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Denunzia al tribunale per gravi irregolarità ex art. 2409 c.c.: questioni essenziali (e il ruolo della Consob nelle società quotate). La disciplina speciale per le banche.

17 Maggio 2017

Avv. Vittorio Pisapia, Craca Di Carlo Guffanti Pisapia Tatozzi & Associati

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: I.- Premessa. – II. –La natura del controllo ex art. 2409 c.c. nelle società chiuse e in quelle aperte: conseguenze di natura processuale. – III. –I soggetti legittimati e le conseguenze della perdita della legittimazione nel corso del procedimento. IV. –La legittimazione ad agire della Consob nelle società soggette al TUF. V. –La partecipazione della società e la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c. – VI. –La nozione di “grave irregolarità”. VII. –Le spese del procedimento. – VIII. –La non applicabilità del procedimento alle banche e la disciplina speciale dell’art. 70, comma 7, del Testo Unico Bancario.

I. – Premessa.

L’art. 2409 c.c. delinea un procedimento – ritenuto di volontaria giurisdizione[1] – finalizzato ad attuare un controllo giudiziario sulla gestione delle società di capitali.

In particolare, la denunzia ex art. 2409 c.c. costituisce un rimedio – per certi versi preventivo – contro la mala gestio degli amministratori volto a eliminare in tempi rapidi irregolarità conseguenti alla violazione, da parte degli amministratori medesimi, dei loro doveri.

Tale denunzia – se ammissibile e fondata – può comportare l’ispezione giudiziale della società e, nei casi più gravi, la revoca degli amministratori (ed eventualmente anche dei sindaci) e la nomina di un amministratore giudiziario.

In questa sede si esamineranno alcune delle principali questioni teorico-pratiche che si pongono in tema di procedimento ex art. 2409 c.c., rinviando per il resto all’ampia letteratura esistente sul tema.

II. – La natura del controllo ex art. 2409 c.c. nelle società chiuse e in quelle aperte: conseguenze di natura processuale.

1. – Prima della riforma del diritto societario del 2003 era molto dibattuta la questione se il procedimento ex art. 2409 c.c. fosse previsto a tutela di un interesse generale o di quello della società o dei soci di minoranza.

Oggi – alla luce dell’attuale formulazione della norma – si ritiene in prevalenza che l’interesse protetto sia quello generale solo nelle società c.d. “aperte”, ossia nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Infatti il comma 7 dell’art. 2409 c.c. prevede che, nelle (sole) società che fanno ricorso al mercato di rischio, la legittimazione alla denuncia spetta anche al pubblico ministero.

Da qui si è tratta la conclusione che nelle società chiuse, ossia quelle che non fanno ricorso al mercato di rischio, l’interesse sotteso all’azione ex art. 2409 c.c. “nelle società chiuse è appannaggio esclusivo dei soci[2].

2. – Questa distinzione ha rilevanti conseguenze processuali in tema di ammissibilità della rinunzia all’azione.

Infatti:

a) nelle società aperte, nelle quali la legittimazione spetta anche al pubblico ministero, l’azione – in quanto volta alla tutela di interessi generali – non sarebbe disponibile (anche se non proposta dal pubblico ministero) e pertanto non sarebbe ammissibile la rinunzia;

b) al contrario, nelle società chiuse, nelle quali l’interesse protetto sarebbe quella della società e/o dei soci, la rinunzia sarebbe ammissibile, con conseguente possibilità che il procedimento si estingua per effetto dell’abbandono dell’azione da parte del ricorrente.

III. – I soggetti lettimati e le conseguenze della perdita della legittimazione nel corso del procedimento.

1. – La legittimazione alla denunzia spetta:

a) ai soci che rappresentano il decimo del capitale sociale (e nelle società aperte, il ventesimo del capitale sociale;

b) al collegio sindacale;

c) al consiglio di sorveglianza o al comitato per il controllo sulla gestione;

d) al pubblico ministero, come si è già visto, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

La legittimazione spetta anche – nei limiti che vedremo nel successivo paragrafo IV – anche alla Consob.

