Con il decreto attuativo delle Direttive ATAD (di seguito, per brevità, il “Decreto”), il cui contenuto è stato già sinteticamente trattato sulle pagine di questa rivista, continua il percorso di adattamento dell’ordinamento tributario italiano ai più moderni standard anti-elusivi (o anti-abusivi) internazionali.
In tale percorso, in realtà, il nostro Paese era già molto avanti, forse anche troppo. Lo dimostra, a tacer d’altro, la mancata attuazione dell’art. 6 della Direttiva ATAD 1 (Direttiva UE n. 2016/1164) relativo alla c.d. GAAR in ragione del fatto che il nostro art. 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente (l. n. 212/2000) viene ritenuto un presidio anti-abuso del tutto sovrapponibile al predetto art. 6.
Da tempo del resto, lo Stato italiano, come molti partner europei, si è dotato di norme e principi di elaborazione giurisprudenziale volti a contrastare l’erosione dei propri imponibili attuata mediante la mobilità transnazionale dei fattori della produzione: si pensi, ad esempio, al regime CFC, alla nozione interna di stabile organizzazione, alla disciplina interna del transfer pricing ed alla giurisprudenza della Corte di cassazione in tema di stabile organizzazione e di applicazione dei trattati contro la doppia imposizione sui redditi (quest’ultima, per certi versi, antesignana della disciplina sugli ibridi).
Il Decreto, dunque, si inserisce in questo quadro in cui l’obiettivo è quello di ridurre gli spazi della pianificazione fiscale lecita, o, per meglio dire, “debita” a disposizione dei gruppi multinazionali; lo strumento è quello di una maggiore uniformità nelle regole europee relative ad alcuni dei temi “elusivi/abusivi” più caldi. Ed in tal senso l’utilizzo della Direttiva, vista la sua attitudine a rendere i precetti in essa contenuti cogenti ed imperativi per tutti gli Stati membri, appare certamente adeguato a garantire l’abbattimento delle asimmetrie genetiche e delle lacune presenti nelle normative tributarie statali.
Ed invero le norme generali antiabuso (di cui, come detto, il nostro ordinamento si è dotato da tempo) si sono rivelate insufficienti a contrastare i fenomeni di erosione di base imponibile attuati collettivamente dalle multinazionali e ciò in quanto muovono da una prospettiva che non consente di stabilire quale sia la giurisdizione danneggiata ovverosia quella le cui disposizioni si assumono violate o aggirate elusivamente/abusivamente.
Di qui l’esigenza, tra l’altro, di fissare regole di contrasto al disallineamento da ibridi, probabilmente la novità più importante recata dal Decreto in ossequio agli obblighi di adeguamento alla normativa euro-unitaria.
Il tema degli ibridi, come noto, non nasce in ambito europeo. Le Direttive ATAD, infatti, si inseriscono, affiancandosi alle stesse, nel contesto delle iniziative intraprese dall’OCSE e dal G20 nell’ambito del progetto BEPS con il quale la comunità internazionale, avvertita la necessità di contrastare i fenomeni di erosione della base imponibile da parte dei gruppi di imprese e di profit shifting generati da strategie di pianificazione fiscale aggressiva attuate su scala internazionale, ha avvertito la necessità di sviluppare un Action Plan concretizzatosi nello sviluppo di una serie di interventi tra i quali rileva in particolare la macroarea della coerenza internazionale nella tassazione societaria. L’intento è quello di sopperire alle asimmetrie fisiologicamente esistenti tra gli ordinamenti giuridici – che si prestano, per loro intrinseca natura, ad essere utilizzate per strategie di aggressive tax planning – onde fornire alle imprese globali regole che fungano da guida e garanzia di certezza e riflettano chiaramente il messaggio dell’impossibilità di sfruttare le asimmetrie esistenti tra le giurisdizioni domestiche.[1]
Di qui dunque l’attenzione dedicata ai c.d. ibridi, i quali consistono in entità o strumenti finanziari qualificati differentemente nei Paesi di residenza delle controparti di una determinata operazione, che comportano fenomeni di doppia deduzione dello stesso componente negativo in due Stati diversi o di deduzione di un componente negativo in uno Stato senza inclusione nel reddito corrispondente nell’altro Stato; sicchè gli effetti di erosione della base imponibile, in questi casi, derivano dalla differente qualificazione legale di un’entità o uno strumento finanziario negli ordinamenti interessati.
