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Delega fiscale e riforma della tassazione dei redditi di natura finanziaria

28 Luglio 2023

Stefano Massarotto, Partner, Studio Legale Tributario Facchini Rossi Michelutti

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza i princìpi cardine della riforma della tassazione dei redditi di natura finanziaria contenuta nel disegno di Legge delega fiscale.


La riforma fiscale sta per vedere la luce: Il disegno di Legge delega per la riforma fiscale, presentato dal Governo alle Camere il 23 marzo 2023, dovrebbe essere definitivamente approvato dal Parlamento nel breve termine[1].

La revisione complessiva del sistema tributario italiano rappresenta uno dei temi centrali nel dibattito sulle misure prioritarie da adottare non solo per reperire gettito al fine di far fronte alle necessità della finanza pubblica, ma anche e soprattutto per superare un sistema fiscale che ormai viene ritenuto poroso, distorsivo e instabile, con conseguente perdita di competitività ed efficienza[2]. Si tratta infatti di un progetto di ampia portata che conferisce al Governo una delega a emanare, entro ventiquattro mesi, diversi decreti legislativi volti alla complessiva riforma del sistema fiscale, “riforma fiscale [che] è tra le priorità individuate nel Piano nazionale di ripresa e resilienza per dare risposta alle esigenze strutturali del Paese e costituisce parte integrante della ripresa economica e sociale che si intende avviare anche grazie alle risorse europee”[3].

Il presente lavoro intende svolgere una prima e sintetica analisi dei princìpi cardine della riforma della tassazione dei redditi di natura finanziaria contenuta nel disegno di Legge delega.

1. L’attuale sistema di tassazione dei redditi finanziari e i suoi effetti distorsivi

L’attuale sistema di tassazione dei redditi di natura finanziaria risale – nei fatti – al 1997 con il riordino della disciplina operata con il decreto legislativo n. 461 del 1997 (attuativo della legge delega n. 662/1996[4]) e presenta sostanzialmente le seguenti caratteristiche[5]:

  • classificazione dei redditi di natura finanziaria all’interno di due distinte categorie reddituali, disciplinate da regole differenti di determinazione dell’imponibile[6]: (i) quella dei “redditi di capitale”, derivanti da forme statiche di impiego e assoggettati a imposizione nella loro misura lorda[7], e (ii) quella dei “redditi diversi”, derivanti da forme dinamiche o sintetiche di impiego (avendo ad oggetto investimenti nozionali) e determinati al netto di minusvalenze e perdite della medesima natura;
  • prevalente applicazione di una tassazione proporzionale con l’aliquota del 26%, divergente rispetto alle altre aliquote di tassazione proporzionale sui redditi riscontrabili nell’ordinamento (e con significative eccezioni, costituite in primis dai titoli del debito pubblico);
  • previsione di tre distinti meccanismi di tassazione – il “regime del risparmio gestito”, quello del “risparmio amministrato” e quello “dichiarativo[8] -, con effetti differenti, non solo in termini di determinazione dell’imponibile e dell’imposta, ma anche di timing del prelievo;
  • differenziazione degli strumenti finanziari nell’ambito di tre fattispecie – quella dei titoli azionari e similari, quella dei titoli obbligazionari e similari e quella, residuale, dei c.d. titoli atipici -, la cui configurabilità costituisce presupposto per l’applicazione di disposizioni di carattere valutativo, sostanziale e procedimentale.

Negli ultimi decenni, peraltro, sono stati introdotti vari interventi normativi che hanno apportato rilevanti modifiche alla struttura del D.lgs. n. 461/1997. È il caso, ad esempio, delle modifiche normative del 2001 e del 2011, volte a correggere le distorsioni emerse in sede di applicazione di un sistema di tassazione per maturazione – ci riferiamo all’abrogazione del c.d. “equalizzatore” e alla riforma della tassazione dei fondi comuni di investimento di diritto italiano (che ha sostituito la tassazione del reddito annualmente maturato con quella del reddito realizzato dal partecipante) – e che hanno modificato la logica sottostante al decreto legislativo n. 461 del 1997, individuando nel realizzo dei proventi il momento impositivo sostanzialmente rilevante per la tassazione dei redditi di natura finanziaria.

