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Giurisprudenza

Delibere negative, proponibilità del rimedio impugnatorio e potere sostitutivo del giudice

15 Ottobre 2024

Ambra De Domenico, avvocato del Foro di Brescia

Cassazione civile, Sez. I, 22 marzo 2024 n. 7874 – Pres. De Chiara, Rel. Campese

Di cosa si parla in questo articolo

La Prima Sezione della Cassazione, con sentenza del 22 marzo 2024, n. 7874 (Pres. De Chiara – Rel. Campese) si è pronunciata sulla possibilità di qualificare come atto deliberativo una decisione assembleare negativa, e, conseguentemente, di impugnare tali delibere negative ai fini del loro annullamento.

La fattispecie sottoposta alla Corte

Il contenzioso ha ad oggetto l’impugnazione di delibera societaria di mancata approvazione del progetto bilancio per voto negativo espresso da uno dei soci paritetici, che l’altro contesta adducendo la sussistenza di conflitto di interesse o comunque abuso di potere o malafede esecutiva del contratto societario.

In prime cure, il Tribunale annulla la delibera negativa viziata, escludendo tuttavia la possibilità di sostituirla giudizialmente con una positiva, poiché, anche eliminato il voto viziato, non sarebbe comunque stato raggiunto il quorum statutario richiesto per l’approvazione.

La Corte di Appello, pronunciando sul gravame, lo respinge, affermando di aderire all’orientamento secondo cui, anche se l’esito dell’impugnazione del rigetto della delibera societaria resta confinato ad un mero effetto demolitorio, comunque ciò determina, in capo agli organi sociali, il dovere di adeguarsi al giudicato, ripetendo la deliberazione in modo conforme.

Fra i plurimi motivi per cui è richiesta la cassazione della sentenza resa in seconde cure, nella presente sede, rileva il primo, con cui la si censura per aver ritenuto che la mancata adozione di una deliberazione assembleare possa essere oggetto di impugnazione anche laddove qualificabile come delibera negativa inesistente o non assunta (in cui il mancato raggiungimento del quorum non produce alcun effetto giuridico), invece che delibera negativa in senso stretto (che comporta la produzione di effetti ostativi).

Il principio di diritto che il ricorrente chiede alla Cassazione di pronunciare è il seguente: “le deliberazioni assembleari di società possono essere impugnate ed annullate solamente sul presupposto che esse esistano come manifestazioni di volontà dell’ente e, dunque, che il voto sulla proposta di deliberazione, sia esso favorevole o contrario, abbia raggiunto il quorum deliberativo e che la deliberazione sia stata proclamata dal Presidente dell’assemblea”.

La natura deliberativa dell’atto assembleare negativo

Con l’ordinanza che si annota, la Suprema Corte, nell’affrontare il primo motivo, interviene così, sebbene in obiter, su un tema assai controverso[1]: la possibilità di impugnare le deliberazioni negative ed, ancor prima, la possibilità di qualificare come atto deliberativo una decisione assembleare negativa.

Le norme codicistiche che regolano le reazioni avverso un’attività deliberativa illegittima dell’assemblea sono concepite avendo come riferimento delibere positive.

Si sono così delineati orientamenti contrapposti in ordine alla possibilità di ricondurre la decisione assembleare negativa al novero degli atti deliberativi e per l’effetto alla possibilità d’impugnarla, oltre che in ordine alla portata del rimedio impugnatorio laddove ritenuto esperibile.

Il primo orientamento[2], a carattere minoritario, nega tale possibilità.

A sostegno, si argomenta che, in caso di mancato raggiungimento del voto favorevole della maggioranza, la volontà sociale non possa considerarsi formata e per l’effetto non possa ritenersi assunta alcuna deliberazione. La delibera negativa non ha carattere negoziale, ma si configura invece come serie dichiarativa destinata non produrre alcun effetto giuridico, poiché lascia immutata la struttura organizzativa del rapporto associativo. Ne deriva l’impossibilità di riconoscere natura di deliberazione in senso tecnico alla delibera negativa, che equivale, in sostanza, ad un negozio non concluso per mancanza di volontà dei soggetti legittimati a disporre.