2. – In generale, si ritiene che lo status attributivo della legittimazione costituisce una “condizion(e) dell’azione che, in quanto tal(e) dev(e) permanere intatt(a) fino alla decisione dell’organo adito”[3].

Pertanto il venir meno di tale condizione nel corso del procedimento comporta l’improcedibilitàdel ricorso[4].

Il principio deve ritenersi applicabile non solo in relazione alla legittimazione dei soci, ma anche a quella dell’organo di controllo; ragione per cui il venir meno, ad esempio, del collegio sindacale quale organo per il cambiamento del sistema di governance (da tradizionale a monocratico) dovrebbe – quantomeno nelle società chiuse – comportare l’improcedibilità del ricorso.

3. – Tale conclusione è peraltro coerente anche con i principi elaborati dalla giurisprudenza, ad esempio, in tema di rapporti tra la procedura ex art. 2409 c.c. e la trasformazione di una s.p.a. avente il sistema di governance tradizionale in una s.r.l. priva di collegio sindacale: al riguardo in giurisprudenza si è affermato che, “pendente la procedura di controllo giudiziario per gravi irregolarità gestionali, la trasformazione di una società per azioni in società a responsabilità limitata, forma societaria per la quale tale controllo è inoperante, determina l’improcedibilità della relativa denunzia”[5].

Del resto, in generale, non si vede come – una volta che il soggetto o l’organo, cui la legge attribuisce la legittimazione ex art. 2409 c.c., abbia perso il proprio status legittimante (o sia addirittura venuto meno quale organo) – il procedimento ex art. 2409 c.c. (quantomeno quello relativo a società chiuse) possa proseguire[6].

IV.- La legittimazione ad agire della Consob nelle società soggette al TUF.

1. – Nelle società quotate la denunzia per “gravi irregolarità” può essere presentata anche dalla Consob.

L’art. 152 del TUF stabilisce, infatti che “la Consob, se ha fondato sospetto di gravi irregolarità nell’adempimento dei doveri di vigilanza del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato di controllo sulla gestione, può denunziare i fatti al tribunale ai sensi dell’art. 2409 del codice civile; le spese per l’ispezione sono a carico della società”.

Il terzo comma dell’articolo precisa che tale previsione “non si applica alle società con azioni quotate solo in mercati regolamentati di altri paesi dell’Unione europea”.

2. – Come risulta dal tenore letterale della norma, la legittimazione attribuita alla Consob riguarda (solo) l’organo di controllo.

In particolare, si è osservato che “la legittimazione (…) della Consob è parziale e non decisiva”[7].

Infatti la “Consob sottopone al tribunale” le violazioni “dei doveri di vigilanza” e il suo intervento “si giustifica in funzione dell’interesse di mercato, la cui tutela compete alla Commissione in via generale (art. 91 TUF)”[8].

La Consob potrebbe intervenire sulle violazioni dell’organo gestorio in via indiretta, ossia mediante segnalazione al pubblico ministero, il quale “resta (…) il più naturale riferimento con riguardo alle violazioni degli amministratori, delle minoranze non qualificate, dei singoli soci e degli stessi componenti minoritari dell’organo di controllo” e “oggi perfino della Consob”[9].

3. – Tuttavia in giurisprudenza si è affermato che, “qualora la denuncia evidenzi omissioni di controllo sull’operato degli amministratori, l’accertamento del giudice si estende oltre la tutela della trasparenza e coinvolge la correttezza della gestione della società, con la conseguenza che può essere richiesta anche la revoca degli amministratori e la nomina di un amministratore giudiziario”[10] .

V. – La partecipazione della società e la nomina di un curatore speciale ex art. 78 c.p.c.

1. – La società è parte del procedimento: il primo comma del vigente articolo 2409 c.c. stabilisce, infatti, che il ricorso va notificato “anche alla società”, “in tal modo qualificandola come parte a tutti gli effetti, anche se (…) in una condizione particolare di autonomia sia dai ricorrenti che dagli amministratori e dai sindaci”[11].

In particolare, si è ritenuto che essa è “portatrice del medesimo interesse al ripristino della corretta amministrazione” e “la sua posizione è”, appunto, “autonoma sia dai ricorrenti che dagli amministratori (e dai sindaci)”[12] .

