Con Ordinanza n. 10233 del 18 aprile 2023, la Corte di Cassazione si è espressa sulla rilevabilità d’ufficio della nullità di una delibera assembleare decorso il termine triennale.
Di seguito il principio di diritto espresso dalla Cassazione.
Il giudice, se investito dell’azione di nullità di una delibera assembleare, ha sempre il potere ( e il dovere), in ragione della natura autodeterminata del diritto cui tale domanda accede, di rilevare e di dichiarare in via ufficiosa, e anche in appello, la nullità della stessa per un vizio diverso da quello denunciato; se, invece, la domanda ha per oggetto l’esecuzione o l’annullamento della delibera, la rilevabilità d’ufficio della nullità di quest’ultima da parte del giudice nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev’essere coordinata con il principio della domanda per cui il giudice, da una parte, può sempre rilevare la nullità della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato, in funzione del rigetto della domanda ma, dall’altra parte, non può dichiarare la nullità della delibera impugnata ove manchi una domanda in tal senso ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio che faccia seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata; nell’uno e nell’altro caso, tuttavia, tale potere (e dovere) di rilevazione non può essere esercitato dal giudice oltre il termine di decadenza, la cui decorrenza è rilevabile d’ufficio e può essere impedita solo dalla formale rilevazione del vizio di nullità ad opera del giudice o della parte, pari a tre anni dall’iscrizione o dal deposito della delibera stessa nel registro delle imprese ovvero dalla sua trascrizione nel libro delle adunanze dell’assemblea.
In particolare, evidenzia la Cassazione, il giudice, ove sia stato investito da un’azione di nullità di una delibera assunta dall’assemblea di una società per azioni (art. 2379 c.c.), ha, come previsto dall’art. 2379, comma 2°, c.c., il potere (e il dovere) di rilevare, in via ufficiosa, la nullità della delibera impugnata, anche in difetto di un’espressa deduzione di parte, per vizi di nullità diversi da quelli denunciati nella domanda introduttiva del giudizio, purché desumibili dagli atti ritualmente acquisiti al processo e (come stabilito dagli artt. 183, comma 4°, e 101, comma 2°, c.p.c.) previa provocazione del contraddittorio tra le parti sulla diversa causa di nullità rilevata dal giudice, e di dichiarare (anche in appello: Cass. n. 20170 del 2022, che ha confermato la decisione impugnata nella parte in cui ha esaminato nel merito la domanda di accertamento della nullità di un contratto quadro di intermediazione mobiliare, contenuta nell’atto di appello e fondata su un motivo di nullità diverso da quello dedotto in primo grado, escludendone l’inammissibilità), in dispositivo, la nullità della delibera stessa.
Viceversa, nel caso in cui il giudice sia stato investito non da una domanda volta ad ottenere la declaratoria di nullità di un contratto o di una delibera ma da una domanda (avente ad oggetto un petitum, come l’esecuzione o l’annullamento del contratto o della delibera) che ne presuppone, al contrario, la , non-nullità (e che può essere, come tale, oggetto di pronuncia da parte del giudice solo se non sussistono ragioni di nullità dell’atto impugnato), la rilevabilità d’ufficio della nullità da parte del giudice (artt. 1421 e 2378, comma 2°, c.c.) nel corso del processo e fino alla precisazione delle conclusioni dev’essere coordinata con il principio della domanda (artt. 99 e 112 c.p.c.), per cui, se da un lato il giudice (salvo che sulla validità dell’atto si sia formato il giudicato) può sempre rilevare la nullità del contratto o della delibera, anche in appello, trattandosi di eccezione in senso lato (art. 345, comma 2°, c.p.c.), in funzione del rigetto della domanda, non può, dall’altra parte, dichiarare in dispositivo la nullità del contratto o della delibera in mancanza di una domanda ritualmente proposta, anche nel corso del giudizio a seguito della rilevazione del giudice, dalla parte interessata: esclusa, in ogni caso, per il divieto previsto dall’art. 345, comma 1 °, c.p.c., la proponibilità di tale domanda per la prima volta in appello.
Ciò comporta che, se una delibera è stata impugnata con la domanda di annullamento ( che ne presuppone, evidentemente, la non-nullità), la domanda di nullità della stessa, formulata per la prima volta con l’atto d’appello, non può essere esaminata, potendo solo convertirsi nella corrispondente eccezione, né, in tale ipotesi, il giudice d’appello può dichiarare d’ufficio la nullità della delibera traducendosi tale pronuncia nell’inammissibile accoglimento di una domanda nuova.