Il recente Decreto Liquidità approvato dal Consiglio del Ministri ed in fase di pubblicazione include, fra l’altro, misure volte a garantire la continuità delle imprese durante l’attuale emergenza sanitaria. Fra queste spiccano importanti disposizioni finalizzate a disciplinare la gestione della crisi d’impresa e dell’insolvenza in modo appropriato in considerazione della situazione contingente.
Per il vero non si tratta unicamente di misure volte a favorire la continuità aziendale, avendo esse un ambito più esteso che ricomprende altresì le vicende liquidatorie delle imprese in crisi, anch’esse ritenute meritevoli di attenzione da parte del legislatore.
La disposizione di maggiore impatto e più attesa, in questo contesto, è il differimento di un anno, al 1 settembre 2021, dell’entrata in vigore del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza.
Vi è poi la previsione che sottrae le imprese al fallimento, sancendo l’improcedibilità delle istanze per dichiarazione di fallimento depositate dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020.
In aggiunta a tali misure, che riguardano procedure concorsuali non ancora instaurate, vi sono disposizioni concernenti quelle pendenti alla data di entrata in vigore del Decreto, su cui ci soffermiamo brevemente qui appresso.
Sul tema il legislatore d’emergenza interviene con disposizioni articolate, che assumono particolare rilievo in quanto funzionali alla gestione delle crisi d’impresa nell’ambito di procedure già indirizzate verso una soluzione concordata con il ceto creditorio, sia nei casi in cui esse siano già state omologate che nelle ipotesi di procedure che si trovano nella fase di pre-concordato o in una fase comunque antecedente all’omologazione.
Il Decreto Liquidità disciplina le predette vicende attraverso una pluralità di disposizioni, accomunate dall’intento di salvaguardare gli strumenti alternativi al fallimento, in particolare al fine di evitare che l’attuale emergenza sanitaria possa comprometterne il regolare funzionamento, con ricadute negative sulla conservazione delle strutture imprenditoriali, sulla forza lavoro e sul ceto creditorio.
In questa prospettiva sono considerati, anzitutto, i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione già omologati.
In relazione a tali procedure viene stabilita la proroga di sei mesi dei termini di adempimento aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 ed il 30 giugno 2020 (così nella bozza di Decreto esaminata dal Governo), con l’intenzione di non considerare il periodo emergenziale in corso ai fini della mora. I ritardi che ne scaturiscono non vanno considerati quali inadempimenti, valutazione che, come si evince dalla Relazione accompagnatoria, rileva anche ai fini della verifica dei presupposti per la risoluzione del concordato preventivo.
Può esservi una pluralità di diverse fattispecie riconducibili alla medesima esigenza di differimento dei termini di adempimento affrontata dalla norma.
Tra esse vi è certamente l’ipotesi di più agevole inquadramento, riferita al caso in cui la società ammessa al concordato debba eseguire specifici adempimenti i cui termini scadano nel predetto periodo di moratoria: tali termini sono ora prorogati di sei mesi a partire dalla scadenza originaria.
Vi è tuttavia anche l’ipotesi, tutt’altro che infrequente, che il concordato o l’accordo ex art. 182bis l. fall. preveda, post omologa, l’attuazione di un complessivo assetto di adempimenti, che costituisce la tipica estrinsecazione dell’adempimento del piano predisposto dal debitore a supporto della proposta al ceto creditorio. Non è irragionevole pensare che, avuto riguardo alla ratio, la nuova norma possa essere intesa nel senso che il medesimo periodo di moratoria di sei mesi debba operare (anche) per differire il termine finale di adempimento del concordato o dell’accordo di ristrutturazione.
A favore della predetta valutazione unitaria dei complessivi adempimenti della società debitrice risiede, in primo luogo, il riferimento letterale ai “termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati”. Inoltre, il termine finale degli adempimenti previsti nel piano omologato assume specifico rilievo ai fini della risoluzione del concordato, ai sensi dell’art. 186 l. fall. Norma che com’è noto prevede, da un lato, che la risoluzione non può essere chiesta nei casi di inadempimento di scarsa importanza (in coerenza con l’istituto generale di cui all’art. 1455 cod. civ.); d’altro lato stabilisce, al terzo comma, che la risoluzione può essere chiesta entro un anno dalla scadenza del termine “fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato”. Quest’ultima disposizione conferma la rilevanza sistematica del termine finale di adempimento del piano, intrinseca alla logica della procedura concorsuale minore, e fa emergere il collegamento tra termine previsto per l’adempimento del concordato, proroga del medesimo in virtù della decretazione d’urgenza e valutazione di non scarsa importanza dell’inadempimento ex art. 186 l. fall.
