispecie di responsabilità extracontrattuale, in maniera oltremodo garantista verso l’investitore hanno addirittura posticipato il dies a quo della prescrizione ad un momento successivo al default dell’emittente: nel caso di un investimento in obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina, il termine di decorrenza della prescrizione è stato fissato al momento dell’approvazione dell’offerta pubblica di scambio del 2005, quando era ormai chiaro che lo Stato Argentino non avrebbe pagato le cedole originarie e gli investitori avevano acquisito “una chiara e sicura conoscenza del danno vale a dire della perdita del capitale investito”[20].

Sempre sulla scorta del principio per cui la prescrizione dell’azione di responsabilità contrattuale decorre solo quando il danno sia “oggettivamente percepibile all’esterno e riconoscibile da chi intenda chiederne il ristoro”, in un caso in cui non si era verificato il default dell’emittente si è invece ritenuto che il decorso del termine di prescrizione decennale dovesse computarsi dalla data in cui l’investitore aveva venduto i titoli acquistati realizzando una minusvalenza rispetto al prezzo di acquisto [21].

A ben vedere, l’esame di tali pronunce e la varietà di soluzioni adottate in concreto mostra tutte le criticità della tesi in parola, dal momento che non consente di individuare con esattezza un momento iniziale di decorrenza della prescrizione valido per tutte le operazioni di investimento, essendo lo stesso collegato a eventi del tutto occasionali, quali il default dell’emittente, o, addirittura, a scelte meramente discrezionali dell’investitore, quali la vendita del titolo.

A ciò poi si aggiunga che, in materia di investimenti in strumenti finanziari, naturalmente sottoposti a oscillazioni di valore e al rischio di perdite che si possono realizzare anche a distanza di molti anni, il riferimento al momento in cui l’investitore ha contezza della perdita del valore del titolo ai fini della decorrenza della prescrizione rischia di dilatare i termini di prescrizione potenzialmente sine die e in modo eccessivamente arbitrario (non esistendo peraltro un concetto univoco di perdita), sacrificando così la certezza dei rapporti giuridici [22].

Ed è proprio anche sulla scorta di tali considerazioni che, in direzione diametralmente opposta rispetto all’impostazione tradizionale di cui si è detto, si sta consolidando sempre più il diverso (e condivisibile) orientamento che individua il dies a quo nella data (certa) dell’inadempimento (i.e. nel momento in cui è stata posta in essere la violazione della regola di condotta contestata all’intermediario).

Tale tesi trova la sua principale espressione nella decisione della Corte di Cassazione 28 gennaio 2004, n. 1547, che, con riferimento alle azioni risarcitorie derivanti da inadempimento contrattuale in generale, ha statuito che la ratio di individuare il dies a quo per la decorrenza della prescrizione nel momento in cui il titolare del diritto ha contezza del pregiudizio va circoscritta alle ipotesi di responsabilità aquiliana, per la quale sono stabiliti “ristretti limiti temporali”. Al contrario, in caso di responsabilità contrattuale, il termine prescrizionale va individuato nella data dell’inadempimento, in quanto “una corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c. non consente di procrastinare il dies a quodi decorrenza della prescrizione decennale, rispetto al momento in cui il diritto può essere fatto valere, se non nell’ipotesi d’impedimento legale al detto esercizio e non anche, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge e regolate con gli istituti della sospensione e dell’interruzione, nell’ipotesi d’impedimento di fatto al qual genere va ricondotta l’ignoranza del titolare, colpevole o meno ch’esso sia salvo derivi da un comportamento doloso della controparte come desumibile dalla ratio dell’art. 2941 n. 8, c.c.” [23].

Il principio espresso “in linea generale” dalla Suprema Corte, per quanto ad oggi non univoco nella giurisprudenza di legittimità, negli ultimi anni è stato sempre più diffusamente applicato dalla giurisprudenza di merito in materia di intermediazione finanziaria, che individua nella data di acquisto del titolo il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione risarcitoria derivante dalla violazione dei doveri informativi dell’intermediario.

