Il presente contributo analizza i due recentissimi interventi legislativi che hanno definito il quadro normativo in materia di cripto-attività, ovvero il Decreto Fintech, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 maggio 2023, ed il Regolamento MICAR, adottato in via definitiva dal Consiglio UE lo scorso 16 maggio 2023.
1. Premessa[1]
Due recentissimi interventi legislativi hanno completato e definito il quadro normativo oggi applicabile in Italia alle “cripto-attività”: i) a livello domestico il decreto-legge 17 marzo 2023, n. 25, (c.d. Decreto Fintech) “recante disposizioni urgenti in materia di emissioni e circolazione di determinati strumenti finanziari in forma digitale e di semplificazione della sperimentazione FinTech”, è stato convertito in legge n. 52/2023 e pubblicato sulla G.U. n. 112/2023 del 15 maggio 2023; ii) a livello eurounitario il “Regolamento del parlamento europeo e del consiglio relativo ai mercati delle cripto-attività e che modifica i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 1095/2010 e le direttive 2013/36/UE e (UE) 2019/1937”, (MICAR) è stato adottato in via definitiva dal Consiglio UE in data 16 maggio 2023.
2. Percorso normativo
Le due novità normative commentate trovano la loro origine allorché, in data 24 settembre 2020 la Commissione europea varò l’ambizioso “pacchetto per la finanza digitale”, articolato su più fronti: i) la definizione degli orizzonti strategici per la “finanza digitale” e per i “pagamenti al dettaglio”; ii) una (prima) proposta di regolamentazione a livello europeo delle “cripto-attività”; iii) la definizione di proposte legislative aventi ad oggetto la c.d. “la resilienza digitale”. L’iniziativa doveva a sua volta inquadrarsi nel Piano d’Azione del 2018[2] e muoveva dai lavori del Parlamento europeo e dai contributi delle autorità europee di vigilanza; accompagnati da una ampia consultazione che ha avuto luogo nella primavera del 2020.
L’ambito dell’intervento della Commissione europea avente ad oggetto specificatamente le “cripto-attività” è risultato sin dall’inizio articolato su due diversi e connessi interventi normativi: in particolare: i) un prima compiuta proposta di regolamentazione a livello europeo delle “cripto-attività” (o meglio, come vedremo, di alcune tipologie di quelle) con la Proposal for a regulation of the european parliament and of the council on Markets in Crypto-assets, and amending Directive (EU) 2019/1937 , (COM(2020) 593 final-2020/0265(COD), (“MICAR”), accompagnata da un Commission Staff Working Document Impact Assessment (SWD/2020/380 final) e ii) una collegata Proposal for a REGULATION OF THE EUROPEAN PARLIAMENT AND OF THE COUNCIL on a pilot regime for market infrastructures based on distributed ledger technology – (COM/2020/594 final), (“Pilot Regime”), accompagnata a sua volta da un Commission Staff Working Document Impact Assessment (SWD/2020/201 final).
- L’iniziativa del MICAR muoveva dalle risultanze che emergevano dall’Advice elaborato dall’ESMA ad inizi del 2019 che si era focalizzato sulle problematiche di (possibile/eventuale) applicazione della disciplina dei servizi di investimento, per quei token che fossero qualificabili o descrivibili come “strumenti finanziari”/“prodotti di investimento” (e definiti ormai nella prevalente letteratura specialistica e regolamentare come “security-like/investment-type token/asset token”, sinteticamente “security tokens”); in tale sede, l’ESMA si era limitata a suggerire ai regolatori nazionali, senza peraltro proporre univoche scelte normative, l’opportunità di valutare una regolamentazione solo per quei token che, invece, non potessero qualificarsi come tali (v. in particolare par. 8 ESMA Advice 2019), attesa la difficoltà di concepire oggi un’opera di adeguamento della disciplina avente ad oggetto i tradizionali “strumenti finanziari” alla loro versione crypto (security tokens), a maggior ragione fuori da qualsiasi contesto armonizzato europeo. L’ambito di intervento del MICAR, è dunque risultato da subito circoscritto alle sole cripto-attività diverse da strumenti finanziari, ad esclusione quindi di tutte le cripto-attività che fossero descrivibili e/o qualificabili e/o assimilabili come/a “strumenti finanziari” ai sensi MIFID, e, quindi, qualificabili come security tokens; in sostanza l’ambito di intervento è limitato a quelli che nella tassonomia ormai invalsa sono detti utility tokens (come definiti nell’art. 3, 1. punto 9) o ai c.d. payment-like o monetary tokens; in particolare, con riguardo a quest’ultima categoria si fa riferimento a “token collegati ad attività” (“asset-referenced tokens”) e ai “token di moneta elettronica” (“e-money tokens”) come definiti nell’art. 3, 1., ai punti 6) e 7).[3]
- Viceversa, l’ambito del Pilot Regime è stato, sin dall’inizio, proprio quello delle cripto-attività che risultino descrivibili e/o qualificabili e/o assimilabili come/a “strumenti finanziari” ai sensi MIFID, e, quindi, qualificabili come security tokens e definite “Strumenti finanziari DLT”; in virtù di tale assimilazione o qualificazione, dunque, già oggi potrebbe risultare conseguentemente applicabile molta della disciplina che si applica agli strumenti finanziari (disciplina di varia natura: da quella dei servizi di investimento a quella del prospetto; da quella della market abuse, a quella dello short selling, etc.). Preso atto di ciò – e pur adeguandosi[4] il novero degli strumenti finanziari anche a quelli “emessi mediante tecnologia a registro distribuito”, in base all’opzione di intervento sin dall’inizio prescelta, non si procede (ancora) ad una attività di “adeguamento” disciplinare di tutta quella complessa e articolata normativa (che va dalla disciplina del Prospetto, a quella dei servizi di investimento MIFID, a quella del market abuse, dello short selling) al nuovo fenomeno tecnologico; un tale intervento ritenendosi oggi assai complesso e comunque prematuro. La scelta regolatoria adottata è stata pertanto quella di prevede un “regime pilota” (o “sandbox”) di sperimentazione temporalmente limitato, al fine di poter dunque procedere in un secondo momento a quell’opera di adeguamento sulla base delle esperienze che saranno così maturate.
Il Pilot Regime è stato adottato con Regolamento (UE) 2022/858 del 30 maggio 2022 “relativo a un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sulla tecnologia a registro distribuito e che modifica i Regolamenti (UE) n. 600/2014 e (UE) n. 909/2014 e la direttiva 2014/65/UE” (“Regolamento Pilot”). Esso è entrato in vigore il 22 giugno 2022 e riceve applicazione a partire dal 23 marzo 2023.