Permangono peraltro ancora oggi diverse criticità che rendono distorsivo il sistema di tassazione vigente, non coerente con una impostazione orientata alla crescita economica del Paese.

Un esempio su tutti[9]. Il mantenimento della distinzione tra “redditi di capitale” e “redditi diversi di natura finanziaria”, associato alle diverse modalità di determinazione della base imponibile – per i redditi di capitale la base imponibile è generalmente costituita dai proventi percepiti al lordo degli eventuali costi ed oneri, mentre per i redditi diversi di natura finanziaria, invece, la base imponibile è generalmente determinata al netto dei costi ed oneri necessari alla loro realizzazione (e ciò per la stessa natura di differenziale che è propria delle plusvalenze finanziarie) –, rendono infatti le due suddette categorie reddituali autonome e distinte, senza possibilità di compensazione tra loro[10]. Infatti, quantomeno nei regimi fiscali della dichiarazione e del risparmio amministrato (a differenza del regime del risparmio gestito), tale distinzione comporta il divieto di compensare i redditi di capitale con le minusvalenze, pregiudicando così l’efficienza del mercato dei capitali e favorendo comportamenti finalizzati a riclassificare i redditi nell’una o nell’altra categoria a seconda della convenienza fiscale[11].

L’anomalia più macroscopica si realizza poi con i proventi derivanti dalla partecipazione a fondi comuni di investimento (c.d. OICR), che, se positivi, sono qualificati come redditi di capitale e, se negativi, costituiscono delle minusvalenze, comportando di fatto per un investitore che detenga solo quote di fondi comuni l’impossibilità di recuperare eventuali perdite realizzate[12].

2. I princìpi e criteri direttivi della legge delega in materia di redditi finanziari

Con riferimento ai redditi di natura finanziaria, i criteri e princìpi direttivi sono contenuti nell’art. 5, comma 1, lett. d)[13].

La prima rilevante novità è rappresentata dal superamento dell’attuale distinzione tra redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria – e, quindi, della correlata differenza nella determinazione della base imponibile – finalizzata ad eliminare le interferenze fiscali sulle scelte di allocazione del capitale.

In particolare, viene prevista (lett. d), n. 1):

  • la creazione di “un’unica categoria reddituale mediante l’elencazione delle fattispecie che costituiscono redditi di natura finanziaria, con riferimento alle ipotesi attualmente configurabili come redditi di capitale e redditi diversi di natura finanziaria”. In quest’ambito:
    • la scelta di mantenere un’elencazione casistica delle principali fattispecie di redditi finanziari – piuttosto che optare per una norma definitoria di carattere generale[14] – ci pare coerente con il sistema attuale del testo unico delle imposte sui redditi che prevede l’imponibilità dei redditi rientranti in fattispecie tassativamente indicate, nonché con la struttura delle convenzioni contro le doppie imposizioni, nelle quali permane la distinzione tra interessi, dividendi e guadagni di capitale e che, in via residuale, rinviano alle disposizioni della legislazione fiscale dello Stato contraente da cui i redditi provengono;
    • sarebbe opportuno un adeguamento delle disposizioni fiscali al diritto dell’impresa e degli strumenti finanziari, con interventi di carattere definitorio volti a “modernizzare” le attuali definizioni di obbligazioni e azioni[15], nonché il confine tra le due categorie, eliminando la categoria dei titoli atipici[16];
  • la definizione di apposite “norme di chiusura volte a garantire l’onnicomprensività della categoria. Il legislatore sarà quindi chiamato a razionalizzare ed unificare le attuali due disposizioni normative di chiusura – l’art. 44 lett. h) e l’art. 67 comma 1 lett. c-quinquies) del TUIR [17] –, tenendo altresì conto che la recente introduzione, ad opera della legge di Bilancio 2023, di una nuova lettera c-sexies) volta a definire il regime fiscale delle cripto-attività “in coda” alla disciplina della tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria, parrebbe palesare che la norma di chiusura di cui alla lett. c-quinquies) non comprende tali tipologie di reddito.