Al riguardo, si è anzitutto sottolineata l’esigenza di individuare una data certa svincolata dalle oscillazioni di valore dei titoli e dalle scelte meramente discrezionali e arbitrarie dell’investitore. In questo senso si è rilevato che “se si dovesse accedere alla tesi … secondo la quale la prescrizione del diritto a chiedere la risoluzione del contratto e/o il risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale, inizierebbe a decorrere non da quando l’intermediario sia venuto meno al doveroso comportamento di informare il cliente sulla rischiosità dei prodotti finanziari ma dal momento in cui l’investitore abbia contezza del declassamento o comunque della minusvalenza dei titoli sarebbe difficile se non impossibile individuare una data certa, o peggio, si attribuirebbe all’investitore l’arbitrio di indicare una data a suo piacimento. Ciò in quanto un titolo subisce oscillazioni in negativo ed in positivo. Pertanto l’unica data certa da cui poter ricollegare gli effetti sfavorevoli dell’investimento è quella in cui sono state ordinate le operazioni e in cui si sarebbero verificate le carenze informative di cui si dolgono gli attori” [24].

L’opportunità di fissare il momento iniziale della prescrizione alla data dell’acquisto, piuttosto che alle successive, eventuali perdite di valore del titolo è stata ben evidenziata da una recentissima pronuncia della Corte d’Appello di Firenze [25]. Nella motivazione si legge che: la lesione del diritto alla protezione dell’investitore conseguente al mancato assolvimento degli obblighi informativi “non sta nella sorte contingente del valore mobiliare comprato, giacché anche il titolo obbligazionario o azionario inconsapevolmente rischioso potrebbe rilevarsi in pratica vantaggiosissimo, bensì sta nel fatto stesso di aver acquistato un titolo pericoloso senza averne avuto contezza” e, pertanto, “si verifica contestualmente all’acquisto disinformato di titoli rischiosi, non dopo, a seconda che le quotazioni vadano bene o male, o magari per un po’ bene e per un po’ male”. Ne discende che “in casi del genere, il dies a quodella prescrizione va quindi ancorato alla condotta inadempiente lesiva, non ai suoi imponderabili effetti posteriori, tra l’altro soggetto a continue fluttuazioni di mercato che renderebbero del tutto arbitraria l’identificazione del momento produttivo del danno (una perdita del 5% è già danno ai fini del decorso del termine prescrizionale, o ci vuole il 10% o forse il 20%? E se la quotazione del titolo recupera il 4% dopo aver perso il 5% il decorso della prescrizione è orami evidenziato)” [26].

In questa direzione si muove, da ultimo, anche l’Arbitro delle Controversie Finanziarie, che afferma in maniera costante che il termine prescrizionale dell’azione di risarcimento per inadempimento dell’intermediario va computato a decorrere dalla contestata violazione delle regole di condotta gravanti sull’intermediario – e non dall’imprecisato momento in cui il danneggiato ha conosciuto, o avrebbe potuto conoscere, il danno e il suo diritto di farlo valere.

A sostegno di tale tesi, il Collegio ha evidenziato che:

  1. l’impostazione che individua il dies a quo della prescrizione nel momento in cui si è verificato l’inadempimento degli obblighi di legge è ritenuta maggiormente idonea a garantire “l’autentica ratio dell’istituto della prescrizione [che] deve essere ravvisata nel soddisfare un’imprescindibile esigenza della certezza dei rapporti giuridici”, nello stesso tempo “senza in alcun modo ostacolare l’esercizio dei propri diritti da parte degli investitori” [27];
  2. il pregiudizio patrimoniale nella sfera giuridica dell’investitore si produce già al momento della violazione degli obblighi di corretta informazione ed è “rappresentato dalla lesione della libertà negoziale, ossia dal fatto che in conseguenza della non corretta rappresentazione delle caratteristiche dello strumento finanziario egli non si è potuto determinare in maniera del tutto consapevole nelle proprie scelte di investimento” [28];
  3. l’individuazione di un dies a quo diverso rispetto a quello previsto nelle ipotesi di responsabilità aquiliana è giustificato vuoi dal fatto che “nel caso di responsabilità contrattuale il fondamento del diritto al risarcimento è nella violazione di una preesistente obbligazione, ciò che allora rende obiettivamente immediatamente percepibile per il creditore della prestazione inadempiuta sia l’illecito che le sue conseguenze dannose”, vuoi comunque dal fatto “nell’azione di risarcimento del danno da inadempimento si applica l’ordinario termine di prescrizione decennale, sicché meno si avverte – rispetto a quanto accade nell’ipotesi di illecito aquiliano soggetta alla prescrizione breve di cinque anni – l’esigenza di scongiurare il rischio che il danneggiato finisca per non essere in grado di far valere tempestivamente la pretesa” [29];
  4. con specifico riferimento al danno derivante dalla violazione delle regole di condotta nel caso di prestazione di servizi di investimento, “la conclusione di far decorrere il dies a quodella prescrizione della pretesa risarcitoria dalla data in cui si è consumato l’inadempimento dell’intermediario ha anche il pregio di individuare una data ragionevolmente certa di decorrenza, evitando di farla dipendere – secondo una valutazione sostanzialmente arbitraria dell’interprete – dall’accertamento della perdita di valore degli strumenti finanziari, il quale è un dato contingente e di per sé opinabile” [30].