Il Decreto Fintech, intervenuto successivamente[5], come visto, a livello domestico ha poi previsto nel Capo V una serie di “disposizioni relative all’applicazione del regolamento (UE) 2022/858” (pur adottando, come ora vedremo, un ben più ampio e ambizioso raggio di azione finalizzato a creare un completo e organico quadro normativo domestico anche di diritto civile e societario[6] in relazione all’emissione e circolazione degli “strumenti finanziari digitali”).
3. Il Decreto Fintech. Una sfida riuscita[7]
Come detto, l’ambito di intervento del Pilot Regime, risulta esclusivamente quello delle “cripto-attività” che risultino qualificabili alla stregua di “strumenti finanziari” e, quindi, come tali, sottratte all’ambito di applicazione del Regolamento MICA; trattasi in sostanza di quella tipologia di cripto-attività riconducibili, nella tassonomia specialistica oggi perlopiù invalsa – alla categoria dei c. d. security tokens.
Il Regolamento Pilot si prefigge, in particolare, l’impostazione di un primo quadro regolatorio applicabile alle infrastrutture di mercato che utilizzino la tecnologia DLT (in particolare, sistemi multilaterali di negoziazione DLT (“MTF DLT”); sistemi di regolamento DLT (“SS DLT”) e sistemi di negoziazione e regolamento DLT (“TSS DLT”) che abbiano ad oggetto “strumenti finanziari DLT”[8] (con ciò intendendosi “strumenti finanziari”, rientranti nel significato di cui all’art. 4, par. 1, punto 15 della Direttiva 2014/65/EU che risultino “emessi, registrati, trasferiti e stoccati mediante la tecnologia a registro distribuito”[9]). Per essi viene conseguentemente previsto un apposito regime di deroga temporanea a molteplici aspetti della disciplina vigente (che potrebbe altrimenti doversi applicare per effetto della loro qualificabilità quali “strumenti finanziari”).
Rimandando ad altra sede una più approfondita disamina dei contenuti del Regolamento Pilot, interessa qui richiamare qui quello che ci era apparso subito un delicato tema concettuale da smarcare al fine di collocare nella giusta prospettiva l’intervento in questione. Come appena visto, esso assume infatti come suo sottostante e implicito presupposto l’esistenza di “cripto-attività” che siano qualificabili come “strumenti finanziari” e che risultino “emessi, registrati, trasferiti e stoccati” utilizzando la tecnologia DLT; un tale presupposto implica però la soluzione di non facili tematiche che, da quelle tipiche di diritto dei mercati finanziari (tale essendo la specifica prospettiva privilegiata nel Regolamento Pilot), finiscono inevitabilmente per scolorire in quelle classicamente di diritto societario e civile (in particolare dei titoli di credito) – e quindi, ad oggi, rimessi, tendenzialmente, in ogni ordinamento, al quadro normativo domestico primario – al fine di verificare se e in che limiti sia oggi effettivamente financo ipotizzabile e ammissibile l’emissione (oltreché la rappresentazione, circolazione, legittimazione e detenzione) di strumenti finanziari che ricorrano ad una tale nuova tecnica DLT[10]. Nell’assenza ad oggi – essendo questo il principale aspetto di debolezza anche dell’approccio della Proposta MICA – di un sufficiente grado di standardizzazione e interoperabilità della sottostante infrastruttura tecnologica DLT (che possa quindi garantire livelli minimi di affidabilità, legalità, stabilità e cyber-resilienza) potrebbe risultare oggi problematico concepire financo l’esistenza di un “cripto-strumento finanziario” che possa dirsi veramente tale.
Da quanto sopra conseguiva che, dunque, un ruolo centrale – in vista di una competitiva applicazione anche nel mercato italiano della fase di sperimentazione e di quella successiva di sviluppo di questo nuovo fenomeno della realtà Fintech, destinata a plasmare radicalmente nel prossimo futuro, inter alia, i modelli di business di finanziamento dell’attività d’impresa – veniva ad assume l’approntamento di una legislazione primaria[11] (anche di diritto societario e civile) che consentisse agli emittenti residenti di affrontare il passo concettuale sopra indicato. E a tal fine si è subito posto il problema di quale potesse essere la più efficiente soluzione regolatoria capace – nell’assenza ad oggi di una disciplina armonizzata europea – di presidiare il delicatissimo ruolo di affidabilità (o “fede pubblica”) nella emissione, rappresentazione, circolazione e legittimazione di strumenti finanziari tramite la nuova tecnologia DLT. Soluzione che avrebbe dovuto intendersi e interpretarsi in linea di continuità con quanto avvenne nel passaggio dal modello cartolare a quello scritturale (dematerializzazione) e, quindi, in tendenziale continuità con la concettuologia tipica dei titoli di credito e delle conseguenti tutele giuridiche, pur richiedendosi qui un approccio regolatorio non più rivolto a disciplinare transazioni che avvengono “tra pari” ma – con buona pace della leggenda metropolitana della “disintermediazione” – tramite l’intervento di soggetti (“intermediari”) professionali autorizzati alla emissione e circolazione dei nuovi “titoli di credito digitali”[12]. Da questo punto di vista, come detto, l’assenza nella Proposta europea di alcuna regolamentazione (diretta o indiretta) di natura “sostanziale” degli “emittenti” e/o della fase di “emissione” – se non altro nei contenuti tecnologici sottostanti, il “cuore” del fenomeno! – appariva il vero punto debole dell’approccio regolatorio del Regolamento Pilot, rischiando esso allora di rivelarsi del tutto inefficace nella tutela degli interessi alla cui tutela è volto, davanti alla proliferazione incontrollata di una “babele” di modelli di business, di protocolli e di standard tecnologici – più o meno affidabili o cyber-resilienti – a cui può assistersi nell’esecuzione delle ICO e nell’emissione dei tokens sul mercato.
Un tale tutt’altro che facile compito risultava dunque rimesso all’iniziativa più o meno sagace e consapevole dei singoli legislatori nazionali degli Stati Membri. Da questo punto di vista, a noi pare che il Decreto Fintech possa ritenersi una sfida riuscita. Tale intervento del legislatore italiano va infatti ben oltre all’obiettivo imposto dal Regolamento Pilot di adottare una disciplina applicabile alle infrastrutture di mercato DLT, per impostare invece una cornice giuridica assai più completa, organica e raffinata – anche di diritto civile e societario e non solo dei mercati finanziari – finalizzata a consentire l’emissione di strumenti finanziari DLT, o meglio “strumenti finanziari digitali”: azioni; obbligazioni; titoli di debito emessi dalle società a responsabilità limitata ai sensi dell’articolo 2483 del codice civile; ulteriori titoli di debito la cui emissione è consentita ai sensi dell’ordinamento italiano, nonché ai titoli di debito regolati dal diritto italiano emessi da emittenti diversi dagli emittenti italiani ; ricevute di deposito relative ad obbligazioni e ad altri titoli di debito di emittenti non domiciliati emesse da emittenti italiani; strumenti del mercato monetario regolati dal diritto italiano; alle azioni o quote di organismi di investimento collettivo del risparmio italiani (si consideri poi che, in virtù dell’art. 28, 2., a bis), la Consob potrà includere nell’ambito degli strumenti che gli emittenti possono assoggettare alla disciplina del Decreto Fintech, quelli di cui all’articolo 1, comma 1 -bis , lettera c) , del TUF, e le quote di partecipazione ad una società a responsabilità limitata, anche in deroga alle disposizioni vigenti relative al regime di forma e circolazione di tali strumenti, ivi comprese le disposizioni di cui agli articoli 2468, primo comma, 2470, commi dal primo al terzo, e 2471 del codice civile).
