L’art. 6 del D.L. n. 193/2016 disciplina la definizione agevolata dei carichi inclusi in ruoli affidati agli agenti della riscossione dal 2000 al 2015. In particolare, grazie alla novella legislativa il debitore può estinguere il proprio debito verso l’agente della riscossione senza corrispondere: (i) le sanzioni incluse in tali carichi, (ii) gli interessi di mora e (iii) le sanzioni e le somme aggiuntive connesse ai contributi previdenziali.
Per poter accedere alla suddetta procedura agevolata, il debitore deve darne comunicazione all’agente della riscossione mediante apposita dichiarazione entro il 23 gennaio 2017 (i.e. entro 90 giorni dall’entrata in vigore del D.L. n. 193/2016; termine che scade precisamente domenica 22 gennaio 2017 e viene posticipato al primo giorno successivo non festivo).
Tale dichiarazione deve essere presentata compilando il modello n. DA1, disponibile sul sito internet dall’agente della riscossione www.gruppoequitalia.it, e consegnando lo stesso (i) presso gli Sportelli dell’Agente della riscossione, ovvero (ii) trasmettendo il modello alla casella e-mail di posta elettronica certificata (PEC) della Direzione Regionale di Equitalia Servizi di riscossione di riferimento, unitamente alla copia del proprio documento di identità.
In tale modello il debitore è tenuto ad indicare, inter alia, oltre alle proprie generalità:
(i) l’indirizzo di domiciliazione (presso un indirizzo PEC; la propria abitazione; il proprio ufficio/la propria azienda; oppure altro eventuale domiciliatario);
(ii) il numero della cartella di pagamento emessa da Equitalia;
(iii) il numero dell’avviso di accertamento esecutivo emesso dall’Agenzia delle Entrate/Dogane e Monopoli;
(iv) il numero dell’avviso di addebito emesso dall’Inps;
(v) l’indicazione analitica dei carichi di ogni cartella/avviso per i quali intende aderire alla definizione agevolata;
(vi) le modalità di versamento dell’importo dovuto a titolo di definizione agevolata: in un’unica soluzione, ovvero con pagamento dilazionato e, in tale ultimo caso, il numero di rate nel quale intende effettuare il pagamento (sul punto, si segnala che con la legge di conversione del D.L. n. 193/2016 il numero delle rate potrebbe essere aumentato, ovvero i termini per il versamento delle stesse potrebbero essere posticipati rispetto a quelli previsti dal decreto in commento);
(vii) l’inesistenza di giudizi pendenti aventi ad oggetto i carichi oggetto di definizione agevolata;
(viii) nel caso di esistenza di giudizi pendenti relativi ai carichi oggetto di definizione agevolata, l’impegno a rinunciare ai medesimi giudizi.
Proprio con riferimento a tale ultimo punto (viii), ovverosia ai giudizi pendenti, sussistono alcune delle maggiori perplessità applicative del decreto fiscale in esame.
Infatti, nel caso di giudizi pendenti deve essere verificato con attenzione l’ammontare delle somme che possono beneficiare della definizione agevolata, poiché potrebbero variare a seconda dello stato e grado del giudizio in corso (non è detto che l’intero ammontare del debito contestato dinanzi alle commissioni tributarie, insomma, possa beneficiare dell’agevolazione in parola).
Come anticipato, le somme definibili in via agevolata sono quelle incluse in ruoli affidati agli agenti della riscossione, per tali intendendosi le somme dovute dal contribuente all’Amministrazione che non sono state corrisposte da quest’ultimo, in tutto o in parte, nei termini previsti.
Il ruolo, infatti, è un elenco formato dall’Amministrazione finanziaria nel quale la stessa riporta, inter alia, i dati dei debitori, dell’ente creditore, la specie del ruolo, il periodo temporale di riferimento del credito, nonché gli importi di imposte, sanzioni e interessi, dovuti e non corrisposti.
In seguito alla sua formazione, il ruolo viene trasmesso all’agente della riscossione affinché quest’ultimo possa provvedere alla notifica delle cartelle (ad eccezione dei casi in cui le somme siano dovute sulla base di accertamenti esecutivi), ovvero provvedere alla riscossione (anche forzata) delle somme dovute.
Analizzando le differenti tipologie di ruoli, questi si distinguono in (i) ruoli ordinari e (ii) ruoli straordinari.
