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Derivati del Comune di Milano: elementi tecnici emergenti dall’esame delle motivazioni della sentenza di condanna

4 Marzo 2013

Dott. Ivan Fogliata

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente elaborato costituisce seguito del precedente scritto: “Il tema dei costi impliciti nei contratti derivati: considerazioni tecniche sulla sentenza di condanna per truffa del Tribunale di Milano del 19 Dicembre 2012 nella vertenza fra quattro Banche ed il Comune di Milano, in attesa delle motivazioni”.

Nello scritto citato si procedeva ad una ricostruzione fattuale della vicenda che ha trovato conferma nelle motivazioni della sentenza. Le motivazioni riportano in maniera compiuta la giustificazione degli importi oggetto di condanna alla restituzione; ciò che però emerge con maggiore rilievo dalle recenti motivazioni del disposto di condanna del 19 dicembre 2012 nei confronti dei quattro istituti di credito: UBS, J.P. Morgan, Deutsche Bank e Depfa è il formidabile esempio di connubio giuridico-tecnico nell’esame di una materia complessa quale il contratto derivato.

Le motivazioni offrono da un lato direzioni tecniche di cui diffusamente parleremo nel prosieguo e dall’altro indicano orientamenti giurisprudenziali di grande interesse per il tecnico corroborati da argomentazioni estremamente solide.Si ritiene quindi fondamentale compendiare in questa sede tali indirizzi che contribuiscono a fornire ulteriore chiarezza su concetti particolarmente discussi e forieri di opacità nella materia dei derivati OTC.

Capitolo 1. Il tema dei costi impliciti.

I costi impliciti sono uno dei temi più dibattuti e controversi in materia di derivati OTC. La liceità o meno degli stessi ed il loro impatto sulla nullità del contratto derivato costituiscono oggetto di diatriba per i giuristi. Non mancano orientamenti da parte della giurisprudenza di merito che arrivano a statuire, “il principio secondo cui l’IRS è inefficace nei confronti dell’investitore (perché nullo) se i costi dell’intermediario sono impliciti, cioè occulti1”.

Cosa sono i costi impliciti?

Citando il Professor Gianluca Fusai in una delle sue più efficaci espressioni egli definisce il costo implicito come segue: “Per costo implicito intendiamo un costo non esplicitato. Quindi si tratta della perdita finanziaria dovuta a condizioni contrattuali che avvantaggiano una delle due parti a danno dell’altra. In presenza di costo implicito, alla stipula del contratto derivato le due controparti si troverebbero l’una sulla linea di partenza e l’altra arretrata di una decina (o più!) di metri; la gara viene disputata con un concorrente che di fatto, inconsapevolmente, parte svantaggiato”.

Il caso del Comune di Milano contribuisce a chiarire ulteriormente ed ampliamente un tema che per il tecnico, che si “limita” a misurare il “mis-valore2” del derivato alla sua firma, potrebbe sembrare di primo acchito un problema di semplice soluzione ma che in realtà nasconde risvolti tecnici di non poco momento. Affronteremo – infatti – nel prosieguo della presente sezione il tema di cosa sia “costo” e cosa sia “profitto” implicito, di cosa sia il valore del rischio creditizio delle controparti e di come essi vadano compendiati.

Le motivazioni quindi appurano che non esiste il costo implicito tout court, ovvero una grandezza cui attribuire mera valenza negativa di guadagno occultato dalla controparte (spesso bancaria). Le motivazioni comunicano che una certa quota di questa grandezza – a questo punto impropriamente chiamata “costo implicito” – è di fatto lecitamente addebitabile alla controparte. Si tratta dei costi che la parte che confeziona il prodotto (di solito una banca) patisce per confezionarlo (parleremo infatti successivamente di bid-ask spread) e dei costi che la stessa patisce per garantirsi dal rischio che la controparte non onori (il cosiddetto rischio di credito) il pagamento dei propri flussi. Quest’ultimo costo del rischio di credito è però da compensare col medesimo costo che la controparte sopporta per coprirsi dal rischio che fallisca la banca. In tal senso solo il differenziale del costo del rischio creditizio (se a favore della banca) è lecitamente addebitabile al cliente.