Pur potendosi oggi evidenziare alcune difficoltà di coordinamento nell’ambito dell’ordinamento finanziario tra le nozioni di “strumento finanziario”, di “strumento finanziario DLT” e di “strumento finanziario digitale”, e alcune lacune di disciplina[13], l’intervento normativo in questione pare esser stato capace di impostare in maniera davvero consapevole e sapiente la complessa sfida concettuale sopra delineata, costruendo una completa e organica cornice giuridica in cui collocare e inquadrare correttamente ed esaustivamente il fenomeno e adottando, a tal fine, l’unico approccio regolatorio[14] oggi efficacemente plausibile davanti alla citata “babele”, mostrando a tal riguardo, il legislatore nostrano (diversamente da quanto avvenuto in altre legislazioni), piena consapevolezza di quanto sia velleitario ambire a disciplinare (direttamente) il fenomeno della tecnologia DLT (o addirittura blockchain), di per sé e in quanto tale; essendo fenomeno per sua natura mutevole, variegato e plurale.
In sostanza, tra i vari , possibili modelli regolatori adottabili (di diritto civilistico/societario o di diritto finanziario; modelli facoltativi o obbligatori; di intervento ex ante o ex post; di indirizzo generale o di dettaglio; a controllo centralizzato o delegato, etc.) la soluzione regolatoria è stata correttamente ricercata e riposta dal legislatore italiano – perlomeno in questa fase, nell’attesa che maturino i tempi di una regolamentazione su scala europea o addirittura globale del fenomeno – più che in una velleitaria disciplina di dettaglio, anche di natura societaria/civilistica della sottostante, “interna”, infrastruttura gius-tecnologica, piuttosto in via indiretta, tramite un intervento regolamentare che ha ad oggetto la governance del “sistema DLT” o, ancor meglio, dei “nuovi intermediari” che su quella infrastruttura si muovono a vario titolo, focalizzandosi giustamente a fissare – in una maniera che appare davvero esaustiva, in considerazione della difficile opera (massimamente in relazione ad azioni e quote societarie) di coniugare la dimensione giuridica (societaria/civilistica/finanziaria) con quella tecnologica – i “paletti” (rectius, i “requisiti”; v. in particolare artt. 4 e 12) a cui dovranno attenersi le infrastrutture tecnologiche (rectius, i “registri per la circolazione digitale”) che di volta in volta e caso per caso siano adottate dagli “emittenti” o dai “responsabili dei registri”.
Certo la sfida regolatoria per l’Autorità chiamata a valutare, ex art. 20, la rispondenza di quelle infrastrutture tecnologiche a quei “paletti” appare davvero complessa, manifestandosi qui in maniera quanto mai delicata la necessità di leggere e tradurre soluzioni tecnologiche complesse, in valutazioni di conformità e adeguatezza rispetto agli effetti giuridici (quelli di cui agli artt. 5-12) che da esse dovrebbero prodursi; cosa che, appunto, dovrebbe qui avvenire caso per caso e di volta in volta, per ogni infrastruttura sottoposta a valutazione – ciascuna delle quali potrà essere variamente caratterizzata da modelli operativi e funzionali (permissioned o permissionless; centralized o decentralized), da algoritmi, (consensus algorithms operanti col modello proof-of-work o proof-of- stake, al fine di validare e registrare le transazioni) protocolli informatici/crittografici, smart contracts e modelli di digital-wallet anche molto diversi tra loro – e non una tantum, come avvenuto a suo tempo per il sistema della dematerializzazione, con riguardo ad un unico standard tecnologico/normativo preventivamente validato e poi imposto ex lege. E in tal senso appare allora più che opportuna la possibilità di far ricorso, da parte della Consob, a “revisori indipendenti”, a spese del soggetto istante, al fine di valutare l’idoneità a garantire il rispetto di quei requisiti dei “registri” che fossero sottoposti alla procedura “autorizzativa” ex art. 20. Certo, anche in tal caso, rimane del tutto aperta la questione della estrema delicatezza e complessità concettuale di tale esercizio di valutazione (e validazione) tecnico-giuridica oltre a quella della opportunità di delegare quell’esercizio a soggetti privati, caso per caso, posto che l’obiettivo della normativa così delineata rimane chiaramente quello di tutelare in maniera uniforme beni giuridici primari, quali la “fede pubblica” nei fenomeni circolatori della ricchezza, la funzionalità della governance delle imprese societarie emittenti e la correttezza e trasparenza nel funzionamento dei mercati finanziari; in tal senso si giustifica ampiamente il regime di “riserva di attività” (presidiato da un rigoroso apparato sanzionatorio) per l’istituzione e gestione dei “registri”, oltreché l’imposizione di una nutrita serie di obblighi (artt. 13 e 23), requisiti organizzativi e di governance (art. 24), e responsabilità (art. 26) in capo al “responsabile del registro”.
Può infine osservarsi come dall’impostazione del Decreto Fintech non venga esplicitata la natura e la “fonte” della disciplina che regolerà ciascuna “emissione” di strumenti finanziari digitali (e che, nell’approccio regolatorio – indiretto e delegato – sopra descritto appare di natura essenzialmente contrattuale) che dovrà regolare, di volta in volta e caso per caso, ogni emissione che avvenga su un registro “autorizzato”; e quindi la natura e la fonte dei rapporti che verranno a instaurarsi tra (perlomeno) “emittente”, “responsabile del registro” e “soggetti a favore dei quali sono effettuate le scritturazioni nel registro”. Il Decreto Fintech pare esclusivamente soffermarsi (v. art. 23, 3.) sulla necessita che venga redatto e reso pubblico da parte del responsabile del registro, un “documento” che contenga le informazioni relative alle modalità operative del “registro” e ai dispositivi a tutela della sua operatività tra cui la strategia di transizione di cui all’art. 14; sarebbe stato a nostro avviso più opportuno sancire esplicitamente la natura contrattuale e – ove applicabile – statutaria[15] di tale disciplina prevedendosi dunque espressamente che, in fase “autorizzativa”, oggetto di istruttoria ai sensi dell’art. 20 dovesse essere altresì, nell’ambito della “relazione tecnica” oltre quanto dettagliatamente ivi previsto, anche la complessiva intelaiatura negoziale e statutaria che si intenda adottare da parte dall’emittente/responsabile del registro (soluzione, questa, più esplicitamente adottata, ad es., nella normativa elvetica in materia).