Il secondo orientamento, sostenuto da dottrina e giurisprudenza più recenti e maggioritarie[3], ritiene invece recessiva la concezione puramente negoziale della delibera assembleare e conclude che le delibere negative producono indubbiamente effetti giuridici, trattandosi di atti decisori aventi contenuto organizzativo dell’ente. In tal senso, si richiama la c.d. “consumazione della proposta”[4], cioè l’effetto preclusivo che esplica il rigetto di una proposta rispetto alla proposizione, in una convocazione successiva, di un ordine del giorno similare. Si valorizza, in particolare, il fatto che la delibera non produce effetti unicamente sul piano del contenuto, bensì anche su quello endo-organizzativo. In tal modo, si ricomprende la delibera negativa nella categoria delle deliberazioni senza che le specificità che la contraddistinguono sul piano dell’effetto finale possano condurre a negarne la qualifica di atto negoziale imputabile all’assemblea. Il rigetto della proposta presenta tutti i caratteri dell’atto deliberativo e si distingue dalla delibera positiva unicamente in ragione del tipo di effetti prodotti: le delibere positive producono effetti giuridici costitutivi, modificativi od estintivi di una o più determinate situazioni soggettive; le delibere negative producono invece un effetto impeditivo delle vicende giuridiche oggetto della delibera positiva proposta. Punto di contatto fra le fattispecie è che in entrambe i soci hanno avuto modo di dichiarare la propria volontà in ordine ad una determinata proposta, ponendo così termine ad un procedimento avviato con la convocazione dell’assemblea. L’espressione “delibera negativa” trova quindi una sua giustificazione nel fatto di rappresentare anch’essa, al pari della “delibera positiva”, una decisione e più in particolare una manifestazione giuridicamente rilevante di volontà, che giunge al termine di un procedimento assembleare.

La Suprema Corte, nell’ordinanza qui annotata, accoglie l’orientamento da ultimo illustrato e parifica, ai fini degli effetti, sussumendo entrambi i casi nella fattispecie della deliberazione negativa: sia il caso di delibera a contenuto negativo (espressiva della volontà della maggioranza di respingere la proposta); sia il caso di mancata delibera (che si verifica, comunque in presenza di verbale, laddove l’assemblea non esprima una volontà per mancato raggiungimento del quorum costitutivo o deliberativo, anche nel caso di astensione di tutti i presenti). 

L’impugnabilità delle delibere negative

Dalla qualificazione della decisione negativa come deliberazione, discende la possibilità d’impugnarla, seppure nelle forme e nei termini previsti per le delibere positive.

Coloro che escludono che quella negativa possa qualificarsi come deliberazione, ne escludono necessariamente anche l’impugnabilità. I sostenitori di tale orientamento richiamano il fatto che l’azione data dall’art. 2377 c.c. ha carattere costitutivo, cioè funzionale ad una modificazione dell’esistente giuridico, segnatamente, tramite la rimozione di quello che è un vero e proprio effetto giuridico-negoziale. Tale effetto non sarebbe però prodotto dalla delibera negativa e, quindi, neppure potrebbe essere suscettibile di eliminazione.

Coloro che invece qualificano come deliberazione anche quella negativa, non hanno motivo per escludere il ricorso allo strumento impugnatorio.

A questa soluzione aderisce come anticipato la Suprema Corte. Nell’ordinanza che qui si commenta, ripercorsi gli orientamenti dottrinali in ordine ai possibili rimedi esperibili a fronte di una deliberazione negativa frutto della posizione asseritamente illegittima di uno o più soci, pur ritenendo non agevole la prospettazione d’una sospensione[5], vieppiù dell’annullamento, di una “delibera che, di fatto, non c’è”, il Supremo Collegio ammette al contempo che, se si ritiene pur sempre esistere una manifestazione di volontà dei soci assunta all’esito del procedimento all’uopo previsto dalla legge, negare ogni impugnazione comporterebbe un evidente vuoto di tutela.

I rimedi conseguibili con l’impugnazione

In caso di azione promossa a tutela della minoranza (conflitto di interessi) oppure, all’esatto contrario, in caso di azione promossa a tutela del gruppo di comando (abuso del diritto di voto), ciò che si lamenta è l’esercizio illegittimo (da parte della maggioranza) o abusivo (da parte della minoranza o del socio paritario), del potere di voto in assemblea, che, nelle delibere negative, si realizza nella forma del dissenso determinante per il rigetto della proposta. In entrambe le ipotesi, l’interesse a promuovere un vaglio giudiziale sulla conformità degli esiti del procedimento deliberativo negativo assume i connotati di un interesse positivo, segnatamente, dell’interesse ad ottenere, per il tramite del processo, un risultato analogo a quello impedito dal dissenso illegittimo o abusivo e, dunque, un risultato che va oltre la mera caducazione della deliberazione.

Interpreti e giurisprudenza si dividono in ordine ai rimedi conseguibili con l’impugnazione della delibera negativa ed, in particolare, in ordine alla possibilità per il giudice di sostituirsi all’esercizio dell’autonomia privata adottando altresì, in positivo, un provvedimento di accertamento dichiarativo equivalente negli effetti alla deliberazione mai assunta dall’assemblea.