Pertanto, nel caso di violazione degli obblighi informativi riguardanti operazioni di investimento effettuate oltre dieci anni prima rispetto alla contestazione avanzata dal cliente, l’Arbitro accoglie (condivisibilmente) l’eccezione di prescrizione sollevata dall’intermediario e, per l’effetto, respinge il ricorso dell’investitore.

 

[1] Tra le tante, cfr. Cass., 2 dicembre 2016, n. 24653; Cass., 17 luglio 2011, n. 15669; Cass., 19 giugno 2008, n. 16612; Cass., 13 aprile 2005, n. 7651.

[2] La nullità di cui all’art. 23 TUF è stata qualificata come nullità c.d. relativa, intesa a proteggere in via diretta ed immediata non un interesse generale, bensì un interesse particolare dell’investitore, ex ultimis, anche da Cass, Sez. Un., 16 gennaio 2018, n. 898.

[3] Così App. Torino, 19 aprile 2017, n. 858, in Dejure, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Verbania che aveva dichiarato la nullità di alcuni contratti relativi a strumenti derivati per mancanza del contratto quadro e per difetto di causa concreta, rigettando l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dall’istituto bancario e rilevando che “le c.d. nullità relative sono nullità soggette ad un particolare regime quanto alla legittimazione a farle valere, ma a parte ciò – conservano i connotati tipici della nullità. In particolare, ex art.. 1422 c.c. mentre la nullità è imprescrittibile, può prescriversi il diritto di ripetere quanto si è pagato in forza di un negozio dichiarato nullo mediante una sentenza che ha natura non costitutiva, ma di accertamento. Ex art. 1442 c.c. ciò che si prescrive è, invece, l’azione (costitutiva) di annullamento: la sua applicazione non può, dunque, essere estesa ad una fattispecie completamente diversa”. Analogamente, Trib. Bologna, 17 luglio 2017, n. 1546, in Dejure, che con riguardo alla prescrizione dell’azione di nullità per violazione del c.d. fuori sede ex art. 30 TUF ha così statuito “nonostante trattasi di nullità di protezione e quindi nullità relativa che può essere fatta valere solo dal cliente, rimangono fermi i tratti essenziali della figura, cioè la imprescrittibilità dell’azione e la definitività della conseguente inefficacia. L’azione per far dichiarare la nullità non è soggetta a prescrizione, salvi gli effetti della prescrizione dell’azione di ripetizione (art. 1422 cc)”.

[4] Trib. Catania, 14 giugno 2019, n. 2526, in Dejure, che ha rigettato la domanda di nullità degli ordini di acquisto per assenza del contratto quadro, rilevando che “nel caso di specie non vi è dubbio che al momento della notifica dell’atto di citazione (7.4.2017) era ampiamente prescritto il diritto alla restituzione scaturente dalla dedotta nullità” e che “il dies a quodel decorso del termine prescrizionale non può che farsi decorrere dalla data di acquisto dei titoli in questione, ovvero dal 1.10.2005”; Trib. Roma, 8 settembre 2017, n. 16759, in Dejure, secondo cui la prescrizione della domanda di restituzione delle somme investite in conseguenza della nullità del contratto quadro ex art. 23 TUF “non può che decorrere dalla data in cui sono state effettuate le operazioni di acquisto delle obbligazioni Buenos Aires per cui è causa”; Trib. Pescara, 21 marzo 2017, n. 40, in Dejure, che ha dichiarato prescritta la domanda di restituzione derivante dalla nullità di acquisti di obbligazioni della Repubblica Argentina per carenza di forma scritta ad substantiam del contratto quadro, essendo decorsi dieci danni “dal giorno dei pagamenti, corrispondenti a quelli degli acquisti dei titoli”; Trib. Milano, 20 gennaio 2015, n. 713 (confermata da App. Milano, 1° giugno 2017, n. 2424), in www.expartecreditoris.it, che ha rigettato la domanda restitutoria derivante dalla riferita nullità dell’ordine di acquisto di obbligazioni Argentina, rilevando che il termine di prescrizione dell’azione di ripetizione dell’indebito “deve essere fatto risalire … al giorno in cui essendo stato eseguito il non richiesto acquisto dei bonds argentini, è stato effettuato l’indebito pagamento”.