4. Il MICAR
Ad esito di un articolato processo legislativo, Il Consiglio UE in data 16 maggio 2023 ha dunque adottato in via definitiva il “Regolamento del parlamento europeo e del consiglio relativo ai mercati delle cripto-attività e che modifica i regolamenti (UE) n. 1093/2010 e (UE) n. 1095/2010 e le direttive 2013/36/UE e (UE) 2019/1937”, (MICAR), dopo la sua iniziale approvazione del 24 novembre 2021 a cui era seguita la interlocuzione tra i co-legislatori iniziata il 31 marzo 2022 e conclusasi con un accordo provvisorio raggiunto il 30 giugno 2022 a cui era infine seguita l’approvazione da parte del Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) del Consiglio dell’Unione europea il 5 ottobre 2022[16].
Può innanzitutto osservarsi come appaiano utilmente confermate, nell’art. 3 del MICAR, una serie di definizioni che devono ritenersi dunque ormai consolidate nell’impostazione analitica del fenomeno. In primis occorre soffermarsi su quella centrale di “cripto-attività” che individua dunque la categoria generale nell’art. 3, 1. 5) in questi termini: “una rappresentazione digitale di un valore o di un diritto che può essere trasferito e memorizzato elettronicamente, utilizzando la tecnologia a registro distribuito o una tecnologia analoga”; tenendo ferma tale definizione generale, sarà nell’art. 2.2 che, in via negativa, si escluderanno dal suo perimetro di applicazione, inter alia, quelle cripto attività che fossero qualificabili come “strumenti finanziari” (al pari di “moneta elettronica”, “depositi”, “fondi”, “posizioni inerenti a cartolarizzazione” etc.), delimitandosi quindi la sua applicazione, come visto sopra, essenzialmente a “utility token”, “token collegati ad attività” e “token di moneta elettronica” (oltre a eventuali tokens di natura ibrida e residuale)
Con particolare riguardo alla definizione di “utility token”, questo viene descritto nell’art. 1,1. 9) del MICAR come “un tipo di cripto-attività destinato unicamente a fornire l’accesso a un bene o a un servizio prestato dal suo emittente”. Definizione questa che, nella sua sinteticità – che pur appare in linea con la definizione oggi invalsa nella tassonomia specialistica – lascia però aperta una delicata problematica concettuale; quella del ricorso, vieppiù crescente, a ICO che hanno ad oggetto questa categoria di tokens, quale “terza via” (a fianco del tradizionale ricorso a strumenti finanziari, rectius, valori mobiliari, di equity o debito) per il finanziamento di progetti imprenditoriali, spesso proprio con l’obiettivo di sottrarsi all’assai più articolata e impattante disciplina che sarebbe applicabile ove tali tokens fossero invece qualificabili come security tokens; nella sostanza, per modalità ed entità di utilizzo, in relazione a tali (spesso solo “sedicenti” utility tokens) paiono sfumare impercettibilmente le differenze tra i due fenomeni, con conseguente inquinamento delle diverse istanze regolatorie a cui essi dovrebbero rispettivamente dar adito. Problematica assai delicata su cui non possiamo in questa sede soffermarci, rimandando altrove per una più compiuta sua impostazione[17].
Infine, con scelta, a nostro avviso alquanto discutibile[18], il MICAR conferma la scelta di sottrarre dal suo ambito di applicazione i c.c. Non-Fungible Tokens (NFT), affermandosi nell’art. 2, 3. che “Il presente regolamento non si applica alle cripto-attività che sono uniche e non fungibili con altre cripto-attività”.
Passando a considerare l’approccio regolatorio adottato dal Regolamento, come chiarito nell’art. 2, 1., la regolamentazione proposta in relazione a quelli che abbiamo visto essere “utility token”, “token collegati ad attività”, “token di moneta elettronica” (e eventuali, altre categorie residuali/ibride) ha, in via generale, come suo specifico ambito di applicazione l’“emissione”, l’”offerta al pubblico”, l’”ammissione alla negoziazione” di, e la prestazione di servizi connessi a, tali tipologie di “cripto-attività”, da parte di qualsiasi soggetto nel territorio dell’Unione; in questi ambiti, in particolare, la regolamentazione in esame si propone di disciplinare:
- i requisiti di trasparenza e pubblicità in relazione all’emissione[19], offerta al pubblico e ammissione alla negoziazione (su una piattaforma di negoziazione per cripto-attività) dei relativi Tokens qui considerati, incentrato attorno al “White Paper” e alle “comunicazioni di marketing”;
- il regime “autorizzativo” e di vigilanza sui (i) prestatori di servizi e (ii) sugli emittenti di “token collegati ad attività” e “token di moneta elettronica” (non anche, quindi, degli altri tokens interessati, i.e. essenzialmente Utility Tokens);
- i requisiti operativi, organizzativi e di governance in relazione agli emittenti dei “token collegati ad attività” e “token di moneta elettronica” (anche qui, si osservi, non anche in relazione agli altri tokens interessati, i.e. essenzialmente utility token) e ai Prestatori di Servizi;
- la disciplina di protezione dei clienti e possessori in relazione all’emissione, negoziazione e custodia dei crypto-assets;
- misure volte a prevenire fenomeni di market abuse e ad assicurare l’integrità dei mercati in cui vengono negoziati i crypto-assets.
In relazione all’offerta al pubblico e all’ammissione alla negoziazione di “cripto-attività diverse dai token collegati ad attività o dai token di moneta elettronica” (tendenzialmente gli “utility token”, oltre a ulteriori categorie ibride e residuali) la disciplina prefigurata nel Titolo II presenta come suo obiettivo essenzialmente quello della trasparenza informativa (disclosure) incentrandosi sui presìdi informativi da adottare in sede di offerta al pubblico e di marketing; sono poi previsti requisiti minimali in capo all’emittente (o a chiunque richieda l’ammissione alle negoziazioni su una piattaforma di negoziazione): essenzialmente solo quello di essere una “persona giuridica” (“legal person”)[20] e di attenersi ad alcune norme comportamentali (regole generali di correttezza, professionalità, prevenzione dei conflitti di interesse, parità di trattamento); non quindi un regime “autorizzativo” preventivo, né un regime di vigilanza continuativo. Come detto, tutto ruota attorno alla pubblicazione del “White Paper” che abbia certi contenuti specificatamente indicati, da notificare preventivamente all’autorità nazionale preposta (art. 8), oltreché al rispetto di regole da seguire in sede di offerta, e di comunicazioni di marketing e di documentazione pubblicitaria e promozionale.