Entrando nel dettaglio della vicenda le motivazioni della sentenza riportano come le 4 banche ai sensi dell’art. 41 della legge 448/2001 indicarono al Comune di Milano che l’operazione di ristrutturazione dell’indebitamento pregresso attraverso il nuovo bond comunale avrebbe comportato una convenienza economica di € 57.000.000 garantendo che tale convenienza sarebbe durata per tutta la vita dell’operazione.

Inoltre nelle condizioni generali di contratto viene indicato il compenso massimo per l'operazione che sarà costituito da una commissione espressa in un'unica percentuale omnicomprensiva dello 0,01% del totale del prestito obbligazionario. Si trattò di una commissione pari ad € 168.534,72.

Ancora, il 27 giugno 2005 viene firmato fra il Comune e le 4 Banche l'ISDA Master Agreement. Le motivazioni riportano che all'allegato 3 di tale accordo e in particolare nel documento sui Rischi generale degli Investimenti in Strumenti Finanziari si specificava che: "alla stipula del contratto il valore di uno swap è sempre nullo".

I fatti di cui sopra sono stati gli elementi che hanno portato il Giudice a porre in particolare i quesiti 2 e 3 di un totale di 5 al consulente tecnico d’ufficio Prof. Corielli3. La consulenza d’ufficio di fatto ha riscontrato la presenza di costi impliciti e soprattutto di costi impliciti ben maggiori alle quote lecitamente addebitabili ovvero come sopra specificato i costi di strutturazione del derivato (bid ask spread) ed il differenziale del rischio creditizio fra le due parti.

Il Giudice fa quindi proprie le tesi del CTU Corielli che, constatato che tutte le perizie di parte riconoscono l’esistenza di un valore positivo del primo swap per le banche, affronta quattro temi fondamentali da cui emergono dei principi che possiamo enunciare e che seguono:

  1. Anche le banche scontano un rischio creditizio che deve essere valutato4. Ovvero non solo le Banche verso l’Ente ma anche il Comune di Milano aveva diritto a vedere riconosciuto il fatto che pativa un rischio di insolvenza; le quattro banche avrebbero potuto, anche se con modesta probabilità5, avere difficoltà a versare i propri flussi periodici.
  2. I costi impliciti negativi per il cliente (ovvero positivi per le banche) sono scomponibili dal lato banche in una componente di costi ed una di profitto.
  3. Per l’Ente pubblico non però esiste differenza fra le due macrocomponenti (costi e profitti) di cui sopra. La valutazione di convenienza economica per un ente deve sempre essere valutata considerando l’intero esborso implicito che il derivato OTC comporta.
  4. Uno swap deve avere “valore nullo” alla firma.

In merito al primo punto il CTU con forza sostiene che non possa essere omessa la valutazione del rischio creditizio che il Comune di Milano patisce in merito ai pagamenti che deve ricevere dagli Istituti bancari emergenti dai derivati sottoscritti.

Il rischio consiste nel fatto che una banca divenga insolvente e non sia in grado di corrispondere il proprio flusso di pagamenti.

Ovviamente esiste anche il rischio opposto, uno swap è uno scambio di pagamenti che generano un saldo positivo per una delle controparti sulla base dei movimenti dei valori economici su cui è iscritto. Nel caso in esame si tratta del rischio che il Comune non sia in grado di versare i propri flussi di cassa emergenti dal contratto di amortising swap con struttura collar.

In merito all’amortising swap con struttura collar la componente rischio di credito patita dal Comune di Milano è valutata dal CTU in € 18.196.857 sui 4 Istituti mentre la componente rischio di credito a carico delle Banche verso il Comune di Milano è valutata dal CTU in € 165.4166.