Nello stesso senso si veda anche l’orientamento dell’Arbitro delle Controversie Finanziarie che, pur senza prendere espressa posizione sulla particolare natura delle nullità relative, ha dichiarato prescritte le pretese restitutorie conseguenti alla delibazione di nullità del contratto avanzate dopo oltre dieci anni dalla data dell’investimento contestato. Ex multis: Decisione n. 1745 del 23 luglio 2019; Decisione n. 182 del 12 gennaio 2018; Decisione n. 89 del 25 ottobre 2017, inwww.acf.consob.it.

[5] In questo senso, cfr. Trib. Catania, 14 giugno 2019, n. 2526, cit., e Trib. Roma 8 settembre 2017, n. 16759, cit., entrambe riferite ad un’ipotesi di nullità ex art. 23 TUF.

[6] Trib. Pavia, 25/26 gennaio 2013, in www.ilcaso.it.

[7] Trib. Ravenna, 12 ottobre 2017, n. 975, in Società, n. 1/2018, pp. 51 ss., con commento di V. Salafia, il quale, nel condividere la sentenza in commento, ha rilevato che nel caso dell’art. 30 TUF la deroga all’art. 1418 c.c. “è solo apparente, perché essendo il vizio riscontrato, dipendente dal difetto nel contratto di un elemento accidentale, la legittimazione a farlo valere in giudizio spettava solo al soggetto interessato, cioè al cliente, in conformità a quanto dispongono gli artt. 1441 e 1442 c.c., i quali prevedono l’azione di annullamento, entro cinque anni dalla sottoscrizione delle contratto […]Esattamente perciò il Tribunale ha ravvisato nella nullità indicata nell’art. 30 sopra indicato una sorta di annullabilità”. In giurisprudenza, a favore dell’assimilabilità delle nullità relative all’annullamento sotto il profilo della convalida del contratto ai sensi dell’art. 1444 c.c., cfr. anche Trib. Verona, 28 giugno 2012, Trib. Verona, 23 marzo 2010 e Trib. Verona, 1° ottobre 2009 (pronunciata il 17 aprile 2009), tutte edite in www.ilcaso.it.

[8] Nel senso dell’annullabilità del contratto per dolo della banca, v. Trib. Pinerolo, 14 ottobre 2005, in Dejure; Trib. Milano, 28 maggio 2005, in Banca borsa tit. cred., 2007, 4, II, 499 (s.m.).

[9] Con riguardo al profilo dell’essenzialità dell’errore si è affermato che la convenienza economica delle operazioni finanziarie non può rilevare ai fini della valutazione del vizio della volontà, poiché tale circostanza attiene alla sfera dei motivi che hanno spinto la parte alla conclusione del contratto e non all’oggetto del medesimo. In questo senso, v. Trib. Bari, 17 febbraio 2016, in Dejure, che, con riguardo alla domanda di annullamento per dolo o errore essenziale, ha rilevato che “le informazioni che devono essere preventivamente fornite dall’intermediario ai sensi della normativa in tema di intermediazione finanziaria non riguardano direttamente la natura e l’oggetto del contratto, ma gli elementi utili per valutare la convenienza dell’operazione e non sono quindi idonee ad integrare l’ipotesi di mancanza di consenso; deve, pertanto, essere esclusa la annullabilità del contratto per errore nel caso in cui l’investitore, come in questo caso, si dolga di aver acquistato non un titolo diverso, o con caratteristiche diverse, da un altro, ma un titolo privo del positivo andamento sperato, così prospettando una valutazione che rimane confinata nel campo dei motivi”; Trib. Perugia, 28 novembre 2014, in www.ilcaso.it; Trib. Udine, 1° aprile 2014, in Dejure.

[10] Per l’affermazione secondo cui l’incasso delle cedole costituisce un mezzo di convalida dell’azione di annullamento, v., ex multis, Trib. Forlì, 28 novembre 2007, in www.ilcaso.it.