Nell’art. 4, 2. vengono poi specificate una serie di esenzioni quantitative e qualitative tra cui: a) un’offerta a meno di 150 persone fisiche o giuridiche per ogni Stato membro in cui tali persone agiscono per proprio conto; b) un’offerta al pubblico di una cripto-attività nell’Unione il cui corrispettivo totale, nell’arco di un periodo di 12 mesi a decorrere dall’inizio dell’offerta, non superi 1 000 000 EUR o l’importo equivalente in un’altra valuta ufficiale o in cripto-attività; c) un’offerta di una cripto-attività rivolta esclusivamente agli investitori qualificati dove la cripto-attività può essere detenuta solo da tali investitori qualificati. Similmente la disciplina non si applica, in virtù dell’art. 4, 3.: in caso di offerta gratuita; nel caso in cui la cripto-attività è creata automaticamente a titolo di ricompensa per il mantenimento del registro distribuito o la convalida delle operazioni; nel caso in cui l’offerta riguardi un utility token che fornisce accesso a un bene o servizio esistente o in gestione; nel caso in cui il possessore della cripto-attività abbia il diritto di utilizzarla solo in cambio di beni e servizi in una rete limitata di esercenti con accordi contrattuali con l’offerente.
La soluzione regolatoria prefigurata a livello europeo risulta, dunque, concentrata eminentemente sui profili informativi e sollecitatori, prevedendo per le offerte pubbliche, una disciplina meramente informativa che neppure prevede l’ottenimento di un “visto”[21] preventivo del White Paper e delle “comunicazioni di marketing”, da parte dell’autorità di vigilanza preposta ma una mera notifica, prevedendosi poi una specifica “responsabilità da prospetto” disciplinata nell’art.15. Da questo punto di vista il modello regolatorio adottato pare pienamente rispettoso del, e coerente col, modello operativo e tecnico oggi tipico di ogni ICOs, ed essenzialmente della sua natura disintermediata che vede una attività di offerta/collocamento[22] inestricabilmente e contestualmente svolta ad opera dell’“emittente” in via diretta, (tendenzialmente) senza l’intervento di alcun altro soggetto. E in tal senso, infatti, il perno della regolazione prefigurata dalla Proposta in relazione alla fase di offerta è qui in primis l’offerente[23].
Il punto che pare più “debole” in tale approccio attiene, a nostro avviso, all’assenza di qualsiasi verifica o istruttoria preventiva con riguardo al profilo della affidabilità tecnologica dell’infrastruttura adottata dall’emittente (protocolli, standard tecnici; algoritmi; modello di consensus; etc.), diversamente da quanto visto invece in relazione al Decreto Fintech, seppur con l’approccio regolatorio sopra descritto. E sebbene nell’ambito MICAR, con riferimento quindi ai tokens che non siano qualificabili come security tokens, possano apparire assenti o meno urgenti le istanze di tutela della “fede pubblica”, del “risparmio” e della corretta governance delle imprese organizzate in forma societaria, risulta nondimeno discutibile – in assenza, ad oggi, come visto, di alcun grado di standardizzazione e interoperabilità della tecnologia DLT che possa guidare nella valutazione del grado di affidabilità tecnologica e di cyber-resilienza dell’infrastruttura di volta in volta adottata, aspetto questo su cui riposa ogni aspettativa di certezza, stabilità, affidabilità e legalità delle transazioni che hanno ad oggetto i tokens emessi – una tale lacuna rispetto alle finalità di tutela dei consumatori e investitori[24]; si sarebbe potuto qui delineare un modello di intervento regolatorio (se non diretto) volto (almeno) ad imporre il ricorso ad accreditati “sponsors tecnologici”[25] (figura che avrebbe allora potuto essere ricompresa tra i Service Providers autorizzati a cui imporre il ricorso da parte dell’issuer), a cui affidare una funzione di validazione/certificazione dei protocolli tecnologici adottati, sulla base degli standard di settore e delle best practices via via osservabili sul mercato (come visto sopra è risultato questo l’approccio assai più consapevole e rigoroso adottato nel Pilot Regime e, in maniera ancor più consapevole e articolata, nel Decreto Fintech).
Peraltro, occorre sottolineare come la marcata tecnicità del fenomeno imporrà (seppur solo nei fatti e, per alcuni dei servizi, in via solo eventuale) il ricorso – da parte di qualunque “emittente”/”offerente” intenzionato a progettare ed effettuare una ICO – ad operatori specializzati: i “prestatori di servizi per cripto-attività” appunto, sottoposti invece essi, come di seguito vedremo, ad un articolato e pervasivo regime “autorizzativo” e di vigilanza[26].
Su un altro importante profilo “filosofico” di approccio occorre soffermarsi; l’intero impianto del Regolamento essendo, come, detto, concentrato essenzialmente sul profilo della completezza e correttezza informativa della documentazione richiesta, non si estende in alcun modo al suo contenuto (neppure tecnologico, come visto) e, tanto meno, al “merito” del sottostante progetto (imprenditoriale). Anche da questo punto di vista la scelta che era stata prefigurata in Italia dalla Consob risultava per certi versi diversa; pur evidenziandosi come anche per la Consob, il focus dovesse ritenersi quello della “trasparenza informativa” che ruota attorno al c.d. White Paper (di natura preventiva, periodica e straordinaria[27]), il “Rapporto finale” chiariva infatti bene come rispondesse ad una chiara e consapevole opzione regolatoria quella di voler affidare “in capo ai gestori delle piattaforme la verifica degli adempimenti legati alle verifiche della validità delle operazioni proposte, anche in considerazione della tipologia degli investitori cui le offerte si rivolgono. Tali tipi di verifiche potranno essere dettagliate con misure di secondo livello”[28]. Da questo punto di vista la scelta che era stata prefigurata dal Regolatore italiano seppur pienamente giustificata dalle sottese esigenze di tutela degli investitori, sembra davvero difficile da “normare”, parendo davvero arduo da ipotizzare un ruolo di valutazione/validazione del contenuto imprenditoriale dei progetti sottostanti alle ICOs – il loro “merito” – se non altro per la molteplicità dei contenuti e dei modelli di business che essi possono assumere, per contenuti e fasi di sviluppo, nell’impossibilità quindi di loro standardizzazione e traduzione in “rating”, modelli valutativi, o anche solo descrittivi, significativi e comparabili.
Ben diverso appare il regime disegnato in relazione all’emissione nell’Unione (o ammissione alla negoziazione) di “Token collegati ad attività” nel Titolo III o “Token di moneta elettronica” nel Titolo IV; qui è infatti disegnato un vero e proprio (e articolato) regime “autorizzativo”, sottoposto alla preventiva valutazione dell’autorità competente nello Stato Membro, oltre ad un dettagliato regime di vigilanza di tipo continuativo. Rigidi e dettagliati requisiti operativi, organizzativi, prudenziali e di governance sono poi previsti, (in maniera poi ancor più importante per quelli qualificabili come “significativi”) così come una procedura “autorizzativa” per operazioni di acquisizione che avessero ad oggetto tali “emittenti”.