Le Banche, riportano le motivazioni, affermano che abitualmente non considerano il loro rischio di credito in operazioni simili e quindi contestano la valorizzazione di un costo implicito a carico del Comune di circa € 18 mio. La consulenza d’ufficio sgombra il campo da dubbi affermando che: “in operazioni tra le banche medesime ed anche in operazioni con controparti finali finanziariamente più agguerrite, il costo (del rischio di credito) sarebbe stato certamente preso in considerazione, se invece si intende l'uso di non riconoscere il proprio (rischio di) credito in operazioni con gli Enti locali italiani, questo è molto probabilmente vero”.

Emerge una sorta di autoreferenzialità del mondo creditizio che sembra asserire che le proprie controparti non patiscano alcun rischio creditizio nel concludere operazioni finanziarie che le vedono fra i contraenti.

Quanto al secondo punto le motivazioni alla sentenza sono illuminanti. Il CTU Prof. Corielli muove da una considerazione disarmante quanto diretta nella sua semplicità. Egli afferma che non importa quali costi internamente sostenga una banca per confezionare uno swap. Basta constatare che se una banca vuole stare sul mercato degli swap essa deve essere in grado di sopportare costi pari alla metà del bid/ask spread7 dei tassi e delle volatilità più il costo del rischio di credito della sua controparte ovvero nel caso specifico del Comune di Milano.

Cosa è il bid/ask spread? Letteralmente è la differenza fra prezzo denaro e lettera ovvero il prezzo a cui una controparte è disposta ad acquistare (prezzo denaro o bid) ed a vendere (prezzo lettera od ask) il medesimo bene8.

Nel caso in esame si tratta della differenza fra le quotazioni bid ed ask dei tassi fissi e variabili che le banche si sono apprestate ad intermediare. Se ad esempio il mercato quotava il tasso fisso a 20 anni al 5% per chi lo acquistava ed 5,05% per chi lo vendeva si può affermare che il mercato quotava un prezzo medio di 5,025% (valore noto come mid(dle) market price).

Chiudere una posizione su tassi in uno swap costa quindi la differenza fra il prezzo mid market ed il prezzo denaro o lettera; in qualunque senso la si esamini il costo è quindi sempre pari alla metà del bid/ask spread (nel nostro esempio è pari allo 0,025%). Come indica lo IAS 39 infatti il mid price va utilizzato per il calcolo del fair value quando il prodotto finanziario che si valuta non è né un credito e né un debito ma una posizione che compensa rischi nel medesimo mercato quale il contratto di swap.

Il medesimo concetto va utilizzato per le volatilità dei valori finanziari in esame per la struttura collar. Il CTU infatti specifica che lo “spread per scadenze lunghe attorno allo strike di 3.5% era di 10bp e attorno a 6% era di 20/30 bp per cui i mid spread sono 5bp e 15bp”.

In merito all’amortising swap con struttura collar il CTU valuta in complessivi € 4.564.059 il valore dello spread sul tasso ed € 1.504.790 lo spread sulle volatilità. Aggiungendo € 165.416 quali costo del rischio di credito addebitabile allo standing creditizio del Comune di Milano si giunge ad una somma pari ad € 6.234.265 quale “reale costo implicito” dell’amortising swap con struttura collar.

Ergo la differenza fra il valore dello swap alla sua sottoscrizione di € 53.769.148 (mark to market) ed il costi sostenuti dalle banche di cui sopra porta alla determinazione di un profitto pari ad € 47.534.884 che è esattamente la somma che le 4 banche sono state condannate a rifondere quali profitti illeciti9.

Sul punto il CTU è chiaro anche sulle modalità di contabilizzazione del profitto da parte degli Istituti di credito10. Egli definisce i profitti pari a 47.534.884 quali “day one profit”; il profitto al giorno 1 dell’operazione in derivati, ovvero il fair value al quale secondo lo IAS 39 il derivato deve essere contabilizzato e quindi obbligatoriamente iscritto in bilancio il giorno stesso della sua sottoscrizione.

Egli infatti spiega come sarebbe immediatamente visibile in una contabilità a fair value la differenza di valore fra due operazioni analoghe che venissero sottoscritte dalla Banca il medesimo giorno ma una a condizioni migliori (per la banca) dell’altra invece meramente chiusa a condizioni di mercato. Se poi le condizioni cambiassero entrambe le operazioni varierebbero ma l’una sarebbe sempre più positiva o meno negativa dell’altra che fu chiusa semplicemente a mercato.