[11] Così Trib. Grosseto, 28 luglio 2015, n. 697, in Dejure, che, con riferimento all’acquisto di titoli argentini, ha statuito: “per le domande svolte dagli attori in via principale ed in ulteriore subordine (azioni di annullamento dei contratti) deve essere rilevata fondatezza della eccezione di prescrizione ex art.1442 c.c., tempestivamente eccepita dalla convenuta, essendo il dies a quodel termine prescrizionale quinquennale individuabile nel default argentino (23.12.2001)”.

[12] Così Trib. Ancona, 12 gennaio 2015, n. 31, in Dejure, ove sempre con riguardo ad un investimento in titoli argentini si legge che: “per le …domande … di annullamento e risoluzione, il dies a quo deve essere individuato con riferimento al “giorno in cui il diritto può essere fatto valere” (art. 2935 c.c.). Nel caso di specie, in difetto di altri elementi, tale momento va identificato con la comunicazione della dichiarazione di default dello Stato emittente, avvenuta il 15.7.2002, poiché, in difetto di elementi diversi, deve ritenersi che solo in quel momento l’attore acquisì piena consapevolezza circa i propri diritti”.

[13] Trib. Teramo 30 settembre 2015, n. 1296, in Dejure. Nello stesso senso, cfr. anche Trib. Perugia, 28 novembre 2014, cit., che ha dichiarato prescritta (oltreché infondata e soggetta a convalida) la domanda di annullamento essendo decorsi cinque anni dalla sottoscrizione dell’ordine di acquisto.

[14] Tra le altre, cfr. App. Bari, 29 agosto 2017, n. 1179 e Trib. Milano, 9 aprile 2009, entrambe edite in wwwilcaso.it.

[15] In giurisprudenza, cfr. Cass., 29 luglio 2003, n. 11640. In dottrina, cfr. G. Sicchiero, La risoluzione per inadempimento, in P. Schlesinger, D. Busnelli; Il Codice Civile. Commentario, Milano, 2007, pp. 471 ss., per cui “la decorrenza del termine di prescrizione da quando il diritto possa essere esercitato nei termini anzidetti, è peraltro connessa con il tipo di domanda proposta, ovvero, in questa ipotesi, quella di risoluzione: per la quale, ha sottolineato la giurisprudenza, il presupposto consiste nell’inadempimento grave e non in un inadempimento qualsiasi. Di qui la regola per cui “in tema di prescrizione del diritto potestativo alla risoluzione del contratto per inadempimento, il termine decorre, ai sensi dell’art. 2935 c.c., non dal momento in cui si verifica un qualunque inadempimento, ma soltanto da quello in cui si realizza un inadempimento di non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse della controparte […]”.

[16] Cfr., ex multis, Trib. Firenze, 18 settembre 2019, in Pluris, per cui “il termine di prescrizione per esercitare l’azione di risoluzione decorre dal momento in cui si realizza l’inadempimento di non scarsa importanza che, in ipotesi di investimenti in strumenti finanziari, coincide con il momento in cui le dovute informazioni non sono state fornite dalla banca e dunque con quello dell’acquisto dei titoli”; Trib. Ancona, 21 maggio 2019, n. 986, in Dejure, per cui “l’ordine di acquisto dei titoli è stato impartito in data 6.7.1998, per cui, ove si volesse far valere l’inadempimento della banca agli obblighi informativi, tali da legittimare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1455 c.c., da tale data decorrerebbe il dies a quo per la prescrizione”; Trib. Macerata, 6 marzo 2017, n. 243, in Dejure, ove si legge che “quella [domanda] di risoluzione per inadempimento è anch’essa prescritta (e con essa le conseguenti azioni restitutorie), decorrendo il termine prescrizionale dal momentodell’inadempimento con i tratti di gravità previsti dall’art. 1455 c.c.; ora, attenendo i dedotti (pur assai genericamente) inadempimenti a profili di deficitinformativo […], proprio al momento della conclusione dei contratti quadro e della redazione della scheda cliente o addirittura ad un momento antecedente alla loro sottoscrizione, nella fase preparatoria, risulta evidente il decorso completo del termine prescrizionale”; Trib. Teramo, 30 settembre 2015, n. 1296, cit.; Trib. Busto Arsizio, 15 marzo 2013, in Dejure.