Anche la disciplina dei “prestatori di servizi per cripto-attività”[29], (nel titolo V) improntata ad un articolato regime “autorizzativo”. La prestazione di tali servizi nel territorio dell’Unione è infatti, riservata solo a “una persona giuridica o un’altra impresa autorizzata”, (oltre a un ente creditizio, un depositario centrale di titoli, un’impresa di investimento, un gestore del mercato, un istituto di moneta elettronica, una società di gestione di un OICVM o un gestore di un fondo di investimento alternativo autorizzato a prestare servizi per le cripto-attività a norma dell’articolo 60) che abbia sede legale in uno Stato membro in cui presta almeno parte dei suoi servizi, oltre alla sede di direzione effettiva nell’Unione e purché almeno uno degli amministratori sia residente nell’Unione (art.59,2.); l’”autorizzazione” così ottenuta opererà con il consueto meccanismo del “passaporto europeo” e consentirà dunque di operare in tutti gli Stati Membri o in libera prestazione di servizi, ovvero tramite insediamento di succursale, parendo che la prestazione di servizi cross-border non debba richiedere comunque la necessità di avere una presenza fisica nello Stato ospite. Vengono poi previsti articolati e dettagliati (i) obblighi comportamentali generali di correttezza, onestà e professionalità; (ii) requisiti prudenziali; (iii) presìdi organizzativi e informativi; (iv) regole di prevenzione e gestione dei conflitti di interessi; (v) regole sull’esternalizzazione di funzioni e (vi) sulla gestione dei reclami. I singoli servizi sono poi disciplinati con un pacchetto di norme ad hoc sostanzialmente ritagliato mutatis mutandis su quello applicabile ad analoghi “servizi di investimento” (negoziazione, raccolta ordini, esecuzione ordini, collocamento, consulenza etc.). Particolare attenzione viene riservata all’attività di “custodia” e “amministrazione” dei tokens e dei fondi di pertinenza della clientela, tale costituendo il momento più critico del processo, quello che sin qui è parso – nella casistica internazionale – il più esposto al rischio di condotte truffaldine a danno degli investitori. Da questo punto di vista la soluzione regolatoria a livello europea appare pienamente in linea con quella che era stata delineata dalla Consob nel Rapporto.
5. Conclusioni
Alla luce di quanto sopra può conclusivamente osservarsi come la disciplina di diritto finanziario dei secuity tokens – anche a seguito del Decreto Fintech che pur ha ora sagacemente disciplinato i profili civilistico-societari della fase di loro “emissione” e “circolazione”- pare rimanere oggi ben più lacunosa rispetto alla disciplina delineata nel MICAR applicabile in relazione alle (sole e diverse) cripto-attività ivi considerate; per colmare tali lacune, infatti, non pare sufficiente la mera equiparazione oggi avvenuta tra “strumenti finanziari” e “strumenti finanziari DLT”, in virtù dell’art 18 del Regolamento Pilot e dell’art. 31 del Decreto Fintech che dovrebbe rendere applicabile ad essi – mutatis mutandis – la disciplina MIFID/TUF. Da un lato quest’ultima disciplina omette ad oggi, ovviamente, di considerare del tutto le specificità, problematiche e istanze di tutela connesse al (preminente e assorbente) contenuto tecnologico DLT; dall’altro lato, rimangono del tutto scoperte dalla riserva di attività e non disciplinate intere (e cruciali) aree di attività aventi ad oggetto tali “strumenti finanziari DLT” che invece sono espressamente e puntualmente presidiate dal MICAR, costituendo “servizi per le cripto attività”. Per avvedersene è sufficiente confrontare la lista dei “servizi” di cui all’art. 3,1., 16) del MICAR con quella dei “servizi e attività di investimento” applicabile in ambito MIFID/TUF, ove non compaiono né il servizio di “custodia o amministrazione”, né quello di “scambio con fondi o con altre cripto-attività”, né quello di “trasferimento per conto di clienti”.
Con riguardo, infine, alla disciplina civilistico-societaria di emissione/circolazione degli “strumenti finanziari digitali” quale ora delineata nel Decreto Fintech, alla luce dell’analisi sopra svolta, ci sentiamo di avanzare una previsione. Considerate le rilevantissime barriere tecnologiche, giuridiche, organizzative e concettuali ivi previste (e a nostro avviso correttamente e inevitabilmente) nel Decreto Fintech per l’approntamento di un “registro” che possa consentire l’emissione e la circolazione di strumenti finanziari digitali (barriere massimamente osservabili in relazione ad azioni e quote societarie, in misura minore per strumenti di debito), può plausibilmente prevedersi[30] che si assista nel futuro ad un fenomeno di concentrazione di tale operatività su pochi operatori (di natura “professionale”, presumibilmente bancaria o già svolgenti già funzioni di depositari centrali) capaci di sviluppare e gestire una tale complessa infrastruttura tecnologica secondo modelli che tenderanno, dunque, ad imporsi come standard di mercato a cui ricorreranno gli emittenti. Nonostante l’encomiabile orientamento perseguito dal legislatore di massima apertura ad un’ampia platea di soggetti che potrebbero ambire ad assumere il ruolo di “responsabile del registro” (v. artt. 3 e 19), pare effettivamente difficile da ipotizzare, perlomeno in questa fase, il massiccio ricorso da parte di una pluralità di operatori a questa evoluzione fintech e, tanto meno, il ricorso autonomo da parte degli emittenti (che pur appaiono tra i soggetti ammessi, seppur limitatamente alle proprie emissioni).
[1] Mi prefiggo in questo scritto di aggiornare e sviluppare le preliminari considerazioni che avevo sviluppato in P. Carriere, Le proposte della Commissione UE per una regolamentazione europea delle cripto-attività (crypto-assets): opportunità e sfide per il mercato italiano, in Diritto Bancario, 5 ottobre 2020, alla luce del quadro normativo venutosi a completare e consolidare per effetto dei recenti provvedimenti, con non indifferenti modifiche riaspetto alle iniziali proposte normative.
[2] Commissione Europea, FinTech Action plan: for a more competitive and innovative European financial sector, marzo 2018, in https://ec.europa.eu/info/publications/180308-action-plan-fintech_en.