I ruoli straordinari sono formati solo nei casi in cui sia comprovato un fondato pericolo per la riscossione e comportano l’iscrizione a ruolo delle imposte, interessi e sanzioni per l’intero ammontare risultante dall’avviso di accertamento; ciò a prescindere dalla circostanza che l’avviso di accertamento sia divenuto definitivo oppure no (e.g. sia stato proposto ricorso dinanzi alla commissione tributaria).
I ruoli ordinari, invece, si distinguono in (i) definitivi e (ii) provvisori.
Con il ruolo definitivo, l’intero importo del debito è iscritto a ruolo ed affidato all’agente della riscossione. L’iscrizione a ruolo definitivo è effettuata ove la stessa attenga:
- ad imposte e ritenute alla fonte liquidate ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del DPR 600/1973 (rispettivamente rubricati “Liquidazioni delle imposte, dei contributi, dei premi e dei rimborsi dovuti in base alle dichiarazioni” e “Controllo formale delle dichiarazioni”);
- alle imposte, maggiori imposte e ritenute alla fonte liquidate in base ad accertamenti definitivi;
- ai redditi dominicali dei terreni e ai redditi agrari determinati dall’ufficio in base alle risultanze catastali;
- agli interessi, soprattasse e pene pecuniarie relativi ai punti precedenti.
Con il ruolo provvisorio, invece, le somme dovute possono essere iscritte a ruolo anche se l’accertamento non è definitivo (e.g. perché impugnato dinanzi alle commissioni tributarie). In tali casi, le imposte, i contributi e i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall’ufficio, nonché i relativi interessi, vengono iscritti a ruolo dopo la notifica dell’atto di accertamento per un ammontare pari ad un terzo degli imponibili o dei maggiori imponibili accertati.
In presenza di ruoli provvisori, l’ammontare delle somme già iscritte a ruolo è incrementato in caso di pronuncia negativa per il contribuente da parte delle commissioni tributarie. Sul punto, infatti, l’art. 68 del D.Lgs. 546/1992 prevede che il contribuente sia tenuto al pagamento del tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, nella misura pari:
- a due terzi, dopo la sentenza della commissione tributaria provinciale (i.e. primo grado) che respinge il ricorso;
- per l’ammontare risultante dalla sentenza della commissione tributaria provinciale (i.e. primo grado), e, comunque, non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;
- per il residuo ammontare determinato nella sentenza della commissione tributaria regionale (i.e. secondo grado).
Da quanto sopra discende che per le somme oggetto di giudizi pendenti l’ammontare del debito che può beneficiare della definizione agevolata può variare in virtù dello stato e grado del giudizio in corso. A titolo di esempio, possono essere prese in considerazione due diverse fattispecie:
- in caso di sentenza favorevole al contribuente in primo grado e pendenza del giudizio dinanzi la commissione tributaria regionale: il contribuente non potrà definire in via agevolata le cartelle pendenti, poiché non risulta iscritto a ruolo alcun ammontare (le somme iscritte a ruolo provvisorio devono essere rimborsate al contribuente entro 90 giorni dalla notificazione della sentenza). Chiaramente, in tale caso potrebbe opinarsi che il contribuente non abbia, nell’immediato, un interesse concreto a definire in via agevolata la vertenza. Tuttavia, qualora la complessità dell’oggetto della stessa non possa far presumibilmente escludere un rovesciamento della pronuncia dei giudici di primo grado ad opera dei giudici di secondo grado, il contribuente potrebbe anche decidere di definire la pendenza nell’immediato (risparmiando anche sui costi dovuti dalle lungaggini processuali); circostanza la quale, purtroppo, ad oggi, risulta preclusa al contribuente;
- in caso di sentenza parzialmente favorevole al contribuente in primo grado e pendenza del giudizio dinanzi la commissione tributaria regionale: il contribuente potrà definire in via agevolata solo una parte dell’ammontare iscritto a ruolo (i.e. un terzo) così come ridotto dai giudici di prime cure. Per la restante porzione del dovuto, il contribuente dovrà corrispondere, oltre alla quota capitale, anche interessi e sanzioni in misura piena. Ciò in quanto quest’ultimo pare non potrà accedere né ai piani di pagamento dilazionato del debito di cui all’art. 19 del DPR 602/1973, né all’istituto della conciliazione (che prevede una riduzione delle sanzioni del 60%), dovendo rinunciare ai giudizi pendenti che hanno ad oggetto i ruoli da rottamare.