[17] Trib. Ancona, 12 gennaio 2015, n. 31, cit., ove si legge che “per le restanti domande … di annullamento e risoluzione, il dies a quo deve essere individuato con riferimento al “giorno in cui il diritto può essere fatto valere” (art. 2935 c.c.). A tale stregua, in materia di inadempimento, occorre avere riguardo al momento in cui il creditore ha acquisito consapevolezza dell’inadempimento altrui e dei relativi pregiudizi. Nel caso di specie, in difetto di altri elementi, tale momento va identificato con la comunicazione della dichiarazione di defaultdello Stato emittente, avvenuta il 15.7.2002, poiché, in difetto di elementi diversi, deve ritenersi che solo in quel momento l’attore acquisì piena consapevolezza circa i propri diritti. Ne consegue che, per la domanda di risoluzione del contratto e per quelle consequenziali di restituzione e risarcimento da inadempimento, soggette alla prescrizione ordinaria decennale, è tempestiva la notifica dell’atto di citazione, avvenuta il 25.3.2011, ossia entro il decennio dalla comunicazione di avvenuto default”.

[18] Con riguardo all’individuazione del dies a quo della prescrizione nel caso di azione di responsabilità contrattuale, cfr.,ex multis, Cass., 18 febbraio 2016, n. 3176; Cass., 5 aprile 2012, n. 5504, spesso richiamata dalle pronunce in materia di intermediazione finanziaria, secondo cui“in tema di danno contrattuale – al fine di determinare il dies a quodella prescrizione – occorre verificare il momento in cui si sia prodotto nella sfera patrimoniale del creditore il danno causato dal colpevole inadempimento della convenuta”; Cass., 5 dicembre 2011, n. 26020.

[19] Tra le più recenti: si vedano, ex plurimis, App. Bolzano, 13 aprile 2019, n. 44, in Dejure, che, in relazione ad un investimento in obbligazioni Lehman Brothers, ha rilevato che: “il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito inizia a decorrere non già dalla “data del fatto”, inteso come fatto storico obiettivamente realizzato, bensì quando ricorrano presupposti di sufficiente certezza, in capo all’ avente diritto, in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del diritto azionato, sì che gli stessi possano ritenersi, dal medesimo, conosciuti o conoscibili […] Nel caso di specie può, perciò, convenirsi con gli investitori che il default della società emittente i titoli da loro acquistati nel 2003, occorso nel settembre del 2008, segni il momento in cui sono divenuti per loro conoscibili con sufficiente certezza tutti gli elementi costitutivi del loro diritto risarcitorio”; App. Ancona, 28 giugno 2019, n. 1081, in Dejure: “se per quel che riguarda la risoluzione, il dies a quo(l’inadempimento della prestazione, nel caso: la mancata informazione) coincide con le date delle due transazioni; per il risarcimento del danno, invece, deve farsi riferimento alla dichiarazione del defaultargentino che risale al dicembre del 2001, quando si appalesa in tutta la sua evidenza la lesione patrimoniale”; Trib. Gorizia, 2 novembre 2017, n. 418, in Dejure, che richiamando, tra l’altro, Cass. 5 aprile 2012, n. 5504 e rilevando che“il Tribunale di Milano, in una controversia avente ad oggetto obbligazioni emesse dalla repubblica Argentina, ha ritenuto che “il dies a quoper la decorrenza del termine di prescrizione va individuato nel momento in cui il diritto poteva essere fatto valere, ex art. 2935 cod. civ., ossia, per il diritto risarcitorio, nel momento in cui la produzione del danno si è manifestata all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere. Nel caso in esame, il danno si è manifestato per gli attori al momento del defaultdell’Argentina del dicembre 2001 e da tale data decorre il termine di prescrizione” (Trib. Milano 14 maggio 2012, n. 5495)”, ha statuito che “nel caso di specie quindi, il dies a quoper la decorrenza del termine di prescrizione deve essere individuato il giorno 19 novembre 2013 [data di dichiarazione di fallimento della Cirio, ndr]”; Trib. Pescara, 21 marzo 2017, n. 407, cit.; Trib. Verona, 11 luglio 2017, n. 1714, in Dejure; Trib. Palermo, 25 novembre 2016, n. 6182, in Dejure, ove si legge che “In tema di risarcimento del danno contrattuale, al fine di determinare il “dies a quo” di decorrenza della prescrizione occorre verificare il momento in cui si sia prodotto, nella sfera patrimoniale del creditore, il pregiudizio causato dal colpevole inadempimento del debitore” Cass. civ., Sez. II, 05/04/2012, n. 5504). È questo, invero, il momento a partire dal quale l’investitore assume contezza, insieme all’esito fallimentare dell’ investimento, dell’inadempimento della banca intermediaria ai doveri ed agli obblighi contrattuali su di essa gravanti e del pregiudizio derivatone”; Trib. Parma, 16 marzo 2016, n. 417, in Dejure; Trib. Prato, 18 maggio 2016, n. 490, in Dejure; Trib. Torino, 24 novembre 2014, n. 7488, in www.expartecreditoris.it, che ha ancorato il decorso della prescrizione al momento in cui il danno conseguente all’inadempimento dell’intermediario si è verificato, cioè quando nel dicembre 2001 “lo Stato argentino ha dichiarato di non rimborsare le obbligazioni emesse, proclamando la “moratoria sul debito” (data del c.d. default)”.