Ancora il CTU osserva come gli venga contestato dai consulenti delle 4 banche il fatto che il profitto emergente dalla stima del mark to market sia un mero profitto potenziale quindi non reale e contabilizzabile. Il CTU brillantemente argomenta che se non si attribuisse un valore al derivato al giorno 1 non sarebbe possibile redigere un bilancio di una banca se non in corrispondenza della scadenza di un’operazione (nel caso in esame dopo 30 anni quindi). Se si seguisse tale logica anche il valore di un immobile sarebbe potenziale sino alla sua effettiva cessione e non sarebbe contabilizzabile se non all’atto della vendita. Lo IAS 39 interviene invece proprio per attribuire valori e ridurre l’aleatorietà delle valutazioni.

A parere di chi scrive una ulteriore argomentazione può corroborare la tesi del CTU; di fatto nessuno vieterebbe alla banca di monetizzare immediatamente il day one profit assumendo posizione uguale e contraria con altro intermediario. Tale possibilità è evidenza che il profitto, se non definitivamente acquisito, è immediatamente acquisibile se la banca decidesse in tal senso11.

Il giudice attraverso le proprie motivazioni spiega inoltre come, in materia di profitti, le 4 banche esplicitino solamente la somma di commissioni pari allo 0,01% dell’operazione occultando i day one profits; egli, nel condannare a rifondere tali profitti occultati, precisa che non intende condannare i profitti in quanto tali ma il modo illecito con cui i profitti sono stati realizzati ovvero attraverso:

  • l’occultamento del day one profit;
  • il consiglio di non interpellare altri intermediari per quotare swap analoghi al primo in quanto si sarebbe creato un effetto negativo sulla collocazione del bond comunale12;
  • l’operatività contraria alla legge in termini di convenienza economica ed estinzione/riduzione delle passività dell’Ente.

Passando quindi al terzo punto il CTU spiega come per il Comune di Milano il costo dell’amortising swap con struttura collar sia comunque pari ad € 53.769.148 a prescindere dalla divisione in costi e profitti operata in precedenza perché fattispecie che interessa le sole banche. Infatti, per l’Ente è indifferente quale sia la natura del mispricing che su di esso grava; il fatto è che esso lo sostiene per intiero.

Quanto sopra affermato apre la via alla trattazione del quarto punto. Cosa significa che uno swap debba avere valore zero al momento della sottoscrizione?

Le motivazioni chiariscono la questione con la efficace formulazione del CTU che afferma: “il valore dello swap al momento della transazione deve essere zero per entrambe le Parti tenendo conto del fatto che, ad esempio, la parte "acquirente" paga all'altra parte il servizio che questa le fornisce (servizio valutato nel mid to bid/mid to ask spread) e che entrambe le Parti si scambiano una posizione di credito di segno opposto. Con questa precisazione, l'affermazione è corretta poiché se, tenuto conto di questi ulteriori "servizi ", una delle due Parti avesse ancora un vantaggio, non converrebbe all'altra prendere la posizione”.

Ciò che si apprende in estrema sintesi dalle motivazioni è che non esiste un valore zero alla stipula in assoluto bensì vanno valutati in esso i meri costi esclusivamente da bid/ask spreads nonché i differenziali di rischio di credito.

Capitolo 2. Il concetto di valore finanziario.

Le motivazioni pongono l’accento sul fornire chiarimenti in merito al concetto di "valore finanziario" contenuto in una delle norme alla base del processo (in particolare l'art. 41 della legge 448/01).

Il termine infatti più volte viene richiamato per valutare l’operato degli istituti di credito in merito al rispetto della normativa sugli enti pubblici. Infatti, se viene annullata una passività e sostituita con un’altra occorre che la sostituzione non porti un danno all’Ente. Come si misura il corretto operato dell’Ente? Attraverso il confronto dei due “valori finanziari”; semplicemente il valore finanziario della nuova passività deve essere inferiore a quello della precedente.