Per quanto riguarda, invece, le modalità di determinazione dei redditi finanziari ed il periodo impositivo di tassazione (lett. d), n. 2):

  • viene prevista la “determinazione dei redditi di natura finanziaria sulla base del principio di cassa”, prevedendo altresì la “possibilità di compensazione, comprendendo, oltre alle perdite derivanti dalla liquidazione di società ed enti e da qualsiasi rapporto avente ad oggetto l’impiego del capitale, anche i costi e gli oneri inerenti”;
  • in altri termini, viene previsto che la base imponibile sarà costituita dalla somma di tutti i redditi finanziari positivi e negativi percepiti o realizzati nel periodo d’imposta (attribuendo quindi rilevanza anche ai redditi di capitale negativi), con tassazione sul rendimento effettivo del patrimonio finanziario posseduto dal contribuente (e indipendentemente dallo strumento o rapporto utilizzato per produrlo).

Il disegno di legge prevede poi (lett. d), n. 5, 6 e 7) i princìpi e criteri direttivi in relazione alle modalità di applicazione del nuovo regime impositivo. In particolare, il nuovo regime di imposizione sostitutiva dovrà caratterizzarsi per l’applicazione di “un’imposta sostitutiva sul risultato complessivo netto dei redditi di natura finanziaria realizzati nell’anno solare”. A tal fine:

  • il risultato complessivo netto dovrà essere determinato mediante la somma algebrica dei redditi finanziari positivi e negativi realizzati nell’anno solare;
  • le norme di attuazione dovranno prevedere la possibilità di riportare l’eventuale eccedenza negativa nei periodi di imposta successivi a quelli di formazione;
  • l’adozione generalizzata del principio di cassa – e, pertanto, l’eliminazione della tassazione sul “maturato” – comporterà modifiche al regime di tassazione del “risparmio gestito” delle gestioni individuali e, presumibilmente, dei rendimenti delle forme pensionistiche complementari, che rappresentano attualmente gli unici casi in cui il prelievo si basa sul principio di maturazione[18].

Quanto alle modalità applicative del prelievo, il nuovo regime impositivo dovrà basarsi sull’obbligo di dichiarazione dei redditi finanziari da parte del contribuente. A tale regime, tuttavia sarà affiancato un regime opzionale semplificato (c.d. regime intermediato), caratterizzato da una serie di obblighi agli intermediari autorizzati – quali l’applicazione dei prelievi tributari in monte, la dichiarazione e la comunicazione all’amministrazione finanziaria dei relativi dati – che consentirà al contribuente di essere esonerato dagli obblighi tributari.

Per quanto riguarda inoltre il livello del prelievo (lett. d), n. 4):

  • viene esplicitamente confermato il trattamento di favore riservato ai titoli pubblici (che peraltro non rappresenta la regola nella maggioranza dei paesi europei)[19];
  • non viene espressamente previsto se l’aliquota generalizzata di tassazione dei redditi finanziari convergerà verso il minimo scaglione IRPEF. A tale riguardo è peraltro da evidenziare che l’aliquota di tassazione di tali redditi dovrebbe, a nostro avviso, considerare la già cospicua imposizione patrimoniale sulla ricchezza finanziaria rappresentata dall’imposta proporzionale di bollo, di cui all’art. 13, comma 2-ter, della Tariffa, parte prima, allegata al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 642, e dall’imposta sul valore dei prodotti finanziari detenuti all’estero (“IVAFE”), di cui all’art. 19, commi 18-22, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, entrambe dovute nella misura dello 0,2% del valore dei prodotti finanziari.