Alcuni[6] ritengono che la disciplina dell’impugnazione dettata dagli artt. 2377 c.c. e seguenti, costruita attorno al modello della delibera positiva, vada adeguata in via interpretativa al peculiare fenomeno della deliberazione negativa, arrivando ad affermare il potere del giudice di procedere alla revisione degli esiti del procedimento ed all’eventuale accertamento dell’avvenuta approvazione di quella stessa deliberazione che sarebbe stata assunta in mancanza dei voti ritenuti illegittimi e abusivi. Tale lettura (c.d. ‘tutela reale’) consente al giudice, nel caso di impugnazione avverso una delibera negativa – una volta accertato l’illegittimo computo del voto nel quorum deliberativo ed annullati i voti illegittimi (positivi o negativi che siano) – di dichiarare immediatamente il risultato emergente da tale opera di sterilizzazione, cioè l’avvenuta approvazione della delibera che sarebbe stata assunta in assenza di quel voto. Si avrebbe quindi una sentenza a contenuto costitutivo, per quanto riguarda l’annullamento dei voti determinanti illegittimi ed a contenuto dichiarativo, per quanto riguarda l’accertamento del legittimo risultato della votazione. La soluzione è sostenuta – sebbene ancora una volta in  obiter – anche dal Tribunale di Milano nella pronuncia del 28 novembre 2014, laddove si afferma che, accertata l’illegittima considerazione del voto nel quorum deliberativo (es.: perché chi ha votato non era legittimato al voto, per vizio nella delega, per conflitto di interesse del socio, ecc.), il Giudice accerta altresì immediatamente che, espunto il voto illegittimamente conteggiato nel quorum, la deliberazione della società è stata diversa da quella apparente e illegittima, cioè che la proposta all’ordine del giorno è stata approvata (delibera positiva) e non respinta (delibera negativa).

Altri ritengono invece che la tipologia di rimedio impugnatorio contemplata dal diritto societario non possa andare oltre la mera caducazione degli effetti della deliberazione e che, dunque, il giudice – accertato il voto determinante del socio in conflitto, nonché la dannosità potenziale della delibera – debba limitarsi a disporne l’annullamento. Se, in via generale, spetta all’autorità giudiziaria verificare il rispetto dei limiti stabiliti dalla legge entro cui i privati possono liberamente disporre dei propri interessi (cfr. art 1322 c.c. c.d. giudizio di meritevolezza), non spetta invece al giudice, anche, di sostituirsi ai privati nella realizzazione dell’atto di autonomia. A conferma, si richiama l’art. 2377, co. 2, c.c., che definisce il limite della tutela all’esito del giudizio di impugnazione della delibera, investendo il giudice di un potere esclusivamente demolitorio e non anche sostitutivo[7].  Secondo questo orientamento, la disciplina delle invalidità non contempla rimedi positivi che conferiscano all’organo giudicante poteri di condanna o di annullamento propulsivo, e limita la tutela reale solo ad ipotesi specifiche e quindi di stretta e rigorosa applicazione. Questo più restrittivo orientamento è confermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. sent. n.16999 del 26.8.2004[8]), secondo cui, in caso di delibera negativa, l’annullamento dei voti contrari all’adozione della proposta, se implica il riconoscimento dell’illegittimità del rifiuto, non potrebbe mai portare a ritenere che la proposta respinta deve intendersi approvata, oltre che dalla giurisprudenza di merito[9].

Fra gli argomenti che inducono ad escludere tale potere, v’è il rilievo dell’impossibilità, in assenza di copertura normativa, di surrogare la proclamazione assembleare del risultato dei voti con un accertamento giudiziale. Il fatto formale e oggettivo della proclamazione dei risultati della votazione ha carattere costitutivo e, in quanto tale, per essere surrogato dall’accertamento giudiziale, necessiterebbe di un’autonoma e distinta copertura legislativa[10], tuttavia assente. Consentire al giudice di proclamare un risultato deliberativo mai intervenuto, equivarrebbe a confondere l’effetto caducatorio con l’effetto produttivo di un atto mai posto in essere.

Altro argomento che induce ad escludere il potere giudiziale di proclamare il risultato della delibera positiva mai assunta, è l’impossibilità per il giudice di sostituirsi al socio nell’esercizio del diritto di voto[11].

In capo ai soci non è infatti posto un dovere avente per oggetto il voto in sede assembleare[12].  Mentre gli amministratori, hanno l’obbligo (art. 2380-bis c.c.) di perseguire l’interesse sociale, cioè di gestire l’impresa attuandone l’oggetto sociale, e si pongono quindi in un rapporto di alterità rispetto alla sfera giuridica della società; per il socio – che è parte della e compone la società – l’interesse sociale è invece quello discrezionalmente preferito dalla maggioranza[13], e lo strumento tramite cui affermarlo è appunto il voto assembleare, con cui contribuisce, in virtù della regola maggioritaria, a definire l’azione sociale.

Ne consegue che, diversamente dagli amministratori, i soci sono legittimati a perseguire, mediante il voto, anche interessi propri, con l’unico limite del conflitto di interessi, per cui – qualora il voto sia espresso sacrificando l’interesse sociale, a vantaggio di quello personale – la delibera è annullabile.