Questo comporta, da, un lato, che la società potrebbe assumere una posizione anche non a favore degli amministratori, e, dall’altro lato, che, proprio per questo motivo, la decisione della posizione da assumersi da parte della società non può essere presa dagli amministratori che hanno la legale rappresentanza, i quali si trovano, infatti, in conflitto d’interessi.

Da qui la necessità della nomina di un curatore specialeex art. 78 c.p.c., il quale rappresenti la società nel procedimento.

2. – La necessità della nomina di un curatore speciale pone poi le questioni dell’individuazione: a) del soggetto o dei soggetti legittimati a chiederne la nomina; b) dell’organo competente a provvedere alla nomina.

Quanto al primo profilo, si ritiene che la legittimazione spetti alla società stessa, “tramite i propri organi”, ai “singoli amministratori o sindaci o, ancora” agli “stessi ricorrenti o, se legittimato attivamente”, al “P.M.”[13].

Quanto al secondo profilo, alla luce del principio espresso dall’art. 80 c.p.c., l’istanza di nomina, ove il procedimento sia stato già instaurato (senza che la società sia stata previamente munita di un curatore speciale) dovrebbe proporsi al presidente del collegio al quale è assegnato il procedimento, ovvero al collegio medesimo.

VI. – La nozione di “grave irregolarità”.

L’art. 2409 c.c. prevede che, per proporre la denunzia, occorre che vi sia fondato sospetto di gravi irregolarità.

In relazione a tale presupposto sono stati elaborati i seguenti principi:

a) a seguito della riforma del diritto societario, le “gravi irregolarità”, il cui “fondato sospetto” giustifica il ricorso alla procedura ex art. 2409 c.c., devono essere “attuali” e tali da potere “arrecare danno alla società”;

b) nonintegrano poi gravi irregolarità né le mere irregolarità formalile contestazioni che coinvolgono scelte di merito dell’organo amministrativo, come tali, per giurisprudenza pacifica, non censurabili[14];

c) è onere del denunziante allegare in modo specifico e dimostrarela sussistenza del requisito dell’attualità del danno o del pericolo di danno degli atti di gestione oggetto di denunzia al Tribunale”[15];

d) il fondato sospetto necessario per attivare il procedimento di cui all’art. 2409 c.c (…) può desumersi da mere prospettazioni di parte”[16];

e) sono quindi di per sé inammissibili le allegazioni che, ancor prima che indimostrate, siano generiche, ossia carenti sul piano assertivo.

VII. – Le spese del procedimento.

1. – In generale si ritiene che, quanto alle spese, nel procedimento ex art. 2409 c.c. trovi applicazione il principio della soccombenza.

In particolare, anche la Cassazione afferma che “la condanna al pagamento delle spese processuali pronunciata a favore di colui che le abbia anticipate (…), pur non essendo accessoria ad una decisione su diritti soggettivi, né collegabile a comportamenti anteriori al processo, è legittima nella parte in cui si fondi sulla soccombenza processuale dei controinteressati nel contrasto delle posizioni soggettive, anche se non può avere, comunque, ad oggetto le spese di ispezione giudiziale della società, che restano sempre a carico dei denunciati”[17].

2. – Il medesimo principio deve ritenersi operante anche qualora la denuncia sia presentata dall’organo di controllo (e sia poi respinta dal tribunale in quanto inammissibile o infondata).

In contrario non varrebbe obiettare che il comma 7 dell’articolo prevede che in tali casi le spese per l’ispezione sono a carico della società.

Infatti la deroga riguarda, appunto, solo le spese dell’ispezione, che, come si è visto, è di regola a carico dei denuncianti.

Ma se il ricorso, pur se proposto dall’organo di controllo, sia respinto in quanto inammissibile o infondato, non vi è ragione per escludere la condanna alle spese (salvo che non ricorrano i presupposti per l’eventuale compensazione, anche parziale).

VIII. – La non applicabilità del procedimento alle banche e la disciplina speciale dell’art. 70, comma 7, del Testo Unico Bancario.

