Con la sentenza 6651 la Cassazione si è pronunciata su una controversia tra l’Agenzia delle Entrate e una s.p.a., alla quale veniva contestata la mancata separata indicazione in dichiarazione dei cosiddetti costi black list.
L’Amministrazione Finanziaria proponeva ricorso per cassazione avverso al sentenza di secondo grado, denunciando la mancata irrogazione della sanzione pari al 10% dei costi non dichiarati, di cui l’art. 1, comma 302, L. n. 296/2006.
Nei precedenti gradi di giudizio era stata constatata che la posizione del contribuente risultava essere sanata attraverso la presentazione di dichiarazione integrativa.
Tale posizione non è stata confermata dalla Suprema Corte. Infatti accogliendo la tesi dell’Agenzia delle Entrate, è stato precisato che la facoltà di emendare la dichiarazione attraverso la presentazione del ravvedimento operoso trova tuttavia un limite nella circostanza in cui la violazione posta in essere non sia già stata constatata o non siano iniziate operazioni di accesso, ispezione, verifica o altre attività di accertamento.
Con la conseguenza per il contribuente di non poter emendare la dichiarazione, allegando errori di fatto o di diritto sotto il profilo meramente formale ed incidenti sull’obbligazione tributaria, in sede contenziosa ed anche oltre il termine previsto per l’integrazione della dichiarazione.
In più se venisse concessa ex post la possibilità di sanare la posizione irregolare del contribuente essa si presenterebbe in netto contrasto sia con l’efficacia della sanzione sia con il principio di efficienza e buon andamento dell’amministrazione finanziaria sancito nell’art. 97 della Costituzione.
Discorso peculiare concerne il piano sanzionatorio. Secondo giurisprudenza consolidata della Corte di Legittimità le modifiche apportate al D.P.R. n. 917 del 1998, art. 110, commi 10 e 11 dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 301, 302 e 303, devono necessariamente essere interpretate nel senso che l’abolizione del previgente regime di indeducibilità dei costi c.d. black list, concernente la mancata separata indicazione in dichiarazione, e la sostituzione ad esso di un sistema di meno gravose sanzioni amministrative hanno carattere retroattivo.
Il quadro normativo così delineato prevede che la deducibilità dei costi derivanti da operazioni con società localizzate in stati o territori a fiscalità privilegiata è subordinata soltanto alla prova dell’operatività dell’impresa estera contraente ed all’effettività delle transazioni commerciali, e dove l’indicazione separata dei relativi costi acquista carattere meramente formale passibile unicamente di sanzioni amministrative.
Secondo la Suprema Corte tali sanzioni devono essere però applicate “quand’anche si fosse ritenuta efficacemente emendata la violazione formale cui le sanzioni sono riferite”, come affermato nel D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, comma 8.
Come ultimo profilo di analisi la Corte di Legittimità si è espressa sull’irrilevanza dello ius superveniens, in riferimento alla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 142, lett. a). Secondo i giudici l’irretroattività della nuova disciplina si evince, oltre che dall’art. 11 delle preleggi, soprattutto dalla specifica disciplina transitoria di cui al medesimo art. 1, comma 144, dove viene previsto che “le disposizioni di cui ai commi 142 e 143, si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2015”.