Il disegno di Legge delega prevede inoltre una radicale riforma del regime fiscale attualmente vigente per le società di persone estere, prevedendo, all’art. 6, comma 1, lett. g), un allineamento della loro qualificazione ai fini fiscali italiani a quella “di entità fiscalmente trasparente ovvero fiscalmente opaca operata dalla pertinente legislazione dello Stato o territorio di costituzione o di residenza fiscale”.

Le ragioni dell’opportunità dell’equiparazione del trattamento fiscale dei redditi delle partnership estere a quello delle società di persone italiane sono presto dette. Come noto, mentre la qualificazione tributaria delle società di persone residenti in Italia è di entità fiscalmente “trasparenti” (nel senso che il reddito generato dalla società viene imputato ex art. 5 del TUIR in capo ai soci), qualsiasi tipo di società estera, con o senza personalità giuridica, è considerata – ex art. 73, comma 1, lett. d) del TUIR – un soggetto passivo IRES e, quindi, fiscalmente opaco. L’equiparazione delle partnership estere ai soggetti IRES comporta: i) innanzitutto, la non imputazione, ai fini italiani, del reddito della società estera al socio residente in Italia; ed inoltre ii) la tassazione degli utili conseguiti dalla partnership soltanto al momento della loro materiale distribuzione al socio residente.

Questo conflitto di qualificazione fiscale delle partnership estere potrebbe dare origine, per l’investitore residente in Italia, ad un’imposizione più elevata rispetto a quella applicabile su simili investimenti in partnership domestiche[20], ovvero, in taluni casi, a fenomeni di sostanziale non imposizione[21], con possibile applicazione delle disposizioni in materia di hybrid mismatches[22].

Con l’equiparazione, in capo ai soci, del trattamento fiscale dei redditi da partnership estere a quello attualmente vigente per i redditi da partecipazione in società di persone residenti, tali conflitti e distorsioni potrebbero essere sostanzialmente risolti ab origine[23].

3. Le ulteriori misure per i redditi finanziari: l’adeguamento ai princìpi comunitari e gli effetti per l’industria del risparmio gestito

Una riforma efficace del regime fiscale dei redditi di natura finanziaria deve altresì conto di alcuni attuali regimi fiscali che paiono in contrasto con i princìpi comunitari e, in particolare, con il principio di libera circolazione dei capitali previsto dall’art. 63 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (e delle pronunce della CGUE che rilevano anche ai fini dell’interpretazione di norme solo nazionali).

Sarebbe quindi opportuno che il legislatore delegato, come previsto dall’art. 3, comma 1, lett. a) del disegno di legge delega, introduca quelle modifiche normative volte a “garantire l’adeguamento del diritto tributario nazionale ai princìpi dell’ordinamento tributario e ai livelli di protezione dei diritti stabiliti dall’ordinamento dell’Unione europea, tenendo anche conto dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia tributaria”.

In quest’ambito un caso emblematico è costituito dal differente trattamento fiscale previsto dalla legislazione italiana tra:

  1. i proventi derivanti dalla partecipazione a organismi collettivi di investimento extra-europei, per i quali è previsto il concorso alla formazione del reddito imponibile dell’investitore persona fisica non in regime di impresa e conseguente tassazione secondo le ordinarie aliquote progressive IRPEF ex 10-ter, comma 6 della Legge n. 77/1983, e
  2. i proventi derivanti dalla partecipazione ad analoghi organismi collettivi di diritto italiano, per i quali è prevista, invece, l’imposizione sostitutiva nella misura del 26% ex 26-quinquies del D.P.R. n. 600/1973,

che produce l’effetto sia di dissuadere gli investitori residenti in Italia dall’investire i loro capitali in organismi collettivi di diritto extra-europeo sia di ostacolare la raccolta dei capitali in Italia da parte di tali organismi collettivi.