[3] Tale approccio risulta in linea con l’orientamento che era stato adottato da Consob col “Rapporto finale” pubblicato il 2 gennaio 2020 (di seguito, il “Rapporto”) nel quale, fornendo riscontro alle questioni emerse dell’ampia consultazione pubblica chiusasi il 5 giugno 2019, confermava sostanzialmente l’impianto regolamentare adottato nel suo “Documento per la discussione” del 19 marzo 2019 (di seguito, il “Documento”) avente ad oggetto “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività” , a cui avrebbe dovuto far seguito una normativa regolamentare domestica, di primo e di secondo livello, ; appare infatti chiaro che a queste fattispecie (e, in particolare, agli Utility Tokens) anch’essa si riferisse quando nel “Rapporto finale” la Consob chiariva di adottare una impostazione definitoria che fosse idonea “a tipizzare le cripto-attività diverse da strumenti finanziari, quale autonoma categoria…” (evidenza aggiunta) e similmente già nel Documento si evidenziava come quello intrapreso risultasse essere “un esercizio definitorio che viene condotto al di fuori del perimetro degli strumenti finanziari e dei prodotti di investimento (PRIIP, PRIP e IBIP), disegnato dal legislatore UE”. Per approfondimenti sul Documento, si rinvia A. Sciarrone Alibrandi, Offerte iniziali e scambi di cripto-attività: il nuovo approccio regolatorio della Consob, in Diritto Bancario online, 4 aprile 2019; M. Nicotra, Il regime giuridico delle ICOs. Analisi comparata e prospettive regolatorie italiane, in Diritto Bancario online, Aprile 2019; P. Carrière, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, in Diritto Bancario online, maggio 2019 e ID., The Italian Regulatory Approach to Crypto-Assets and the Utility Tokens’ ICOs, luglio 2019. BAFFI CAREFIN Centre Research Paper No. 2019-113, in SSRN: https://ssrn.com/abstract=3414937. F. Annunziata, Distributed Ledger Technology e mercato finanziario: dalle prime posizioni ESMA alle ultime proposte, in M.T. Paracampo (a cura di), FinTech. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Vol. II, Torino, 2019, 329 ss
[4] Per effetto dell’art. 18 del Regolamento Pilot, l’art 4, par. 1, punto 15 della Direttiva 2014/65/UE (MIFID 2) è stato sostituito con la nuova definizione di “strumento finanziario” che considera altresì quelli “emessi mediante tecnologia a registro distribuito”; similmente l’art. 31 del Decreto Fintech prevede che “all’articolo 1, comma 2, del TUF, dopo le parole «Allegato I», sono aggiunte le seguenti: «, compresi gli strumenti emessi mediante tecnologia a registro distribuito»”.
[5] Su cui, per primi commenti può rinviarsi a U. Malvagna, Digital securities: prime note sul decreto di attuazione del DLT Pilot, in Diritto Bancario, 20 marzo 2023; V. Lemma, DLT pilot: verso il mercato degli strumenti finanziari digitali, in Diritto Bancario, maggio 2023.
[6] Con riferimento a queste tematiche v. CONSOB, Quaderno Giuridico n. 25 del gennaio 2023, op. cit.; P. Carriere, Il fenomeno delle cripto-attività (crypto-assets) in una prospettiva societaria, in Banca Impresa Società, 2020,3; R. Lener e S. L. Furnari, Modelli organizzativi alla prova delle nuove tecnologie. Prime riflessioni su DAO e i principi generali del diritto dell’impresa, relazione al XII convegno annuale dell’Associazione italiana dei professori universitari di diritto commerciale “Orizzonti del diritto commerciale” “la libertà d’impresa”, Roma, 17-18 settembre 2021; P. Leocani, U. Malvagna, A. Sciarrone Alibrandi, A. Tranquillini, Tecnologia di registro distribuito (distributed ledger technologies – blockchain) per la rappresentazione digitale di strumenti finanziari (security token): tra diritto cartolare e disciplina delle infrastrutture di mercato, in Riv. Dir. Banc., 2022, I, 73; A. Laudanio, Distributed ledger technology e ICOs (una favola giuridica sisifea sul diritto dei mercati finanziari e l’innovazione), in Riv. Dir. Banc., 2023, I, 79.
[7] Rinvio e mi ricollego a P. Carriere, Le proposte della Commissione UE per una regolamentazione europea delle cripto-attività (crypto-assets): opportunità e sfide per il mercato italiano, in Diritto Bancario, 5 ottobre 2020.
[8] E non più, come nell’originaria versione, “valori mobiliari DLT” (“transferable securities”).
[9] Il Regolamento Pilot è poi limitato, in questa fase iniziale, a strumenti non liquidi che rispondano a certi parametri quantitativi.
[10] Non potendosi approfondire ulteriormente in questa sede una tale impegnativa tematica concettuale, rimando a P. Carriere, Il fenomeno delle cripto-attività (crypto-assets) in una prospettiva societaria, in Banca Impresa Società, cit.
[11] Così come già avvenuto in Francia con la Loi Pacte e con la correlata normativa di sua implementazione.
[12] Per una chiara illustrazione di questa evoluzione, v. M. Libertini, I titoli di credito nella dottrina giuscommercialistica italiana, in Orizzonti del Diritto Commerciale, 3/2017, ove, inter alia, può leggersi icasticamente l’affermazione di come “Anche il problema della libertà di emissione è ormai disciplinato, nel senso che si tratta di una “libertà” riservata ai soggetti legittimati per legge all’emissione di strumenti finanziari negoziabili ed inquadrata nella regolazione amministrativa del fenomeno”(p.10).
[13] Pare infatti mancare, ad es., una più articolata disciplina di coordinamento con la fase di custodia da parte dei digital wallet, così come la previsione di un esplicito regime di segregazione degli strumenti finanziari digitali detenuti (registrati) per conto dei “soggetti a favore dei quali è effettuata la registrazione”. Si vedano oltre le Conclusioni.
[14] V. P. Carriere, Cripto-attività quali rappresentazioni “originarie” o “derivative”. Profili di diritto societario e dei mercati finanziari, in CONSOB, Quaderno Giuridico n. 25, op. cit., p.88.
[15] Negli artt. 14 e 15 ci si limita a richiamare la necessità di una apposita disposizione statutaria esclusivamente in merito alla “strategia di transizione” e al “mutamento del regime di forma e circolazione”.