Entro il limite degli elastici confini posti dal conflitto di interessi, dunque, il socio può votare come meglio ritiene, anche perseguendo interessi extrasociali, purché non in contrasto con l’interesse della società.

La disciplina del conflitto di interessi post novella del 2003 ha infatti confermato e rafforzato l’ampio e insindacabile spazio di libertà dei soci nell’esercizio del diritto di voto e, più in generale, nella determinazione del concreto contenuto dell’interesse sociale.

Mentre l’originaria formulazione dell’art. 2373, co. 1, c.c. faceva espresso divieto di esercizio del diritto di voto, la riforma non ha imposto al socio in conflitto di non votare, bensì, ne ha condizionato il comportamento, prevedendo l’impugnabilità della delibera adottata con voto determinante espresso in conflitto di interessi, laddove dannosa.

Poiché la deliberazione è annullabile solo qualora sia superata la prova di resistenza, al socio è dunque imposta, nell’esercizio del diritto di voto, unicamente una limitazione, senza però privarlo della prerogativa e senza neppure sospenderne l’esercizio.

Se, quindi, è a discrezione del socio decidere se astenersi o votare e, in questo caso, su “come” votare, valutando il rischio di una possibile impugnazione; allora non si può ammettere che la delibera negativa, pur impugnata e annullata, possa anche essere sostituita da un accertamento positivo da parte dell’autorità giudiziaria.

Il giudice può annullare la delibera adottata con il voto determinante del socio in conflitto di interessi, ma non può sostituirsi allo stesso nell’esercizio del diritto di voto[14].

La tesi di costituibilità in via giudiziale della delibera positiva non adottata, consentirebbe al giudice un’ingerenza davvero eccessiva all’interno della società, sostituendolo ai soci nello stabilire qual è l’interesse sociale e quale delibera debba essere positivamente accolta (ed in quale momento) per realizzarlo: ferma la possibilità per il giudice di valutare il merito di un atto endo-societario per dichiararne l’illegittimità, resta il divieto per l’organo giudicante di stabilire nel merito quale atto sia opportuno che la società ponga positivamente in essere[15]. 

La soluzione alternativa: “effetto conformativo” della sentenza di annullamento di delibera negativa viziata da conflitto di interessi

Apparirebbe dunque precluso all’organo giudicante sovvertire il contenuto di una delibera negativa, ancorché assunta con il voto determinante del socio in conflitto di interessi, trasformandola in una delibera positiva.

La soluzione impugnatoria sarebbe allora largamente insoddisfacente, non presentando alcuna utilità pratica per il ricorrente e non riuscendo ad evitare il rischio di una reiterazione del comportamento invalido, laddove la maggioranza perpertuasse la reiezione di ogni successiva proposta di analogo contenuto[16]. La sola sentenza di annullamento della delibera negativa viziata si rivelerebbe dunque inutiliter data [17]. Pur ammettendo la possibilità di impugnare le delibere negative, si dovrebbe così dedurre la carenza di interesse ad agire della parte attrice, in quanto, l’accertamento dell’invalidità della delibera impugnata non consentirebbe all’attore di ottenere alcun risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice.

Con riguardo alla delibera negativa viziata da conflitto di interessi (diverso è il caso dell’abuso di maggioranza[18]), è tuttavia possibile un’alternativa, che consente di superare le criticità evidenziate.

Si tratta del c.d. “effetto conformativo della sentenza, passata in giudicato, di annullamento della delibera assembleare adottata in conflitto di interessi[19].

La dottrina[20] ha infatti spiegato che l’esito del giudizio di impugnazione non può essere ridotto alla caducazione della delibera assembleare impugnata, ma va inteso come produttivo di una regola iuris, che i soci sono tenuti a rispettare nelle successive deliberazioni sulla medesima proposta. Nel caso di impugnazione di delibera negativa, il rimedio di cui all’art. 2377 c.c., pur avendo natura demolitoria, è infatti funzionale ad ottenere la riconvocazione dell’assemblea che ha erroneamente omesso di adottare una delibera positiva. Eliminando gli effetti del negozio in questione, si ripristina il valore della proposta caducata e si pongono gli amministratori della società nella condizione di dover necessariamente riconvocare l’organo assembleare, per permettere ai soci di pronunciarsi nuovamente sulla proposta respinta.

Si tratta di obbligo che discende dal disposto dell’art. 2377, co. 7, c.c., per cui l’annullamento della delibera ha effetto rispetto a tutti i soci ed impone all’organo gestorio di “prendere i conseguenti provvedimenti sotto la propria responsabilità, ossia di porre in essere l’attività materiale e giuridica necessaria a rendere la decisione giudiziale idonea a tutelare gli interessi lesi.