La consulenza di ufficio chiarisce che per valore finanziario si debba intendere una “ragionevole valutazione di mercato della posizione”. Ciò da un lato chiarisce un aspetto ma lascia aperta la discussione sul cosa sia un valore di mercato.

Il problema è dunque il seguente: con riferimento ad un derivato (in questo caso uno swap) quale è il “valore finanziario” ovvero il valore di mercato cui fa riferimento l'art. 41 della legge 448/01?

La diatriba che ci aiuta a capire come sia stato inteso il valore finanziario emerge nelle motivazioni e muove da due ordini di posizioni contrapposte fra Banche ed il CTU Corielli.

Esaminiamo la prime: le Banche hanno sostenuto che non si può attribuire un valore attuale certo ad un prodotto finanziario che per sua natura genera flussi aleatori13. In tal senso, seguendo tale approccio, se si usasse la valutazione dello swap in un dato momento (la cosiddetta determinazione del mark to market) non si potrebbe assumere tale somma quale espressione del “valore finanziario”.

Il CTU spiega come: “supporre che tale valutazione si riduca ad una valutazione del valore scontato dei flussi finanziari di un'operazione ha senso solo se questa operazione prevede flussi certi come il pagamento delle rate di un mutuo a tasso fisso o il pagamento delle cedole e poi del capitale di un'obbligazione venduta. Se la posizione prevede flussi aleatori, il valore attuale di questi è tanto aleatorio quanto i flussi medesimi e non costituisce una misura del valore (di mercato) della posizione. In questo caso e sotto opportune ipotesi che in questa perizia, ma anche in ogni attività di valutazione e copertura di derivati, si ritengono almeno approssimativamente valide, al termine "flussi finanziari" va fatto seguire il termine “attesi" dove quest'ultimo termine ha un preciso significato matematico in termini di assenza di arbitraggio e non si ricollega alle opinioni delle parti”.

Ciò che le motivazioni chiariscono, a parere di chi scrive, è come da un lato non esista altro modo per valutare uno swap che attualizzarne i flussi di cassa futuri e come dall’altro debbano essere tenute in dovuto conto sia la probabile distribuzione dei flussi secondo le curve dei tassi forward14 nonché della loro aleatorietà espressa dalla volatilità delle curve forward stesse. Ciò rende non aleatori i valori al tempo 0 con l’ulteriore pregio che lo swap viene valutato secondo un principio di non arbitraggio15.

A ciò si aggiunga che il mark to market è il valore al quale uno swap può essere chiuso anticipatamente essendo giusto compenso per ripagare la controparte dei possibili guadagni futuri che andrà a perdere. Seguendo l’impostazione delle banche nessun potrebbe uscire anticipatamente da uno swap perché non sarebbe mai possibile determinare il giusto indennizzo della controparte; è ovviamente lapalissiano come l’evidenza empirica mostri che l’estinzione anticipata di uno swap sia pratica comunissima anche sui mercati OTC.

Passiamo ora alle seconde: gli istituti bancari durante il procedimento hanno sostenuto che in presenza di barriere cap e floor basta valutare il valore delle stesse sostituendole col valore del cap quando sulla curva forward si osservino tassi superiori allo strike e col valore del floor quando sulla curva forward si osservino tassi inferiori allo strike. Tali stime però non costituiscono il valore finanziario in quanto legate ad una mera osservazione di valori previsionali ma statici16.

La consulenza d’ufficio di fatto osserva come i Cap ed i Floor siano opzioni17 e come tali non si possa seguire l’approccio che le Banche asseriscono di avere adottato. Assumendo infatti che la curva forward al momento 0 non evidenzi il futuro superamento di un tasso cap ad es. del 6,19% significherebbe, seguendo l’approccio suggerito dagli istituti di crediro, assumere che tali cap non abbiano alcun valore. Ma in realtà il CTU osserva come anche un’opzione “out of the money18” possa avere un suo valore positivo data anche la lunga durata delle stesse.Questo perché la curva forward in futuro potrà muoversi perché caratterizzata da una sua volatilità. Egli si riferisce al modello di pricing delle opzioni à la Black & Sholes e successive evoluzioni quale modello corretto di attribuzione di un valore di mercato.

