Con la pronuncia in oggetto, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta in materia di mancata previsione dell’invio periodico di informazioni nell’ambito di un contratto di deposito titoli.
Ribadendo quanto già affermato in secondo grado, la Suprema Corte è arrivata a precisare come la mancanza del documento contrattuale abbia impedito “anche di valutare il dedotto inadempimento, giudizio imprescindibile, atteso che l’art. 1455 c.c. richiede, per la risoluzione, che l’inadempimento non sia di scarsa importanza. Infatti,“quello in esame non è un contratto di conto corrente, nel quale è comunemente prevista l’obbligazione accessoria di inviare al correntista estratti conto periodici, ma un conto di deposito, con il quale la banca assume l’obbligazione di custodire i titoli che il correntista acquista (e di cui, perciò, necessariamente conosce numero e tipo, atteso che solo a seguito del suo acquisto e di sue disposizioni essi vengono depositati sul conto), ma non anche quella di informare il correntista, periodicamente, della consistenza dei titoli depositati (che, in mancanza di acquisti, può anche non variare mai)”.
La mancata previsione, dall’altro, in un contratto di deposito, poco o per nulla movimentato, dell’invio periodico di informazioni non appare, “di per sé, contrario ai canoni di correttezza e buona fede che regolano l’esecuzione dei contratti”. Il diritto del cliente, a essere informato sulle giacenze del proprio deposito titoli, trova fondamento esclusivamente nel principio di buona fede, quale clausola generale di interpretazione del contratto.
Pertanto, si afferma che “in mancanza di prova della sussistenza del concreto contenuto dell’obbligo di informare periodicamente il cliente, non può affermarsi che la banca sia stata inadempiente, né, tanto meno, che il suo inadempimento non sia stato di scarsa importanza”.
Tale diritto si configurerebbe come un autonomo diritto, estraneo alle obbligazioni tipiche che ne costituiscono lo specifico contenuto, pur derivando dal contratto stesso: esso nasce dall’obbligo di buona fede, correttezza e solidarietà.
In conclusione, rigettando il ricorso proposto, la Suprema Corte stabilisce come il contratto di deposito, con il quale l’istituto bancario assume l’obbligazione di custodire i titoli che il correntista acquista, non può essere assimilato ad un contratto di conto corrente, nel quale è previsto, invece, una rendicontazione periodica. Con il conto deposito, la banca assume esclusivamente l’obbligazione di custodire i titoli, ma non anche quella di informare periodicamente il cliente della consistenza dei titoli ivi depositati.