Sul punto, proprio il predetto modello DA1 ha generato ulteriori perplessità applicative. Tale modello, infatti, permette al contribuente di selezionare i carichi presenti nelle cartelle o negli avvisi di accertamento esecutivi notificati da Equitalia o dall’Agenzia delle Entrate da assoggettare alla definizione agevolata (e.g. in un accertamento che prevede rilievi in materia di IVA e IRPEF, il contribuente potrebbe voler definire solo quelli relativi all’IRPEF). Successivamente, il medesimo modello richiede di dichiarare “l’impegno a rinunciare ai giudizi pendenti aventi ad oggetto i carichi ai quali si riferisce questa dichiarazione”. Una prima lettura della locuzione citata porterebbe e ritenere che l’intero giudizio – che abbia ad oggetto i carichi definiti in via agevolata – debba essere rinunciato dal contribuente (con le conseguenze accennate sopra, ovverosia l’impossibilità di accedere per la parte non definita in via agevolata ad istituti quali, ad esempio, quello della conciliazione); ciò, quindi a prescindere dai carichi che s’intende definire in via agevolata. La rinuncia, infatti, sembrerebbe riferita al giudizio pendente in generale e non al giudizio pendente in relazione solo al carico pendente oggetto di definizione agevolata. Anche la lettura inversa (i.e. la rinuncia al giudizio si riferisce solo al carico analiticamente indicato), tuttavia, sembrerebbe ammissibile. La selezione dei carichi da assoggettare a definizione agevolata, infatti, non è preclusa ai casi in cui tali carichi siano oggetto di contenziosi pendenti. Interpretando in tal senso la locuzione inserita nel modello DA1 di Equitalia, il contribuente potrebbe utilizzare strumenti quali la conciliazione giudiziale per le posizioni debitorie non rottamate (nell’esempio, l’IVA).
L’ammontare definibile in via agevolata, tuttavia, può variare anche per altri ordini di motivi, ad esempio in virtù della data in cui è stata pubblicata la sentenza della commissione tributaria. Si ricorda infatti che le somme soggette all’agevolazione in parola sono solo quelle incluse in ruoli e affidate all’agente della riscossione in una determinata finestra temporale: dall’anno 2000 al 2015. Conseguentemente, qualora il giudizio sia pendente nella finestra temporale indicata, ma la sentenza della commissione tributaria sia intervenuta successivamente alla scadenza di tale periodo, il contribuente non potrà beneficiare della definizione agevolata, o meglio, verosimilmente, non potrà beneficiare dell’agevolazione per l’importo complessivo del debito.
Ipotizzando la posizione di un contribuente per il quale il giudizio di primo grado si sia concluso con una sentenza negativa nell’anno 2016, quest’ultimo non potrà beneficiare della definizione agevolata per l’intero ammontare delle somme dovute.
In tale caso, infatti, le somme incluse in ruoli e affidate all’agente della riscossione dovrebbero essere pari ad un terzo del dovuto. I restanti due terzi non potranno essere soggetti a definizione agevolata poiché inclusi in un ruolo e affidati all’agente della riscossione nell’anno 2016, dunque in seguito alla conclusione della finestra temporale in cui il decreto legge in commento permette la definizione agevolata dei debiti pendenti verso l’agente della riscossione.
L’impossibilità di beneficiare dell’agevolazione in parola con riferimento all’intero debito tributario parrebbe porre il contribuente nella situazione di (i) formulare l’istanza di accesso alla definizione agevolata per una porzione di imposte, interessi e sanzioni, iscritte a ruolo (e.g. un terzo), (ii) di dover corrispondere – per i restanti due terzi – imposte, interessi e sanzioni, in misura piena e (iii) di dover abbandonare (forse integralmente) il contenzioso pendente; ciò con l’incertezza – accennata in precedenza – di poter accedere ad istituti quali quello della conciliazione, ovvero di poter corrispondere i due terzi restanti di cui al precedente punto (ii) secondo un piano rateale di cui all’art. 19 del DPR 602/1973.