Ancora il CTU osserva come, se fosse così come suggerito dalle Banche, un Ente potrebbe sottoscrivere infinite opzioni out of the money con valore finanziario nullo ma con valore di mercato positivo. Infatti, non è così, i valori di mercato e finanziario debbono sempre collimare.

Capitolo 3. Il contratto derivato per l’Ente pubblico. Trattamento del connubio derivato-passività. Il divieto di sovrapposizione, di rinegoziazione e di finanziamento occulto delle perdite pregresse.

Le motivazioni chiaramente illustrano come le 4 banche arrangers fossero perfettamente a conoscenza dell’esistenza di uno swap Unicredit iscritto su una tranche dei finanziamenti che si andavano a ristrutturare ed ad inglobare nell’emissione di bond comunali in creazione. Ciò che avvenne fu che il finanziamento Unicredit (così come altri con altre banche) fu chiuso ed inglobato nell’emissione del bond mentre così non accadde per lo swap in essere con Unicredit che venne gestito e chiuso solo mesi dopo.

Tale fattispecie apre la strada a tre questioni di particolare momento ovvero:

– Un derivato può esistere senza la relativa passività?

Ai sensi del comma 2 dell’articolo 41 della legge 448 del 2001: “la ristrutturazione di una passività per un ente è possibile solo in presenza di condizioni di rifinanziamento che consentano una riduzione del valore finanziario delle passività totali a carico degli enti stessi".

Inoltre Il decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 1 dicembre 2003 n. 382 all’articolo 3 regolamenta le operazioni in derivati ammesse e afferma: "3. Le operazioni derivate sopra menzionate sono consentite esclusivamente in corrispondenza di passività effettivamente dovute…”.

Il CTU Prof. Corielli, in risposta al primo quesito sottopostogli19, afferma che per l’ente pubblico un derivato può esistere solo se esiste la passività cui si collega. Se la passività viene estinta non vi è dubbio che anche il derivato corrispondente vada estinto.

Cosa accade quindi se la passività viene invece rimodulata20? La sentenza accoglie la tesi che il derivato vada corrispondentemente rimodulato per aderire il più precisamente possibile al nuovo profilo contrattuale della passività21.

– Due derivati sulla medesima passività possono sovrapporsi?

Il dispositivo di condanna constata come di fatto la mancata immediata trattazione del derivato Unicredit abbia di fatto creato la contemporanea esistenza di due derivati sulla medesima passività in palese violazione dei disposti normativi.

In tal senso chiarisce come la gestione dello swap Unicredit avrebbe dovuto essere contestuale all’operazione di ristrutturazione del finanziamento Unicredit. Tale contestualità certamente avrebbe consentito all’Ente di rendersi conto dell’onerosità totale dell’operazione.

La trattazione successiva, si legge nelle motivazioni, ha invece creato ulteriore profitto per tutte e 4 le banche per complessivi € 11.403.62422 non esplicitato in sede di valutazione dell’operazione complessiva. Il profitto fu tratto dalla modifica della struttura delle condizioni originarie dell’amortising swap con struttura collar23; modifica richiesta dalle banche quale sollievo alla compartecipazione alla spesa di chiusura dello swap Unicredit.

– Un derivato sottoscritto da un ente può essere rinegoziato e la relativa perdita rifinanziata?

Dalla lettura delle motivazioni emerge come venga data un’ulteriore importante lettura alle evidenze peritali del consulente tecnico d’ufficio.

Il giudice nel sintetizzare le risultanze peritali, infatti, afferma: “Quando si chiude un derivato (e la cosa è obbligatoria in presenza del venir meno dell'obbligazione da cui il derivato trae origine) non è corretto far assorbire il costo a mercato dello strumento (il cd. mark to market) spalmando lo su altri derivati: il costo suddetto, pur non essendo finanziariamente una passività finché il derivato è in vita, lo diventa di fatto al momento della chiusura”.

