La sentenza in oggetto attiene alla disciplina riguardante i costi sostenuti con soggetti residenti in paesi aventi regime fiscale privilegiato. Normativa che ha subito numerose modifiche legislative; l’ultima di esse è stata introdotta dalla legge di stabilità per il 2016 che, dopo anni di regole fiscali probatorie particolarmente rigorose, ha ricondotto i requisiti di deducibilità di tali spese ad un regime ordinario.
Il giudizio della Corte di Cassazione riguarda una contestazione mossa dall’Agenzia delle Entrate in merito alla asserita indeducibilità di componenti negativi di reddito relativi ad acquisti di merce da un soggetto residente in un paese di avente una regime fiscale privilegiato compreso nella c.d. black list di cui al d.m. del 23 gennaio 2002.
In particolare, il rilevo riguarda la violazione della norma che imponeva l’indicazione in apposito rigo della dichiarazione dei redditi dei corrispettivi di cui sopra al fine di consentirne la deducibilità. La sentenza è articolata poiché la fattispecie è stata oggetto di ius superveniens – a favore del contribuente – successivo alla commissione dell’irregolarità.
La commissione tributaria regionale emetteva sentenza affermando che: (i) in ragione della modifica intervenuta successivamente alla commissione della violazione (con l’art. 1, comma 301 della legge 27 dicembre 2006, n. 296) il presupposto originario dell’avviso di accertamento era venuto meno (difatti la modifica legislativa ha derubricato la sanzione della mancata indicazione nel rigo della dichiarazione dei redditi da indeducibilità delle spese a mera violazione formale, fermo restando i presupposti sostanziali di inerenza delle spese); (ii) avendo parte ricorrente presentato istanza di accertamento con adesione, la stessa avrebbe introdotto volontariamente in giudizio di merito altrimenti escluso; (i) la deducibilità delle spese sarebbe stata provata dall’effettività della transazione e della coerenza di essa con l’attività svolta; (iv) erano in ogni caso dovute le sanzioni.
La decisione della Corte di cassazione è articolata in quanto sono numerosi i motivi di ricorso. Da un lato, l’Agenzia, in qualità di ricorrente principale, ricorre per violazione o falsa applicazione della norma avendo, la Commissione tributaria regionale, ritenuto provata la deducibilità dei costi in ragione della mera inerenza di essi rispetto all’attività svolta. L’Agenzia delle entrate ritiene invece che sia richiesta un’ulteriore dimostrazione di convenienza economica. Con il secondo motivo, l’ufficio deduce insufficienza della motivazione per avere ritenuto, la commissione tributaria regionale, dimostrata la deducibilità dei costi per il fatto che le spese erano relative a pellame, tenuto conto che la società svolgeva attività di confezionamento di capi di abbigliamento (compresi quelli in pelle) e che tali spese erano documentate da bollette doganali, omettendo così di dimostrare l’esistenza di un effettivo interesse economico all’effettuazione dell’operazione.
I motivi di ricorso incidentale presentati dal contribuente, riguardano il fatto che il giudice di secondo grado, pur avendo ritenuto venuta meno, a seguito delle modifica legislativa, la violazione contestata dall’ufficio, ha ritenuto legittimo l’ampliamento della materia del contendere anche ad aspetti di carattere sostanziale, a seguito dell’istanza di accertamento con adesione. Il contribuente eccepisce, inoltre, che la CTR, pur avendo ravvisato la violazione del contraddittorio (la norma sui c.d. costi black list, prevedeva un obbligo di chiedere la contribuente di fornire le prove atte a conferire la deducibilità delle spese), non avrebbe sancito la nullità dell’atto per il solo fatto che il contribuente, nella fase di “adesione”, avrebbe avuto la possibilità di conoscere quanto eccepito dall’ufficio. In ultimo, con il terzo motivo di ricorso incidentale, il contribuente chiede la cassazione della sentenza ove afferma applicabili le sanzioni.
In relazione al secondo motivo di ricorso, la Cassazione lo ritiene fondato. Difatti, il giudice di secondo grado si limita ad affermare, genericamente, un’astratta pertinenza della merce acquistata con l’oggetto dell’attività mentre, non consentendo di comprendere, in tal modo, come si sia formata il giudizio sulla adeguatezza e pertinenza della documentazione prodotta dal contribuente (ricordiamo che il giudice di merito deve indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento attraverso una disamina logica e giuridica).
L’accoglimento del secondo motivo di ricorso, non può tuttavia condurre alla cassazione della sentenza impugnata, potendo rivelarsi ostativo a tale esito il giudizio riguardante i motivi di ricorso incidentale.
Passando quindi a tali motivi, e soffermandoci su quello accolto dalla Cassazione (il primo ed il terzo motivo di ricorso incidentale sono respinti) che attiene – peraltro – al diritto al contraddittorio, osserviamo che il giudice di legittimità ha affermato che l’interlocuzione avutasi tra ufficio e contribuente in conseguenza della procedura di adesione, non può sostituire il diritto del contribuente ad essere previamente avvertito ed essere messo in grado, di conseguenze, di fornire le proprie argomentazioni, non essendo un istituto, l’accertamento con adesione, volto a consentire all’ufficio di modificare o integrare le poste a fondamento dell’atto impositivo.
Ne consegue, pertanto, che l’obbligo di richiedere al contribuente di fornire le giustificazioni richieste costituisce un adempimento la cui inosservanza determina un vizio di legittimità dell’atto impositivo. Ciò in ottemperanza all’obbligo di consentire il corretto dispiegarsi del corretto contraddittorio procedimentale.
In conclusione il giudice rigetta entrambi i ricorsi e resta pertanto confermata la deducibilità delle spese sostenute con soggetti residenti nei paesi black list e resta ferma l’applicazione delle sanzioni pari al 10 per cento dei corrispettivi con un limite massimo di 50.000 euro.