Orbene, il Capo IV del Decreto (artt. da 6 a 11), disciplina tre tipologie di disallineamento: disallineamento da ibridi che produce una doppia deduzione o una deduzione senza inclusione; disallineamento da ibridi inversi, rappresentati da entità trasparenti nello Stato di localizzazione e opache nello Stato del soggetto partecipante; disallineamento da doppia residenza fiscale (in due Stati membri).
L’ambito applicativo della disciplina è delimitato sotto il profilo soggettivo, riguardando unicamente le operazioni intercorrenti tra soggetti appartenenti allo stesso gruppo o che siano il risultato di structured agreements tra consociate. La reazione dell’ordinamento può tuttavia scattare anche se prendono parte all’operazione soggetti terzi nella misura in cui abbiano beneficiato del vantaggio fiscale ottenuto e, in ogni caso, qualora gli effetti derivanti dagli hybrid mismatch arrangements si verifichino concretamente. Ovviamente a dispetto delle ipotesi in cui il fenomeno sia il frutto di dinamiche tra consociate, in cui l’elemento della colpevolezza viene presunto come esistente in re ipsa, l’onere di provare l’intento elusivo/abusivo incombe sull’Amministrazione finanziaria laddove sia coinvolto un soggetto terzo, dovendosi qui dimostrare la fruizione del vantaggio fiscale da parte di quest’ultimo.
Il contrasto ai disallineamenti di cui sopra si articola in due modalità di intervento gerarchicamente ordinate ed entrambe necessarie onde garantire la neutralizzazione dei relativi effetti. La c.d. risposta primaria è attribuita all’ordinamento che può ragionevolmente essere ritenuto destinato a subire l’erosione della base imponibile e consiste nel negare la deduzione del componente negativo di reddito in tale Paese; la c.d. risposta secondaria è, invece, solo eventuale e opera laddove la primaria non venga attivata: comporta l’inclusione dell’elemento positivo di reddito nel Paese del beneficiario o la negazione della deducibilità.
Come correttamente rilevato da Assonime[2], comunque, una disciplina specifica anti-ibridi a copertura delle ipotesi che non possono ricomprendersi nell’ambito della regola antielusiva generale, se da un lato riduce l’area di incertezza e indeterminatezza, arricchendo la materia nel declinare il contenuto delle definizioni rilevanti per la sua applicazione, potrebbe porre problemi di coordinamento con l’art. 10-bis.
Il tema può essere riassunto nei seguenti termini.
La disciplina di contrasto agli hybrid mismatch arrangements si concreta in regole di determinazione dell’imponibile che, se violate, possono dar luogo a infedeltà dichiarative punibili con sanzioni amministrative o penali e comunque possono comportare per il contribuente un obbligo di modifica in peius del proprio imponibile dovuta all’attivazione (o meno) della reazione non da parte del proprio Stato di residenza, ma da parte dello Stato della propria controparte. Potrebbe porsi pertanto un problema di sanzionabilità di un comportamento fiscalmente rilevante posto in essere da un soggetto sottoposto ad una giurisdizione per la mancata attivazione della reazione da parte del Paese della controparte. Non solo, ma operazioni che prima sarebbero rientrate nel campo di applicazione della fattispecie anti-abuso di cui all’art. 10-bis, al quale si riconnettono, come noto, esclusivamente sanzioni di tipo amministrativo, sono oggi attratte in una disciplina, quella appunto anti-ibridi, la cui violazione può comportare anche la sanzionabilità penale.
Aspetti, questi, su cui occorreva forse una più profonda riflessione.
[1] Le regole di contrasto ai disallineamenti da ibridi (c.d. hybrid mismatch arrangements) sono state elaborate dall’Action 2 del BEPS con la finalità di farle inserire nell’ordinamento interno dei vari Paesi e nelle convenzioni contro le doppie imposizioni. In ambito europeo, prevedendo la Direttiva ATAD 1 misure di contrasto a tali fenomeni limitate all’interazione fra regimi impositivi di società di Stati membri, il proposito di estenderne l’efficacia ai disallineamenti che coinvolgono anche Paesi terzi è stato attuato in seguito con la Direttiva UE 2017/952 (c.d. “ATAD 2”).
[2] Circolare Assonime n. 19 del 1° agosto 2018.