Quanto sopra con l’ulteriore conseguenza che, in seguito alla comunicazione inviata dal contribuente all’agente della riscossione – con la quale il primo richiede al secondo l’accesso alla procedura di definizione agevolata – l’Agenzia delle Entrate Riscossione (già Equitalia) dovrebbe notificare due comunicazioni distinte al contribuente:
- la prima, con la quale comunicherà al debitore l’ammontare delle somme dovute per la definizione agevolata, comprensive: a) delle somme affidate all’agente di riscossione a titolo di capitale, b) degli interessi da ritardata iscrizione a ruolo, c) delle somme maturate a favore dell’agente di riscossione a titolo di aggio, d) delle spese per le procedure esecutive ed e) delle spese di notifica della cartella di pagamento;
- la seconda, con la quale comunicherà al debitore l’ammontare delle somme dovute – escluse dalla definizione agevolata (rectius la cartella di pagamento).
Tale situazione rivela diverse criticità della riforma in commento.
Da un lato, la stessa potrebbe comportare numerosi e ulteriori aggravi per l’agente della riscossione, idonei solo a complicare ed ostacolare ulteriormente il recupero delle somme dovute all’amministrazione. La struttura dell’ente, infatti, verrebbe appesantita da oneri e adempimenti molteplici per ogni contribuente.
Dall’altro lato, la stessa manifesta una evidente disparità di trattamento tra i contribuenti, premiando, primi fra tutti, coloro che sono rimasti inerti dinanzi alla pretesa erariale (i.e. i contribuenti che non hanno deciso di definire la propria posizione, mediante il pagamento (anche rateale) delle somme dovute, ovvero i contribuenti che non hanno proposto ricorso avverso gli atti dell’Amministrazione finanziaria, facendo valere le proprie ragioni in fatto ed in diritto, dinanzi alle commissioni tributarie).
Per i contribuenti rimasti inerti, infatti, risulta definibile in via agevolata l’intero importo del debito pendente nei confronti dell’Amministrazione, ovverosia risulta possibile l’estinzione di tale debito scontando il pagamento di: (i) sanzioni incluse nei carichi iscritti a ruolo, (ii) interessi di mora e (iii) sanzioni e somme aggiuntive connesse ai contributi previdenziali.
Tale modalità di estinzione del debito, invece, non risulta applicabile nel caso del contribuente che stia onorando il pagamento del proprio debito verso l’erario mediante, ad esempio, un piano rateale ex art. 19 DPR 602/1973, il quale, anzi, per accedere alla definizione agevolata dovrà pagare integralmente le rate in scadenza dal 1° ottobre al 31 dicembre 2016. La modalità di estinzione del debito suddetta non risulta applicabile neppure nel caso del contribuente la cui posizione risulti ad oggi pendente presso le commissioni tributarie e di cui sopra sono state analizzate alcune fattispecie concrete; ciò, in violazione – almeno apparente – del principio di uguaglianza tributaria basato, nel nostro ordinamento, sul combinato disposto degli artt. 3 e 53 della Costituzione. Analogamente, e in ultimo, tale modalità di estinzione non pare ammissibile nel caso in cui il contribuente abbia ricevuto un avviso bonario dall’Amministrazione finanziaria e stia corrispondendo a quest’ultima, ratealmente, il proprio debito. In tale caso, infatti, non risultano importi iscritti a ruolo a carico del contribuente e, pertanto, non risultano somme definibili in via agevolata.
Da quanto sopra discende l’auspicabilità di immediate manovre correttive (ad esempio con la legge di conversione) in grado di semplificare il momento di transizione e il passaggio di consegne tra Equitalia e l’Agenzia delle Entrate Riscossione, in grado di eliminare le disparità di trattamento manifeste tra i contribuenti che possono accedere al regime in commento e di cui sopra si sono riportati alcuni esempi, nonché definire e chiarire le fattispecie nei confronti delle quali ad oggi dovrebbe essere ammesso l’accesso al regime in commento. Quale spunto di riflessione, potrebbe essere ipotizzata (i) la possibilità di ampliare l’oggetto del debito definibile in via agevolata, estendendo lo stesso a tutti i debiti pendenti nei confronti dell’erario – oggetto di contestazione in giudizio e indipendentemente dall’iscrizione a ruolo di tali ammontari – alla data di invio dell’istanza di accesso alla procedura di definizione in commento; ovvero (ii) chiarire la portata della rinuncia al contenzioso pendente.