Nelle contrattazioni finanziarie, la nullità per carenza di forma scritta convenzionale del singolo ordine non è rimessa alla sola volontà del cliente ma può essere fatta valere anche dall’intermediario, a differenza della c.d. “forma di protezione” di cui agli artt. 6, co. 1, lett. c) l. 1/91, 18 d.lgs. 415/96 e, ora, 23 TUF, che prevedono la forma scritta dei contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento a pena di nullità eccepibile dal solo investitore. Infatti, qualora le parti abbiano previsto la forma scritta del singolo ordine per la sua validità, essa trova fondamento non soltanto nel fine di assicurare una maggiore ponderazione da parte dell’investitore, ma anche in quello di garantire all’intermediario la serietà di quell’ordine e permettergli una più agevole prova della richiesta ricevuta, qualora sia convenuto, da parte del cliente, in responsabilità in ordine all’operazione stessa.
Nel caso di specie, l’investitore aveva convenuto in giudizio la banca chiedendo il risarcimento del danno derivato dal rifiuto da parte dell’intermediario a eseguire un’operazione in contratti derivati il cui ordine non era stato impartito per iscritto, nonostante le parti avessero pattuito, per i singoli ordini, una forma scritta convenzionale. La Suprema Corte, ribaltando la decisione del giudice di merito, ha ritenuto che la mancanza di forma scritta dell’ordine legittimava pienamente la banca a non eseguirlo.
Con la sentenza in esame la Corte ha confermato gli orientamenti di legittimità che hanno chiarito come la forma scritta sia prevista ex lege per il contratto quadro ma non per i singoli ordini (Cass. Civ., n. 7283/2013, Cass. Civ., n. 10598/2005, Cass. Civ., n. 11495/2001), salvo che siano state le parti stesse a prevederla ai sensi dell’art. 1352 c.c. (Cass. Civ., n. 3950/2016) e che hanno riconosciuto la legittimazione di entrambi i contraenti alla deduzione della nullità per difetto di forma scritta convenzionale (Cass. Civ., n. 909/1980 e Cass. Civ., n. 13020/2014).