[20] Ex pluris, Trib. Novara, 3 giugno 2011, n. 457, in www.ilcaso.it, in cui si discuteva dell’azione azione risarcitoria ex art. 2043 c.c. promossa nei confronti della Consob da alcuni investitori di titoli obbligazionari argentini. V. anche Trib. Bologna, 1° giugno 2017, n. 940, in Dejure, che, con riguardo alla decorrenza del termine prescrizionale ex art. 2947 c.c. dell’azione di responsabilità extracontrattuale promossa nei confronti della banca statunitense Morgan Stanley in relazione all’acquisto di obbligazioni Viatel, ha rilevato che il danno non può considerarsi verificato “nell’immediatezza del defaultma si andrà a compiutamente verificare solo nel momento in cui gli attori avranno definitiva consapevolezza dell’impossibilità di integrale recupero del loro credito, del quale la procedura concorsuale statunitense ha consentito via via parziali rientri”.

[21] Così Trib. Benevento, 31 gennaio 2018, n. 196, inDejure, per cui “nel caso di specie è evidente che gli investitori hanno avuto oggettiva percezione del danno subito solo allorché, in data 14.2.2003, venne disinvestita la “ Gestione Patrimoniale in Fondi Fidagest sgr s.p.a.” , operazione che evidenziò una ingente perdita di capitale essendo rimborsata la sola somma di [omissis] a fronte di [omissis] investiti”.

[22] In tal senso, vedi anche B. M. Carbonaro, P. Lorenzi, La decorrenza del termine di prescrizione nei giudizi di risarcimento del danno derivante da operazioni di investimento: perché l’eccezione non può essere la regola, in dirittobancario.it, 2015.

[23] Nel senso dell’irrilevanza, ai fini della decorrenza della prescrizione, degli impedimenti di carattere soggettivo o di mero fatto, si veda anche Cass., 7 settembre 2017, n. 20907, secondo cui “l’impossibilità di far valere un diritto, cui l’art. 2935 c.c. attribuisce rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione, è esclusivamente quella derivante da cause di natura giuridica che ne ostacolino l’esercizio, senza che rilevino impedimenti di carattere soggettivo e ostacoli di mero fatto, dato che tra le tassative ipotesi di sospensione della prescrizione di cui all’art. 2941 c.c. non rientrano né l’ignoranza del titolare del fatto generatore del suo diritto, né il dubbio soggettivo sull’esistenza dello stesso ed il ritardo determinato dalla necessità del suo accertamento, salva l’ipotesi di dolo prevista dal n. 8) dello stesso articolo”.

[24] Così Trib. Arezzo, 8 agosto 2012, in Dejure. Più di recente, cfr. anche Trib. Arezzo 24 ottobre 2018, in Dejure, il quale, prendendo in esame un caso di acquisto di bond argentini, ha statuito che “parte attrice ha infatti dedotto che il termine prescrizionale decorrerebbe dal più volte ricordato defaultdella Repubblica Argentina, mentre parte convenuta ha ricondotto il dies a quoa quello dell’acquisto dei titoli. Nel conflitto tra le due versioni delle parti in causa ritiene lo scrivente che debba ritenersi maggiormente condivisibile l’assunto ricostruttivo di parte convenuta. L’odierna attrice, in effetti, non solleva ovviamente doglianze nei confronti del defaultargentino, ma verso la condotta inadempiente dell’istituto di credito, che avrebbe proceduto alla vendita dei titoli in questione ponendo in essere plurime violazioni della normativa di riferimento. […]. In tale contesto il fallimento argentino rappresenta unicamente una causa materiale di un determinato tipo di danno ma non il comportamento, ascrivibile alla parte, suscettibile di generare la responsabilità risarcitoria di quest’ultima”; Trib. Bolzano, 15 maggio 2018, n. 608, in Dejure, che, in relazione ad un investimento in titoli Lehman Brothers, ha afferma che “considerato che l’art. 2935 c.c. dispone che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, nelle azioni di risarcimento del danno derivanti da operazioni di investimento deve ritenersi che il termine decorra dalla data dell’inadempimento, sulla scorta di quella giurisprudenza della Corte di cassazione che solamente per la responsabilità extracontrattuale ammette lo spostamento del dies a quodal momento del verificarsi del fatto lesivo a quello della manifestazione esteriore della lesione […](Cass., sent. 28.01.2004 n. 1547, parte motiva)”. Nello stesso senso cfr. anche Trib. Catania, 24 giugno 2015, n. 2706, in expartecreditoris.it e Trib. Catania, 14 giugno 2019, n. 2526, cit., le quali, pur non facendo espresso riferimento all’azione risarcitoria, hanno rilevato che nel caso di contestazioni dedotte dall’investitore inerenti il mancato assolvimento degli obblighi informativi al momento dell’investimento il “termine prescrizionale (decennale) non può che farsi decorrere dal momento della violazione delle regole di comportamento ascritte all’intermediario (ovvero dell’inadempimento dell’intermediario). Ove poi si volesse ritenere sussistente una responsabilità precontrattuale il relativo termine prescrizionale (quinquennale) sarebbe spirato ancor prima”.