Tale differente trattamento tributario dovrebbe costituire una violazione del principio di libera circolazione dei capitali, almeno in riferimento agli organismi collettivi di diritto extra-comunitario, il cui gestore sia sottoposto a forme di vigilanza nel Paese estero ove è stato istituito, che investono il proprio patrimonio nei medesimi beni in cui investono gli organismi italiani i cui proventi sono soggetti alle disposizioni dell’art. 26-quinquies del D.P.R. n. 600/1973, e che sono istituiti in Paesi esteri con i quali l’Italia abbia stipulato in via convenzionale un reciproco obbligo in materia di scambio di informazioni che consenta all’Amministrazione finanziaria italiana di effettuare tutti i controlli necessari al fine di impedire le violazioni della normativa tributaria nazionale[24].

 

[1] Atto Senato n. 797 (già A.C. n. 1038 approvato dalla Camera dei deputati il 12 luglio 2023). Il progetto di riforma del sistema fiscale statale fu perseguito anche dal precedente Governo Draghi (il disegno di legge era stato trasmesso alla Camera dei deputati il 29 ottobre 2021 e la Camera ne aveva concluso l’esame il 22 giugno 2022, trasmettendolo al Senato (A.S. 2651)). L’iter di approvazione dell’atto non si era tuttavia concluso per la fine anticipata della legislatura.

[2] Così Assonime, Note e Studi n. 7/2020, Linee di intervento per un riordino del sistema fiscale a sostegno della crescita.

[3] Così la Relazione illustrativa al disegno di legge delega A.C. n. 1038.

[4] Cfr. F. Gallo, La nozione dei redditi di capitale alla luce del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, in Dir. Prat. Trib., 1998, 1220 e ss.; N. Girolamo – L. Rossi – P. Scarioni, La tassazione delle rendite finanziarie. Analisi del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, IST, 1999; G. Corasaniti, Le attività finanziarie nel diritto tributario, Egea, 2012.

[5] Cfr. i risultati della ricerca prodotta dal gruppo di lavoro “Il laboratorio fiscale”, pubblicati nel documento intitolato “Redditi finanziari – Distorsioni del sistema impositivo e prospettive di riforma”, 4 gennaio 2021, e disponibile nel sito internet del Laboratorio. Cfr. altresì D. Muratori, Tassazione dei redditi finanziari in Italia: anomalie ed effetti distorsivi del sistema, in II Fisco, n. 8/2021, 707 e ss.; G. Corasaniti, Tassazione dei redditi di natura finanziaria: principi e criteri direttivi troppo generici e indeterminati, in Il Fisco, n. 42/2021, 4007 e ss.

[6] Come è stato autorevolmente osservato da F. Gallo, Mercati finanziari e fiscalità, in Rass. Trib., n. 17/2013, 23 e ss., “[a]ttualmente … il sistema di tassazione delle rendite finanziarie è costruito in modo tale da riportare sempre:

  • al reddito prodotto i redditi sicuramente “di” capitale, e cioè quei proventi che costituiscono frutto (anche) economico (e non solo civile) dell’impiego del capitale;
  • al reddito-entrata i redditi “da” capitale e, comunque, di natura finanziaria, e cioè ogni provento differenziale in cui il negozio di impiego del capitale, quando c’è, non si pone come diretta causa produttiva del provento stesso”.

[7] La base imponibile dei redditi di capitale determinata al lordo degli eventuali correlati costi ed oneri troverebbe attualmente anche una sua pragmatica giustificazione nel fatto che si presta ad essere assoggettata a tassazione mediante imposte cedolari o ritenute alla fonte, oltre che ad essere accertata con maggiore facilità (cfr. F. Gallo, op. cit., 23).

[8] Cfr. artt. 5, 6 e 7 del D.lgs. n. 461/1997.

[9] Per una compiuta analisi delle anomalie dell’attuale sistema di tassazione dei redditi di natura finanziaria, si veda D. Muratori, Tassazione dei redditi finanziari in Italia: anomalie ed effetti distorsivi del sistema, in Il Fisco, n. 8/2022, 707 e ss.