Ulteriore fattispecie che merita di essere considerata, nel predetto ambito, attiene all’ipotesi in cui i pagamenti previsti nella procedura omologata siano oggetto di piano rateale di pagamento. La proroga di sei mesi delle rate scadenti sino alla data ultima del periodo considerato, senza conforme proroga dei termini successivi, comporterebbe il sovrapporsi delle rate con l’effetto di sommare alle rate successive quelle precedenti, con un esito in contrasto con la ratio della norma, tanto più se si considera che simile effetto si produrrebbe, potenzialmente, già da luglio 2020 (considerando il termine del 30 giugno 2020 indicato nella bozza di Decreto), in una fase pienamente inclusa nella situazione di emergenza. Pertanto la proroga dei termini dovrebbe qui avere l’effetto di allungare il piano rateale per un periodo di sei mesi, senza modificare il numero delle rate, ciò peraltro in sintonia con quanto osservato in precedenza in merito agli effetti della moratoria sulla durata complessiva della procedura.
Va soggiunto che le riflessioni poc’anzi svolte trovano coerente connessione anche con l’altra misura introdotta dal Decreto Liquidità, di cui si accenna subito appresso. Ci riferiamo specificamente alla norma che consente al debitore già ammesso al concordato preventivo, con una proposta che ha pure già ottenuto l’approvazione in sede di adunanza dei creditori, e dunque in attesa unicamente dell’omologazione, di modificare unilateralmente i termini di pagamento previsti nel piano prorogandoli di sei mesi. Soluzione che risulta ragionevolmente riferibile anche alla società che si trovi nell’analoga situazione, avendo però (anche) superato il giudizio di omologazione.
Una seconda misura prevista dal Decreto Liquidità riguarda le procedure pendenti al 23 febbraio 2020, in fase ante omologa.
Al riguardo si prevede che, sino all’udienza di omologa, l’impresa possa presentare istanza per la concessione di un termine non superiore a novanta giorni, finalizzato alla presentazione di una nuova proposta di concordato (salvo che la precedente proposta sia già stata respinta dal ceto creditorio) o di un nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti, sì da tenere conto dei fattori economici sopravvenuti durante l’emergenza epidemica. Il nuovo termine decorre dalla data del provvedimento con cui esso viene concesso, in modo da opportunamente evitare che i tempi di decisione (in particolare in questa fase, avente obiettive difficoltà operative per parti e giudici) possano erodere il tempo assegnato per la modifica del piano. E’ da ritenere che in merito alla nuova proposta debba rinnovarsi l’iter connesso all’attestazione del piano, al parere del commissario giudiziale e al voto dei creditori.
Viceversa il rinnovo di tale iter è chiaramente escluso nell’altra ipotesi (di cui sopra si è fatto cenno) in cui l’impresa intenda modificare unicamente i termini di adempimento del concordato preventivo o dell’accordo di ristrutturazione. In tal caso è previsto infatti il deposito di apposita memoria, sempre entro l’udienza di omologa della procedura, contenente l’indicazione dei nuovi termini con la documentazione che comprova la necessità della modifica, che dovrà essere integrata dal parere favorevole del commissario giudiziale. La proroga dei termini non può essere superiore a sei mesi.
Ulteriore disposizione riguarda la fase introduttiva del concordato o dell’accordo di cui all’art. 182bis l. fall. Ai fini della presentazione del piano e della proposta l’impresa può ottenere ulteriore proroga del termine massimo già concesso ed eventualmente prorogato ai sensi di legge, indicando gli elementi che rendono necessaria la concessione della proroga con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica; in caso di concordato è richiesto il parere favorevole del commissario giudiziale. La proroga può essere concessa anche in caso di pendenza di istanza di fallimento. Il termine non può essere superiore a novanta giorni, che, analogamente a quanto espressamente previsto per l’ipotesi di modifica della proposta, andrebbe inteso con decorrenza dal decreto di concessione della proroga stessa.
Il legislatore non ha invece sancito espressamente la sospensione, in questa fase emergenziale, dei termini di presentazione del piano e di quelli intermedi riguardanti le relazioni periodiche e gli altri adempimenti che caratterizzano, in particolare, la fase di pre-concordato. Termini di cui è dibattuta la natura processuale, stante il carattere misto processuale e sostanziale che connota le procedure concorsuali minori. Dopo i primi decreti legge di sospensione dei termini processuale legati al coronavirus, parte della giurisprudenza ha affermato che il termine per la presentazione del piano, di cui al sesto comma dell’art. 161 l. fall., è sospeso al pari di quelli propriamente processuali e per il medesimo periodo.
E’ tuttavia auspicabile il chiarimento sia riguardo ai predetti adempimenti che per gli stessi termini previsti dal Decreto Liquidità: i sopra descritti nuovi termini di novanta giorni, per depositare la proposta o per modificare quella già presentata, sono sospesi come quelli processuali ai sensi dall’art. 83 del D.L. 17 marzo 2020 n. 18 (sospensione da ultimo prorogata sino al 11 maggio 2020) o possono decorrere anche durante la sospensione dei termini processuali?
E’ auspicabile un chiarimento e comunque un coordinamento delle norme descritte, così da scongiurare difformità interpretative ed applicative su tali questioni.