[25] App. Firenze, 6 aprile 2020, n. 739, che, integrando la motivazione del giudice di prime cure in punto di prescrizione, ha confermato il rigetto della domanda risarcitoria, in quanto promossa dopo oltre dieci anni dalla data degli investimenti in obbligazioni Argentina e Telecom Argentina. La sentenza è reperibile al sito internet www.zitielloassociati.it.

[26] In senso analogo, cfr. anche Trib. Viterbo, 15 febbraio 2012, n. 132, citato in B. M. Carbonaro, P. Lorenzi, La decorrenza del termine di prescrizione nei giudizi di risarcimento del danno derivante da operazioni di investimento: perché l’eccezione non può essere la regola, cit. Anche tale pronuncia statuisce che“la vendita […] nella prospettazione attorea non avrebbe dovuto, per l’assenza di adeguata informazione sul rischio da parte della banca convenuta, aver luogo, ed è quindi da considerare per ciò stesso un fatto dannoso all’attore; sicché il termine di prescrizione decorre dallo stesso giorno in cui si realizza il danno, ossia il momento di conclusione del contratto de quo”.

[27] Cfr., ex plurimis, Decisione n. 182 del 12 gennaio 2018, Decisione n. 200 del 18 gennaio 2018, Decisione n. 1188 del 7 dicembre 2018, Decisione n. 1372 del 25 gennaio 2019; Decisione, 23 luglio 2019, n. 1748 e, da ultimo, Decisioni nn. 2212 e 2217 del 6 febbraio 2020, tutte reperibili in www.acf.consob.it. Analogamente, in dottrina, cfr. B. M. Carbonaro, P. Lorenzi, La decorrenza del termine di prescrizione nei giudizi di risarcimento del danno derivante da operazioni di investimento: perché l’eccezione non può essere la regola, cit., secondo cui “tra i vari momenti dai quali può essere individuato il dies a quodi decorrenza del termine prescrizionale, l’unico idoneo a preservare e garantire il superiore principio di certezza dei rapporti giuridici, senza in alcun modo ostacolare l’esercizio dei propri diritti da parte degli investitori, è quello del conferimento dell’ordine”.

[28] In questo senso, cfr. Decisione n. 1468 del 12 marzo 2019, in www.acf.consob.it, che, sulla base di tali motivazioni, ha dichiarato prescritta la domanda di risarcimento dei danni per inadempimento dell’intermediario agli obblighi informativi con riguardo a parte degli ordini di acquisto contestati dal ricorrente.

[29] Cfr. Decisione n. 221 del 26 gennaio 2018; Decisione n. 2212 del 6 febbraio 2020 e Decisione n. 2217 del 6 febbraio 2020, le quali hanno rilevato “di dover condividere quell’indirizzo interpretativo – tra le altre, chiaramente espresso da Cass., 28 gennaio 2004, n. 1547 – ai sensi del quale, nelle ipotesi di responsabilità contrattuale, la prescrizione è regolata dal combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c., sicché essa comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, ossia del verificarsi dell’inadempimento”.

[30] Cfr. Decisione n. 221 del 26 gennaio 2018; Decisione n. 2217 del 6 febbraio 2020.

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