[10] È stato altresì evidenziato (cfr. G. Corasaniti, Audizione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) ed altri aspetti del sistema tributario, 12 marzo 2021) che “il mantenimento delle due categorie dei redditi di capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria … risulta attualmente oltremodo inadeguato a cogliere la complessità e l’articolazione degli strumenti finanziari”.

[11] Cfr. il Documento conclusivo approvato in data 30 giugno 2021 dalla VI Commissione Finanze relativamente all’Indagine conoscitiva sulla riforma dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario, ove si legge che: “la situazione vigente incentiva implicitamente gli investimenti privi di rischio (quelli che proteggono il capitale da possibili minusvalenze ma che lo remunerano con un interesse modesto ma ragionevolmente sicuro), quando invece un’impostazione pro-crescita dovrebbe quantomeno essere neutrale rispetto a investimenti maggiormente in grado di convogliare il risparmio privato nell’economia reale”.

[12] Cfr. G. Corasaniti, Audizione cit.; F. Facchini – S. Massarotto, I profili fiscali della Sicaf e dei suoi investitori, in Le Sicaf: profili societari e regolamentari (a cura di F. Annunziata – M. Notari), Egea, 2021, 273 e ss.

[13] Esigenze di economia espositiva non ci consentono di analizzare i princìpi e criteri direttivi in materia di previdenza, contenuti nell’art. 5, comma 1, lett. d), nn. 9 e 10. Cfr. sul punto E. Pauletti – L. Aquaro, La riforma fiscale accende il faro sulla legittimità del regime impositivo delle Casse di Previdenza, in Il Fisco, n. 22/2023, 2137 e ss.

[14] Come fu invece previsto dall’art. 3, comma 1, lett. d) della legge delega del 7 aprile 2003, n. 80, e rimasta, sul punto, inattuata.

[15] Cfr. F. Gallo, op. cit., pag. 37.

[16] L’attuale tassonomia degli strumenti finanziari – i.e. la distinzione ex art. 44, comma 2 del TUIR tra strumenti “azionari e similari”, “obbligazionari e similari” e, per esclusione, “atipici” – ha, tra l’altro, spesso creato notevoli problemi applicativi, anche a causa di orientamenti non sempre coerenti – e allineati ai princìpi comunitari – assunti dalla prassi dell’Agenzia delle entrate. È il caso, ad esempio, della recente posizione espressa dall’Agenzia delle Entrate con la risposta ad interpello n. 256 del 17 marzo 2023 in tema di assimilazione – ex art. 44, secondo comma, lett. a) del TUIR – alle azioni italiane delle partecipazioni al capitale di società estere, secondo cui, per queste ultime, oltre alla condizione dell’integrale indeducibilità della remunerazione in capo all’emittente, sarebbe ulteriormente richiesto – diversamente da quelle italiane – che il dividendo posto in distribuzione sia interamente correlato ai risultati della società emittente. Cfr. sul punto, L. Rossi – M. Ampolilla – M. Babele, La risposta a istanza di interpello n. 256/2023: analisi critica della posizione dell’agenzia delle entrate in materia di assimilazione alle azioni italiane delle partecipazioni al capitale di società estere, in Boll. Trib. n. 7/2023, 493 e ss.; A. Zaimaj – D. di Vittorio, Dividendi di società estere al test del “doppio equity”: criticità nella ricostruzione delle Entrate, in Il Fisco n. 21/2023, 2051 e ss.

[17] Le due citate disposizioni normative hanno attualmente la precisa finalità della disposizione di delega di introdurre “norme volte ad assoggettare ad imposizione i proventi derivanti da nuovi strumenti finanziari, con o senza attività sottostante”, disponendo altresì “norme di chiusura volte ad evitare arbitraggi fiscali tra fattispecie produttive di redditi di capitali o diversi e quelle produttive di risultati economici equivalenti” (cfr. art. 3, comma 160, lett. b) e c) della legge 23 dicembre 1996, n. 662).

