Massima
La Banca che voglia ingiungere il pagamento di un proprio credito ha l’onere di produrre non soltanto la documentazione contrattuale ma anche tutti gli estratti di conto corrente o, comunque, tutta la documentazione contabile comprovante l’esistenza e l’andamento del rapporto dalla sua origine sino all’ingiunzione di pagamento; tale onere probatorio, peraltro, non può limitarsi agli estratti di conto corrente degli ultimi dieci anni ex art. 119 TUB, stante la diversa ratio della richiamata norma.
Commento
L’ordinanza che ci occupa è – a dir poco – rivoluzionaria in termini di prassi. Vero è che l’orientamento non è nuovo, ma è certamente innovativo e, ad onor del vero, non senza un’apprezzabile logica. Questi i fatti. Una Banca deposita il classico ricorso per decreto ingiuntivo – par di capire – per un’esposizione di conto corrente; il decreto viene emesso provvisoriamente esecutivo, ma il cliente notifica alla Banca l’atto di citazione in opposizione. Alla prima udienza l’opponente chiede la sospensione della provvisoria esecuzione, mentre la Banca, ovviamente, si oppone. Il Giudice, rilevata la mancata produzione di tutti gli estratti di conto corrente a far tempo dalla nascita del rapporto, sospende la provvisoria esecuzione con la seguente motivazione, che merita di essere integralmente riprodotta:
“[…] considerato che, secondo il maggioritario orientamento giurisprudenziale, quando, nelle controversie in materia di contratti bancari, l’istituto di credito riveste la posizione di parte attrice (in senso sostanziale, e quindi anche la posizione di opposta nelle cause di opposizione a decreto ingiuntivo), ha l’onere di provare i fatti costitutivi posti alla base della propria pretesa creditoria; ciò che si traduce nella necessità di produrre, oltre al documento contrattuale, tutti gli estratti conto relativi alla intera durata del rapporto, senza che possa essere utilmente invocata l’insussistenza di un obbligo di conservare le scritture contabili per oltre dieci anni ai sensi degli artt. 2220 c.c. e 119 T.U.B., “perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito” (cfr. Cass. Sez. I n. 23974 del 25/11/2010; Sez. I n. 1842 del 26/01/2011)”.
La motivazione è chiara e – nel nostro piccolo – avevamo già anticipato il tema in un precedente commento sull’onere probatorio della Banca in sede di insinuazione fallimentare. Sol che, in quel caso, ci si era limitati a ritenere che l’onere probatorio della Banca fosse assolto in tanto in quanto essa producesse gli estratti di conto corrente relativi agli ultimi dieci anni, in ossequio all’obbligo di cui alle sopra richiamate norme di cui all’art. 2220, comma 1, cod. civ. (“Le scritture devono essere conservate per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione”) ed art. 119, comma 4, TUB, che disciplina il diritto del cliente a: “copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni”.
In questo quadro, invece, l’ordinanza de qua recupera la distinzione tra “onere” ed “obbligo”, spesso obliata nel linguaggio, che pare quasi libresca, ma che è di fondamentale importanza. Riporto, a tal proposito, le illuminanti definizioni di Alberto Trabucchi: “La subordinazione di una persona, con l’imposizione di un obbligo, consiste nel sacrificio di un interesse proprio rispetto a un interesse altrui, e corrisponde a un comando che deve essere rispettato”; mentre: “Del tutto diversa è la subordinazione in cui viene a trovarsi il soggetto sottoposto a un onere. Nell’onere, il sacrificio dell’interesse proprio è imposto con riguardo a un altro interesse proprio da curare, e, pertanto, la relativa imposizione corrisponde a un comando finale stabilito in vista del raggiungimento di un determinato fine, quasi per una norma tecnica. Esempio di obbligo: il debitore deve pagare (norma etica); esempio di onere: l’acquirente, se vuole assicurarsi contro altre alienazioni del bene immobile acquistato, deve sottoporsi alle formalità della trascrizione (imperativo ipotetico)” (A. Trabucchi, “Istituzioni di diritto civile”, Quarantesima edizione, CEDAM, pagg. 59/60).
Premessa questa distinzione, l’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ. è, per l’appunto, un onere, e la misura di tale onere non può riposare su norme – come sono l’art. 2220 cod. civ. e l’art. 119 TUB – che riguardano, viceversa, un obbligo, e precisamente l’obbligo di tenuta delle scritture contabili per dieci anni. In altre parole, non è scritto da nessuna parte – e, per essere più forbiti, è una deduzione priva di aggancio normativo – che l’ampiezza dell’onere probatorio di cui all’art. 2697 cit. coincida con l’ampiezza dell’obbligo di cui all’art. 2220 cit. e che, per l’effetto, la Banca possa assolvere al proprio onere probatorio producendo soltanto gli estratti di conto corrente comprovanti gli ultimi dieci anni di durata del rapporto bancario.
Si dirà che è assurdo gravare le Banche di un onere probatorio avente un’ampiezza maggiore rispetto a quella dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili. Ma, a ben pensare, è diversa la ratio delle norme in commento.
Da un lato, infatti, il Legislatore impone la conservazione delle scritture contabili per dieci anni dalla data dell’ultima registrazione al fine, senz’altro, di limitare nel tempo i gravosi adempimenti contabili a carico dell’imprenditore, ma, soprattutto, al fine di consentire, a tutti coloro i quali abbiano a contestare l’attività dell’imprenditore, di poterne chiedere l’esibizione delle scritture contabili, che si tratti di privati piuttosto che di organi della P.A. (il termine decennale coincide – guardacaso – con quello della prescrizione ordinaria); in questo sta il sacrificio dell’interesse proprio a vantaggio dell’interesse altrui, senza che in questa prospettiva possa includersi anche la predisposizione di mezzi di prova dei diritti di credito dell’imprenditore.
Dall’altro lato, invece, l’onere della prova, per essere pienamente assolto, postula un diverso sacrificio dell’interesse proprio per la cura di un altro interesse proprio: è, in effetti, interesse dell’imprenditore conservare tutte le scritture contabili che dimostrino non soltanto l’attuale esistenza dei rapporti intrattenuti con i terzi, ma anche la loro genesi ed il loro andamento sino al prodursi dell’evento in contenzioso, se vuole salvaguardare la possibilità di assolvere al relativo onere probatorio in giudizio.
D’altra parte, se è vero che l’obbligo di conservazione delle scritture contabili è limitato agli ultimi dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, nulla impedisce all’imprenditore di conservare le scritture contabili anche per un tempo maggiore, quantomeno nei casi in cui il rapporto sia ancora in essere e, quindi, sia più elevato il rischio dell’insorgenza di situazioni di contenzioso, tali per cui il medesimo debba assolvere al suddetto onere probatorio.
Ecco allora che l’ordinanza in commento, in uno con la richiamata giurisprudenza del Supremo Collegio (che di seguito si riporta, a mò di sintesi), trova una sua corretta dimensione, puntualizzando la differenza tra onere ed obbligo, con la diversa ampiezza dei sacrifici imposti dall’uno e dall’altro; ciò vale anche per la Banca che intenda assolvere all’onere della prova dell’esistenza del proprio credito, senza poter all’uopo invocare il semplice obbligo di conservazione delle scritture contabili per dieci anni: “Nei rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all'onere di provare il proprio credito invocando l'insussistenza dell'obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell'ultima registrazione, in quanto tale obbligo volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all'attività imprenditoriale non può sollevarla dall'onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore. (Cassa con rinvio, App. Genova, 23/01/2005)” (Cass. civ. Sez. I, 26.01.2011, n. 1842).