Tale obbligo è stato interpretato nel senso che, una volta divenuta definitiva la sentenza di annullamento della delibera negativa, l’organo amministrativo ha il dovere – a prescindere da una richiesta dei soci[21] – di convocare tempestivamente l’assemblea, affinché questi possano esprimersi nuovamente sulla proposta, stavolta votando nell’osservanza della regola iuris contenuta nella sentenza di annullamento: in tal modo, si disinnesca il rischio di reiterazione di delibere del medesimo tenore, nonostante la sentenza di annullamento della delibera negativa.

Infatti, laddove il socio in conflitto di interessi si astenesse, per le Spa troverebbe applicazione l’art. 2368, co. 3, c.c. e dunque le sue azioni non sarebbero computate nel quorum deliberativo. Laddove invece il socio in conflitto di interessi reiterasse la propria condotta e votasse nuovamente in senso negativo, verrebbe in soccorso l’effetto conformativo della sentenza di annullamento: il presidente potrebbe considerare invalido detto voto e scomputarlo dal quorum deliberativo, in quanto espresso in spregio alla regula iuris contenuta nella sentenza passata in giudicato[22].

E’ dunque vero che, poiché la condotta lesiva potrebbe reiterarsi, l’annullamento della delibera negativa determinata dall’ostruzionismo dei soci in conflitto di interesse portatori di un potere di blocco, non è di per sé in grado di realizzare l’interesse dei soggetti impugnanti. E’ tuttavia parimenti vero che l’unione della rimozione dell’atto di rigetto, all’obbligo dell’organo ammnistrativo (art. 2377, co. 7, c.c.) di convocare l’assemblea affinché i soci esprimano il voto in modo conforme al giudicato della sentenza di annullamento, consente di impedire la reiterazione del voto illegittimo, e ciò senza che sia richiesto al giudice di sostituirsi al socio in conflitto nell’esercizio del diritto di voto e senza quindi compromettere tale diritto.

La posizione della Suprema Corte

Nell’ordinanza che si commenta, la Cassazione non manca di rilevare i limiti dell’opinione per cui il giudice potrebbe unicamente accertare l’illegittimo rigetto della proposta, dal che deriverebbe l’obbligo dell’organo amministrativo di convocare l’assemblea per deliberare nuovamente sulla stessa: laddove l’adunanza dei soci reiterasse (potenzialmente all’infinito) la medesima deliberazione ‘non potendo il tribunale sostituirsi alla volontà assembleare’, la soluzione prospettata avrebbe ben scarsa utilità ed, anche a voler ritenere la seconda deliberazione inficiata dal medesimo vizio (quindi, parimenti invalida ipso facto), al più, ne potrebbe solo derivare la moltiplicazione dei giudizi.

La Cassazione esamina quindi l’opinione per cui si ammette che il Tribunale, accertati ed espunti i voti illegittimi computati nel quorum deliberativo, parimenti accerti la diversità della deliberazione assembleare rispetto a quella proclamata, e per l’effetto che la proposta all’ordine del giorno è stata approvata e non respinta, addivenendo così alla conseguente proclamazione del diverso risultato che ne emergerebbe in termini di volontà effettivamente e legalmente espressa dall’assemblea.

In risposta alle critiche sollevate a tale orientamento, la Corte precisa che, in tal caso, la volontà del giudice non terrebbe affatto luogo di quella assembleare, anzi, trattandosi di sentenza di accertamento (non costitutiva) e dunque sempre ammessa, si limiterebbe a dichiarare l’effettiva volontà assembleare, con effetto sin dal momento in cui la deliberazione è stata assunta. Si configura così, prosegue la Cassazione, una vera e propria impugnazione, ai sensi dell’art. 2377 c.c., con le medesime forme e limiti, della deliberazione assunta dall’assemblea, non potendosi ammettere, in un’ottica interpretativa costituzionalmente orientata ai sensi degli art. 3 e 24 Cost., un’ingiustificata disparità di trattamento nella tutela, a seconda che la deliberazione assunta sia positiva o negativa.

Il Supremo Collegio aderisce dunque alla soluzione offerta dalla ‘tutela reale’, che peraltro rimarca essere stata adottata già da numerose pronunce di merito. Tuttavia, la Corte non giunge ad applicarla in concreto, ritenendo decisiva la mancata proposizione, in uno alla domanda di accertamento dell’invalidità della deliberazione negativa che si assume come illegittima, anche di domanda di accertamento della diversa deliberazione illegittimamente non assunta. Sebbene la pronuncia si limiti quindi ad un obiter, la sua portata resta indubbiamente rilevante, risultandone confermato, in caso di impugnazione di delibere negative, il potere del giudice di sostituire la delibera di rigetto, invalidata per espunzione dei voti illegittimi, con la delibera positiva non adottata.

Il Collegio, nell’affermarlo, non sembra porre limiti di detto potere, che ritiene ammissibile in tutti i casi di voto determinante (contrario) espresso dal socio in conflitto di interessi o abusando del suo diritto.