1. – L’art. 152 del TUF, all’ultimo comma, stabilisce che “resta fermo quanto previsto dall’articolo 70, comma 7, del T.U. Bancario” (“TUB”).

L’art. 70 del TUB, a sua volta, prevede, al comma 7, che “alle banche non si applica (…) l’art. 2409 del codice civile” e detta una disciplina speciale in tema di gravi irregolarità nella gestione delle banche.

Infatti la norma dispone che, “se vi è fondato sospetto che i soggetti con funzioni di amministrazione, in violazione dei propri doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla banca o a una o più società controllate, l’organo con funzioni di controllo od i soci che il codice civile o lo statuto abilitano a presentare denuncia al tribunale, possono denunciare i fatti alla Banca d’Italia, che decide con provvedimento motivato”.

Questa disciplina “conferma, da un lato, che la tutela degli interessi dei soci delle società bancarie compete direttamente all’autorità di vigilanza (…) e, dall’altro, l’assorbimento nell’amministrazione straordinaria (…) del momento centrale del procedimento exart. 2409 c.c., cioè la revoca degli amministratori e la nomina di un amministratore giudiziario”[18].

Il che significa che, a seguito della denunzia alla Banca d’Italia, ove la stessa sia fondata, può aprirsi il procedimento di amministrazione straordinaria, disciplinato dagli articoli 70 e seguenti del TUB[19].

Va qui, in conclusione, precisato che l’art. 70, comma 7, TUB è considerata “norma speciale con la quale il legislatore ha inteso derogare ad una norma di portata generale quale quella codicistica”, con la conseguenza che “una siffatta volontà impedisce ogni interpretazione analogica che estenda la disciplina dell’art. 70 t.u.b. agli altri soggetti operanti nel settore finanziario e, di conseguenza, deve ritenersi ammissibile l’azione ex art. 2409 c.c. nei confronti di una società finanziaria iscritta soltanto nell’elenco generale di cui all’art. 106 t.u.b.”[20].

 


[1] Cfr. per tutte: Cass., 27 marzo 2015, n. 6328, la quale – su tali premesse – precisa che “i provvedimenti resi sulla denunzia di irregolarità nella gestione di una società ex art. 2409 cod. civ., ancorchè comportino la nomina di un amministratore con la revoca di quelli prescelti dall’assemblea, ovvero risolvano questioni inerenti alla regolarità del relativo procedimento, sono privi di decisorietà in quanto, nell’ambito di attribuzioni di volontaria giurisdizione rivolte alla tutela di interessi anche generali ed esercitate senza un vero e proprio contraddittorio, si risolvono in misure cautelari e provvisorie, coinvolgono diritti soggettivi, ma non statuiscono su di essi a definizione di un conflitto tra parti contrapposte, nè hanno attitudine ad acquistare autorità di giudicato sostanziale: tali provvedimenti non sono dunque impugnabili con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., tranne che per la parte in cui rechino condanna alle spese, e tale principio non incontra deroga ove la corte d’appello abbia risolto in senso positivo o negativo questioni inerenti all’ammissibilità del procedimento, incluse quelle che attengano alla legittimazione dei denunzianti, dato che la pronuncia sull’osservanza delle norme che regolano il processo, disciplinando i presupposti, i modi ed i tempi con i quali la domanda può essere portata all’esame del giudice, ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale per cui il processo è predisposto, di modo che, se tale atto sia privo di decisorietà, non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio”.

[2] Trib. Roma. 21 luglio 2014, in www.ilcaso.it., il quale precisa che ai soci “è lasciata la libertà di decidere se attivare il controllo giudiziario”. Cfr. anche G.U. Tedeschi, Il nuovo art. 2409 c.c., Contratto e Impresa, 2005, 2, 687 e ss.: “la tutela di interessi generali mediante l’istituto dell’art. 2409 c.c. non può più sostenersi per le società per le quali è esclusa l’iniziativa del pubblico ministero, non potendosi ritenere equiparata ad essa la facoltà di attivare l’art. 2409 c.c. da parte dell’organo di controllo”. Cfr. anche Trib. Napoli, 10 dicembre 1994, in Società, 1994, 1773 che afferma che, “poiché il procedimento ex art. 2409 c.c. riveste natura di volontaria giurisdizione, essendo preordinato alla diretta tutela di un interesse privato dei soci, cui si ricollega, in via mediata, un interesse pubblico, è ammissibile la rinuncia ad esso da parte di chi lo ha promosso”.