[16] In argomento rinvio a CONSOB, Quaderno Giuridico n. 25 del gennaio 2023, Tokenizzazione di azioni e azioni tokens, a cura di P. Carrière, N. de Luca, M. de Mari, G. Gasparri, T.N. Poli; R. Lener- S.L. Furnari, Contributo alla qualificazione giuridica dell’offerta al pubblico di Utility Token (anche) alla luce della proposta di Regolamento Europeo sulle cripto-attività, in Bocconi Legal Papers, 2021, 16, 63 ss.; R. Lener – S.L. Furnari, Cripto-attività: prime riflessioni sulla proposta della commissione europea. Nasce una nuova disciplina dei servizi finanziari “crittografati”?, in dirittobancario.it, ottobre 2020; F. Annunziata, Verso una disciplina europea delle cripto-attività. Riflessioni a margine della recente proposta della Commissione UE, in dirittobancario.it, ottobre 2020; P. Carriere, Crypto-assets: le proposte di regolamentazione della Commissione UE. Opportunità e sfide per il mercato italiano, in dirittobancario.it, 5 ottobre 2020; V. Ferrari, The regulation of crypto-assets in the EU – investment and payment tokens under the radar, in Maastricht Journal and Comparative Law, 2020, 27 (3), 325 ss.; F. Annunziata, D,W, Arner, R.P. Bukley, The Markets in Crypto-Assets Regulation (MICA) and the EU Digital Finance Strategy, in EBI (European Banking Institute), Working Paper Series, 2020, 77, 1 ss.; F.Mattasoglio, Le proposte europee in tema di crypto-asset e DLT. Prime prove di regolazione del mondo crypto o tentativo di tokenizzazione del mercato finanziario (ignorando bitcoin?), in Riv. dir. banc. (rivista.dirittobancario.it), 2021, 2, 413 ss.; D.Masi, Le criptoattività: proposte di qualificazione giuridica e primi approcci regolatori, in Banca imp. soc., 2021, 2, 241 ss.
[17] P. Carriere, Il fenomeno delle cripto-attività (crypto-assets) in una prospettiva societaria, in Banca Impresa Società, op. cit.
[18] Rinvio al riguardo a P. Carriere, Il Regolamento MICA e il rebus NFT, in dirittobancario.it, aprile 2022 e, successivamente Id. in, Consob, Quaderno Giuridico n.25/2023, p. 64 ss. Per approfondimenti in relazione agli NFT, v. altresì P. Carriere, La “cripto-arte” e i non-fungible tokens (NFTs): tentativi di inquadramento giuridico, op. cit.; ID., Il Regolamento MICA e il rebus NFT, op. cit.; G. Magri, La Blockchain può rendere più sicuro il mercato dell’arte, in Aedon, 2019, 2, 1 ss.; S. Morabito, Profili giuridici degli N.F.T. (non fungible tokens). Tra arte e blockchain in Italia, Business Jus, 2018; Id., Profili giuridici degli N.F.T. (non fungible tokens). Tra arte e blockchain in Italia, in Business Jus, 2021; F. Annunziata – A. Conso, NFT, L’arte e il suo doppio, Milano, 2021; A. Minto, Riflessioni sull’applicabilità della disciplina antiriciclaggio ai Non-Fungible Tokens (“NFT”), in Riv. Dir. Banc., 2023, I, p.31.
[19] In realtà il Regolamento pare poi concentrarsi più sul momento dell’offerta e della negoziazione che non tanto su quello della “emissione”.
[20] la Consob si era mostrata invece più flessibile nel momento in cui riconosceva come gli “emittenti “ possono spesso ben essere oltre a società, anche “persone fisiche o networks di sviluppatori di prodotti”[20] (…) “potendo trattarsi di progetti in uno stato embrionale così come di attività in uno stato di maggiore avanzamento, che possono essere portate avanti tanto da network di sviluppatori (come tipicamente avviene nell’ecosistema Fintech) quanto da imprese che assumono una tradizionale forma societaria”[20]. Cft. Rapporto, par. 3.3 a pag. 9 e par. 2.3 a pag. 4. La scelta di non imporre requisiti di “insediamento territoriale” in uno Stato Membro, in capo all’emittente appariva giustificata dalla intrinseca e specifica natura del fenomeno, massimamente ispirato ad una filosofia di globalizzazione, decentralizzazione e disintermediazione, venendo altrimenti esclusa qualunque possibilità di offrire tokens a soggetti investitori residenti nella UE, per tutte quelle ICO che fossero progettate/e create/collocate all’/dall’esterno dei suoi confini e/o da soggetti esteri privi di stabilimento all’interno di essa. Diversa è la scelta adottata in Francia, laddove l’accesso al mercato francese in qualità di émetteur des jetons è limitato alle sole società “établie ou immatriculée en France”, scelta che sottende la necessità di poter godere di strumenti di enforcement ma forse anche l’opzione di voler riservare l’accesso al mercato domestico solo a quelle ICO che appaiano meritevoli in base a valutazioni di politica industriale nazionale.
[21] Come invece previsto, ad es., nella disciplina francese.
[22] Sebbene, si osservi, nella Proposta si ricostruisca il contenuto di quella che può essere una distinta e connessa attività di placement, costituente in tal senso uno dei “servizi” regolati.
[23] Si è correttamente abbandonata la prospettiva inizialmente adottata che faceva perno sul soggetto definito “emittente”.
[24] Peraltro la problematica pare ben presente al legislatore europeo: cfr. Il considerando n. 4 della Proposta Pilot Regime, dove può leggersi come “regulatory gaps exist due to legal, technological and operational specificities related to the use of DLT and crypto-assets that qualify as financial instruments. For instance, there are no transparency, reliability and safety requirements imposed on the protocols and smart contracts underpinning crypto-assets that qualify as financial instruments. The underlying technology could also pose some novel forms of cyber risks that are not appropriately addressed by existing rules”.
[25] Per l’approfondimento di queste opzioni, cfr.; P.Carriere, Possibili approcci regolatori al fenomeno dei crypto-asset; note a margine del documento di consultazione della Consob, op. cit., par. 71.
[26] Si osservi pero, a tal riguardo, come nel MICAR i servizi di “gestione di una piattaforma di negoziazione”, di “custodia e amministrazione” e quello di “collocamento” di cripto-attività, sono previsti come possibili autonomi servizi, distinti quindi dall’emissione. Le istanze di controllo e validazione della sottostante infrastruttura tecnologica DLT potrebbero forse essere veicolate attraverso il ricorso (necessario) ai Servicer Providers che prestino tali servizi una volta emessi i tokens .
[27] Cfr. Rapporto, par.3.3, p. 9.
[28] Così Rapporto, par.3.3, p. 10.
[29] E cioè: a) prestazione di custodia e amministrazione di cripto-attività per conto di clienti; b) gestione di una piattaforma di negoziazione di cripto-attività; c) scambio di cripto-attività con fondi; d) scambio di cripto-attività con altre cripto-attività; e) esecuzione di ordini di cripto-attività per conto di clienti; f) collocamento di cripto-attività; g) ricezione e trasmissione di ordini di cripto-attività per conto di clienti; h) prestazione di consulenza sulle cripto-attività; i) prestazione di gestione di portafoglio sulle cripto-attività; j) prestazione di servizi di trasferimento di cripto-attività per conto dei clienti.
[30] Nonostante i condivisibili auspici avanzati in dottrina: cfr. V. Lemma, DLT pilot, cit., 33.