Diversa è invece la soluzione offerta da coeva pronuncia di merito[23], laddove il Tribunale di Venezia, pur ammettendo l’applicabilità della ‘tutela reale’, ne traccia rigidi confini, sottolineando il carattere eccezionale della pronuncia sostitutiva di una deliberazione assembleare negativa, che ritiene ammissibile solo laddove la deliberazione rappresenti un risultato necessariamente conseguente all’accertamento del vizio della deliberazione negativa, sicché la deliberazione positiva derivi come effetto della correzione dell’errore (come, ad esempio, nel caso in cui si ravvisa un vizio procedimentale dalla correzione obbligata, quale un errore di calcolo nella proclamazione dei risultati).

Al contrario, il Tribunale di Venezia ritiene che, in generale, il giudice non possa sostituire una deliberazione negativa con un’altra delibera, che comporti il conseguimento di un risultato positivo che non ha riscontrato il voto favorevole della maggioranza, quale il compimento di un’operazione societaria non condivisa dalla maggioranza dei soci, non potendo i soci di minoranza ottenere una sentenza che si sostituisca alla volontà dei soci di maggioranza e che produca un risultato diverso dal mero effetto ripristinatorio che consegue all’annullamento della deliberazione impugnata.

Si attendono, dunque, le applicazioni concrete del principio di diritto statuito dalla Cassazione nella pronuncia annotata e, segnatamente, in quale misura la giurisprudenza di merito riterrà che il giudice possa ingerire nella società, sostituendosi ai soci nello stabilire qual è l’interesse sociale e quale delibera debba essere positivamente accolta per realizzarlo.

[1] Per una ricostruzione della giurisprudenza e dottrina in tema: Anna Toniolo, “La delibera “negativa” dell’assemblea: un futuro ancora incerto”, in Giur. Comm., fasc.1, 2016, pag. 211, Nota a: Tribunale Milano, 28 novembre 2014, Sez. spec. Impresa.

[2] La c.d. teoria dichiarativo-negoziale: Trib. Milano, 29 novembre 2003, in Giur. it., 2004, 1459, con nota di Monteverde, Le deliberazioni negative: spunti di riflessione; Trib. Reggio Emilia, 20 dicembre 2002, in Giur. it., 2003, 953; Trib. Palermo, 18 maggio 2001, Giur. Comm, 2001, II, 835, che evidenzia come non sia possibile “ricorrere all’annullamento di una delibera che non c’è”; La Marca, La mancata approvazione della delibera assembleare. Deliberazione “negativa”, deliberazione apparente e deliberazione negata, in Quaderni Romani di Diritto Commerciale, n.43, Giuffrè, 2020; Centonze, Qualificazione e disciplina del rigetto della proposta (c.d. “delibera negativa”), in Riv. soc., 2007, 414 ss.; Pisani Massamormile, Minoranze “abusi” e rimedi, Torino, Giappichelli, 2004, 49 nt. 34; Weigmann, Società per azioni, in Digesto comm., XIV, Torino, 1997, 396; Scotti Scamuzzi, I poteri del presidente dell’assemblea di società per azioni, in Riv. intern. sc. ec. e comm., 1963, 908; Ferri, Le società, in Trattato di diritto civile, fondato da Vassalli, Torino, Utet, 1987, 650; Martines, L’abuso della minoranza nelle società di capitali, in Contr. impr., 1997, 1209; Ricci Armani, Le delibere di rigetto adottate dalla maggioranza assembleare in conflitto di interessi, in Riv. dir. comm., 1997, I, 97 ss.; Mazzoni, Gli azionisti di minoranza nella riforma delle società quotate, Giur. Comm, 1998, I, 501.