[18] Cfr. G. Ricotti, Delega al governo per la riforma fiscale, Audizione presso la VI Commissione permanente (Finanze) del capo servizio assistenza e consulenza fiscale della Banca d’Italia, 18 maggio 2023.

[19] Cfr. G. Ricotti, op. cit..

[20] Cfr., ex multiis, S. Mayr – V. A. Paciello, Partnership estere: lo stato dell’arte e le necessarie modifiche, in Boll. Trib., 14/2020, 1060 e ss.; A. Crazzolara, Le società di persone nel diritto tributario internazionale, in Dir. Prat. Trib. Intern., 3/2021, 956 e ss.

[21] In linea generale, se un’entità è trattata come trasparente ai fini fiscali nella giurisdizione in cui si è originariamente costituita o creata, mentre è considerata “opaca” per la giurisdizione di residenza del detentore dell’interessenza nell’entità medesima (c.d. reverse hybrid entity), un pagamento a detta entità non sarà sottoposto a tassazione né presso di essa – in quanto non è soggetto passivo d’imposta nello Stato di istituzione – né nelle mani del detentore dell’interessenza che, considerandola “opaca” nel proprio Stato di residenza (ad esempio, l’Italia), assumerà i pagamenti come appartenenti all’entità e potrà differire la tassazione sine die (i.e. fino al momento della distribuzione dei proventi o del realizzo dell’investimento nell’entità).

[22] Cfr. in particolare, gli artt. 9, 9-bis e 9-ter della direttiva UE c.d. ATAD (direttiva 2016/1164 del Consiglio del 12 luglio 2016, così come modificata ed integrata dalla direttiva 2017/952 del Consiglio del 29 maggio 2017) e gli artt. da 6 a 11 del D.lgs. n. 142/2018. Per approfondimenti, cfr. M. Busia – S. Grilli, Le entità ibride, e S. Marchese – S. Tellarini, I disallineamenti da ibridi inversi, in E. Della Valle – L. Miele (a cura di), I disallineamenti da ibridi, Milano, 2021.

[23] Per un primo commento, cfr. P. Scarioni – A. F. Martino, La riforma del regime impositivo dei redditi prodotti dalle entità estere trasparenti, in Il Fisco, n. 28/2023, 2681 e ss.. In dottrina (cfr. L. Rossi, Norma di delega e fondi di private equity esteri, in Diritto Bancario, 13 luglio 2023) è stato evidenziato che la nuova della legge delega sulle partnership estere non dovrebbe applicarsi ai fondi di investimento esteri (che spesso vengono costituiti sotto forma di partnership fiscalmente trasparenti).

[24] Cfr. L. Rossi – G. Barbagelata – A. Privitera, Il regime fiscale dei proventi da partecipazione ad organismi di investimento del risparmio di diritto estero in ottica europea, in AA. VV., Temi di fiscalità nazionale ed internazionale, Cedam, 2014, 501 e ss.. A ben vedere vi è un’altra indifferibile necessità (anche alla luce della Corte di giustizia UE e della ormai univoca posizione fornita dalla Corte di Cassazione) di equiparazione del trattamento fiscale dei fondi di investimento extra UE a quelli domestici ed europei e riguarda la non tassazione alla fonte dei dividendi e dei capital gain. Cfr. sul punto, Assonime, Legge di Bilancio 2023: le novità dell’art. 162 del TUIR in tema di veicoli esteri di investimento e stabile organizzazione. Il c.d. Investment Management Exemption, Circolare n. 10/2023; F. Brunelli – R. Villa, Sui fondi extra-UE tassazione ancora discriminatoria, in Sole 24Ore del 27 luglio 2022; L. Rossi – M. Ampolilla – A. Tardini, L’ormai necessaria tutela fiscale degli investimenti realizzati in Italia dai fondi di private equity extra UE, in Diritto Bancario, agosto 2022.

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