[3] Trib. Roma. 21 luglio 2014, in www.ilcaso.it.

[4] Trib. Roma. 21 luglio 2014, in www.ilcaso.it.

[5] App. Roma, 13 luglio 2006, in Foro It., 2007, I, 1593.

[6] Cfr. nel medesimo senso anche App. Roma, 11 luglio 1978, in Foro it., 1978, I, 2059, secondo cui “è inammissibile per difetto di legittimazione la denuncia (…) proposta ex art. 2409 cod. civ. da socio che, titolare al momento della presentazione della domanda della decima parte del capitale sociale, tale qualità abbia perduto nelle more del procedimento”.

[7] Mosco-Lopreiato, Il testo unico della finanza, a cura di Fratini-Gasparri, Milano, 2012, vol. II, sub art. 152, pagg. 2069 e ss.

[8] Mosco-Lopreiato, Il testo unico della finanza, a cura di Fratini-Gasparri, Milano, 2012, vol. II, sub art. 152, pagg. 2069 e ss.

[9] Mosco-Lopreiato, Il testo unico della finanza, a cura di Fratini-Gasparri, Milano, 2012, vol. II, sub art. 152, pagg. 2069.

[10] Trib. Milano, 28 aprile 2000, in Gius, 2001, 395.

[11] Bertolotti, Società per azioni, collegio sindacale, revisori, denunzia al tribunale, Torino, 2015, 590.

[12] Bertolotti, Società per azioni, collegio sindacale, revisori, denunzia al tribunale, Torino, 2015, 590-591.

[13] Bertolotti, Società per azioni, collegio sindacale, revisori, denunzia al tribunale, Torino, 2015, 591.

[14] Cfr., per tutte, Trib. Torino, 13 giugno 2014, in www.giurisprudenzadelleimprese.it e Cass., 12 novembre 1965, in Giur. It, 1966, I, 1, 401.

[15] Trib. Milano, 27 novembre 2012, inwww.giurisprudenzadelleimprese.it.

[16] Trib. Napoli, 22 giugno 2004, in Giur. Comm., 2006, 5, II, 949; cfr. anche la già citata Trib. Torino, 13 giugno 2014, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.

[17] Cass., 5 luglio 2002, n. 9828.

[18] Nigro, in Testo Unico Bancario, Commentario, a cura di Porzio-Belli-Losappio-Rispoli Farina-Santoro, Milano, 2010, sub art. 70, pag. 634.

[19] Cfr. Consiglio di Stato, 19 febbraio 2015, n. 835: “i provvedimenti generali e specifici adottabili dalla Banca d’Italia nell’ambito della propria attività ispettiva sono disciplinati dagli art. 53 e 54 d.lg. n. 385 del 1993; tutt’altra cosa sono invece i provvedimenti adottabili in caso di crisi accertata o conclamata, dei quali si occupa altra parte del t.u. bancario (artt. 70 e segg.). Il rapporto tra le due previsioni si esaurisce nell’ovvio rilievo che l’adozione del commissariamento può essere determinata od occasionata dalle risultanze dell’attività ispettiva, ma ciò non comporta affatto che la normativa vigente costruisca un “sistema” di misure più o meno afflittive, all’interno del quale si applicherebbe un criterio di gradualità rispetto alle violazioni e irregolarità riscontrate. Lo scioglimento può essere infatti disposto laddove l’Autorità di vigilanza riscontri “criticità” non superabili, mantenendo la continuità della gestione aziendale (per tale dovendosi intendere sia la permanenza dei medesimi organi in carica, sia — più in generale — la prosecuzione di una gestione ispirata alle stesse logiche seguite fino a quel momento).

[20] Trib. Messina, 29 maggio 2002, in Società, 2003, 747.

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