[3] Trib. Venezia, Sez. spec. Impresa, 25 marzo 2024, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Catania, Sez. spec. Impresa, 19 ottobre 2023, in De Jure, con nota di Emanuele Ferraro, Impugnazione di delibera assembleare negativa e approvazione giudiziale della proposta respinta, in Giust. Civ. Comm., fasc., 8 febbraio 2024; Trib. Roma 14 dicembre 2020 n.17824; Trib. Napoli 5 febbraio 2018; Trib. Milano 10 novembre 2017, Soc. 2018, 427, con nota di De Luca; Trib. Milano 25 settembre 2015, Soc. 2016, 235; Trib. Milano 23 settembre 2015, www.giurisprudenza delle imprese.it; Trib. Milano 20 ottobre 2016, www.giurisprudenza delle imprese.it; App. Catania, 21 luglio 2014, con nota di Cian, La mistificazione del carattere vincolante della delibera assembleare: ancora su decisione di rigetto, impugnazione, azione risarcitoria, in Riv. dir. comm., 2015, II, 335; Trib. Milano, 28 novembre 2014, commento di Di Bitonto, Abuso del diritto di voto a carattere ostruzionistico (c.d. “delibere negative”: profili sostanziali), in Società, 6/2015, 701 e Mirone, Il sistema tradizionale: l’assemblea, in Diritto Commerciale, a cura di Cian, Torino, Giappichelli, 2014, 407; Lodo Arb., 2 luglio 2009, Giur. Comm., 2010, II, 911; Cass., 5 ottobre 2012, n. 17060; nonché prima: Trib. Reggio Emilia, 20 dicembre 2002, in Giur. it., 2003, 953; Trib. Napoli, 5 dicembre 2002, in Dir. prat. soc., 2003, 79; App. Roma, 29 maggio 2001, in Società, 2001, 1487; Trib. Milano, 2 giugno 2000, in Foro. it., 2000, 3638; Trib. Milano, 28 aprile 2000, in Giur. it., 2001, 98; Trib. S.M. Capua Vetere, 5 novembre 1996, in Società, 1997; Trib. Velletri, 26 gennaio 1994, (ord.), in Società, 1994, 804 con nota di Morace Pinelli, Sull’impugnabilità delle deliberazioni negative; Cass., 7 agosto 1959, n. 2489, in Giust. civ., 1959, 2129. In dottrina: Cian, La deliberazione negativa dell’assemblea nella società per azioni, Torino, Giappichelli, 2003; Cian, La mistificazione del carattere vincolante della delibera assembleare: ancora su decisione di rigetto, impugnazione, azione risarcitoria, in Riv. dir. comm., 2015, II, 343; Trimarchi, Invalidità delle deliberazioni di assemblea di società per azioni, Milano, Giuffrè, 1958, 63; Preite, Abuso di maggioranza e conflitto d’interessi del socio nelle società per azioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, Torino, Utet, 1998, 120; Corradi, Conflitto di interessi, azione sociale di responsabilità e impugnazione di deliberazioni negative, Giur. Comm., 2001, II, 853; Angelici, Note in tema di procedimento assembleare, in Riv. not., 2005, 705; Pasquariello, Commento all’art. 2373, in Il nuovo diritto societario, cura di Maffei Alberti, Padova, Cedam, 2005, 502 ss.; Russo, Mancata approvazione del bilancio e abuso del diritto di voto nelle società “paritetiche”, Giur. Comm., 2009, II, 200; Cian, La deliberazione negativa dell’assemblea nella società per azioni, Torino, Giappichelli, 2003.

[4] De Pra, Deliberazione negativa votata in conflitto di interessi e divieto di voto del socio-amministratore, in Giur. Comm., 2010, II, 933; Ferro-Luzzi, La conformità delle deliberazioni assembleari alla legge e all’atto costitutivo, Milano, Giuffrè, 1978, 54; Cian, La deliberazione negativa dell’assemblea nella società per azioni, Torino, Giappichelli, 2003, 79.

[5] Rappresentative del contrasto in tema sono Tribunale di Milano 28 novembre 2014 e Tribunale di Napoli 5 febbraio 2018: la prima ritiene inconfigurabile la concessione della sospensiva ex art. 2378 comma 3 c.c., essendo le delibere negative prive per natura di efficacia, ma ammette in astratto l’ammissibilità di una cautela ex art. 700 c.p.c. volta ad ottenere, in via anticipatoria, la declaratoria del risultato deliberativo illegittimamente non proclamato; la seconda  invece concede la sospensiva, ritenendo che, se nulla osta alla possibilità di riconoscere al giudice dell’impugnativa di una delibera negativa il potere di accertare la situazione sottostante, nella prospettiva del superamento del carattere puramente demolitorio dell’azione, deve ammettersi anche la possibilità di una tutela cautelare anticipatoria rispetto a tale accertamento.

[6] App. Roma, 29 maggio 2001, in Società, 2001, 1487; Trib. Velletri, 26 gennaio 1994, (ord.), in Società, 1994, 804; Trib. Milano, 30 settembre 1968, in Temi, 1968, 513; Cass., 7 agosto 1959, n. 2489, in Giust. civ., 1959, 2129. Cian, La mistificazione del carattere vincolante della delibera assembleare: ancora su decisione di rigetto, impugnazione, azione risarcitoria, in Riv. dir. comm., 2015, II, 349; Sacchi – [Vicari], Invalidità delle deliberazioni assembleari, in Le nuove s.p.a., diretto da Cagnasso e Panzani, I, Bologna, 2010, 663 s.; Martines, L’abuso della minoranza nelle società di capitali, in Contr. impr., 1997, 1215 ss.; Galgano, Il nuovo diritto societario, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, Padova, Cedam, 2003, 241.

[7] Cass., 18 febbraio 2004, n. 16999, in Vita not., 2004, 1623; Trib. Reggio Emilia, 20 dicembre 2002, in Giur. it., 2003, 953; Trib. Milano, 2 giugno 2000, in Foro. it., 2000, 3638; Trib. Lanciano, 26 gennaio 1952, in Foro it., 1952, I, 937; in dottrina Pasquariello, Commento all’art. 2373, in Il nuovo diritto societario, cura di Maffei Alberti, Padova, Cedam, 2005, 502; Portale, “Minoranze di blocco” e abuso del voto nell’esperienza europea: dalla tutela risarcitoria al “gouvernement des juges”?, in Europa e dir. priv., 1999, 174 ss.; Rordorf, I poteri degli azionisti di minoranza nel testo unico sui mercati finanziari, in Scritti di diritto societario in onore di Vincenzo Salafia, Milano, Ipsoa, 1998, 171 ss.

[8] Cass., 26 agosto 2004, n. 16999, in Società, 2005, 600.  L’orientamento è criticato da La Marca, La mancata approvazione della delibera assembleare. Deliberazione “negativa”, deliberazione apparente e deliberazione negata, in Quaderni Romani di Diritto Commerciale, n.43, Giuffrè, 2020, 153.

[9] Tribunale di Roma, 14 dicembre 2020 n.17824 e 10 novembre 2010, in Foro It., anno 2011, parte I, col. 1940.

[10] Gambino, Commento sub art. 2373, in Santosuosso (a cura di), Commentario del codice civile, Torino, Utet, 2015, 1632; Trib Milano 28 novembre 2014, Gaboardi, Delibera assembleare negativa e tutela cautelare d’urgenza (profili processuali), in Società, 6/2015, 717.

[11] Anna Toniolo, ibidem, § 5.

[12] Angelici, voce Società per azioni, in Enc. dir., XLII, Milano, Giuffrè, 1990, 257 ss.

[13] Cass. Civ. 22 aprile 2013 n.9680, Giust. Civ. 2013, 1384.

[14] Cfr Anna Toniolo, ibidem, nota n.51.

[15] Pisani Massamormile, Minoranze “abusi” e rimedi, Torino, Giappichelli, 2004, 152.

[16] Si tratta di quanto accaduto in App. Catania, 21 luglio 2014, commentata da Cian, La mistificazione del carattere vincolante della delibera assembleare: ancora su decisione di rigetto, impugnazione, azione risarcitoria, in Riv. dir. comm., 2015, II, 345.

[17] De Pra, Deliberazione negativa votata in conflitto di interessi e divieto di voto del socio-amministratore, Giur. Comm., 2010, II, 937.

[18] I rimedi dati in caso di abuso di voto da parte della minoranza, cioè la tutela risarcitoria ovvero al più una funzione meramente demolitoria della tutela invalidativa, non risultano soddisfacenti. Non potendo applicarsi la soluzione dell’“effetto conformativo della sentenza di annullamento della delibera assembleare (la minoranza potrebbe continuare ad astenersi, impedendo il raggiungimento del quorum deliberativo), occorrerebbe ritenere implicito alla conformazione alla sentenza non solo un divieto di reiterare il voto negativo, ma altresì un divieto di astensione, anzi, un obbligo di voto a contenuto predeterminato. Il dovere di correttezza e buona fede non può però concretizzarsi in una scelta tra la non partecipazione al voto e il perseguimento “imposto” o “coattivo” dell’interesse sociale. Quella risarcitoria resta dunque l’unica sanzione con certezza applicabile all’abuso di voto delle minoranze di blocco. In tal senso, si segnala la particolare posizione assunta da Corte d’Appello di Catania, 21 luglio 2014, in Riv. Dir. Comm., 2015, II, 329 ss con nota di Cian, che ritiene l’impugnazione della delibera negativa derivante da abuso del diritto di voto pregiudiziale all’azione di risarcimento del danno.

[19] De Pra, Deliberazione negativa votata in conflitto di interessi e divieto di voto del socio-amministratore, Giur. Comm., 2010, II, 947.

[20] De Pra, ibidem, 948; Villata, Impugnazioni di delibere assembleari e cosa giudicata, Milano, Giuffrè, 2006, 268 ss.; Gambino, La disciplina del conflitto di interessi del socio, in Riv. dir. comm., 1969, I, 325.

[21] Cian, La mistificazione del carattere vincolante della delibera assembleare: ancora su decisione di rigetto, impugnazione, azione risarcitoria, in Riv. dir. comm., 2015, II, 344, ma anche De Pra, ibidem, 950; Meo, Gli effetti dell’invalidità delle deliberazioni assembleari, Milano, Giuffrè, 1998, 249.

[22] La Marca, La mancata approvazione della delibera assembleare. Deliberazione “negativa”, deliberazione apparente e deliberazione negata, in Quaderni Romani di Diritto Commerciale, n.43, Giuffrè, 2020, 180 ss, critica questa tesi, sostenuta invece dalla giurisprudenza arbitrale cfr Lodo arb., 2 luglio 2009 (Giur. Comm., 2010, II, 911) e Tribunale di Milano 28 novembre 2014.

[23] Trib. Venezia 25 marzo 2024, Sez. Spec. Impresa, a definizione di R.G. 5452/2024

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