Quanto emerge impone un’importante riflessione per il tecnico. Un ente che rinegoziasse un derivato deve dapprima esplicitare la relativa passività espressa dal c.d. mark to market (se tale è il caso) per poi affrontarne la rinegoziazione solo se la passività emersa può essere ragionevolmente ridotta attraverso una nuova operazione. Non è possibile una gestione sintetica dello swap che lo faccia cambiare se non è cambiata la natura delle passività sottostanti.

Le motivazioni sul punto appaiono molto chiare; in particolare il CTU Prof. Corielli in risposta al primo quesito afferma che: “assorbendo un derivato in perdita, in questa versione consolidata dell'operazione, lo swap appare esplicitamente in contrasto con la lettera della circolare del 27 maggio 2004 e, soprattutto, col decreto 382, visto che non nascerebbe come combinazione degli strumenti previsti ma conterrebbe una componente negativa per il Comune corrispondente ad un finanziamento che le banche fanno al Comune per chiudere parte del preesistente derivato.

E poi il CTU ancora specifica: “Di fatto, il consolidato delle operazioni fa emergere ancora più chiaramente come la seconda operazione equivalga, finanziariamente, ad un ulteriore finanziamento delle banche al Comune al fine di chiudere una preesistente posizione derivata. Cosa che, peraltro, appare chiaramente espressa nella descrizione dell'operazione sia da parte del Comune che delle banche. Tale finanziamento è compensato tramite il peggioramento delle condizioni dello swap di ammortamento, peggioramento non giustificato dalla natura delle passività in corrispondenza delle quali tale swap era nato, che non sono modificate dalla presenza o meno del derivato preesistente”.

Quanto riportato dalle motivazioni in esame comunica come la rinegoziazione dei derivati con meccanismo mark to market – up front, possiamo affermare, non solo per gli Enti pubblici, rappresenti di fatto la concessione di un finanziamento della perdita pregressa non richiesto e le cui condizioni di base quali: importo, tasso, esborso periodico, durata non vengano di fatto né negoziate né esplicitate24.

È immediato comprendere quali risvolti la questione assuma anche in tema di usura qualora si appuri l’esistenza di livelli di interessi oltre soglia.

 

1

Maffeis D., La causa del contratto di interest rate swap e i costi impliciti, in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 3, 2013.


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2

Le motivazioni della sentenza aiutano inoltre a comprendere cosa si intenda in termini giuridici per “valore” di un derivato. Il tema sarà affrontato nel capitolo 2 denominato “Il concetto di valore finanziario”.


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3

Si riportano i testi dei due quesiti:

“- Se nelle operazioni effettuate dal Comune di Milano con le banche imputate nel presente procedimento ( Jp Morgan Chase, Deutsche Bank, VBS, Depfa bank) nelle date di cui ai capi di imputazione, si sia o meno generato un profitto per le banche medesime; partendo dai dati forniti dalle parti ed acquisiti al dibattimento sia nelle consulenze che nelle dichiarazioni dei testi e degli imputati, ne determini l'ammontare lordo e, ove possibile, anche quello netto; facendo altresì riferimento al bid/ask spread di mercato per il tasso swap all'epoca dei fatti (per operazioni comparabili) alle volatilità da utilizzare per valutare cap e floor, ed agli spread di credito per le parti contraenti.

– Se sia corretto ritenere che il valore dello swap , all'atto della stipula del relativo contratto, debba essere pari a zero per le parti contraenti, e se, nel caso contrario, debba prevedere un riequilibrio economico della parte svantaggiata , ovvero se, considerata anche la prassi del mercato, lo stesso debba inevitabilmente prevedere i costi di intermediazione da addebitare alla controparte, e in che misura, in tal caso, tali costi siano da considerarsi correttamente conteggiati; in tale ultimo caso dica se di tali costi di intermediazione le banche contraenti fossero obbligate a rendere partecipi l'altra parte stipulante.


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4

Tesi diametralmente opposta a quanto emerso nella sentenza n. 5962 del Consiglio di Stato del 27.11.2012 – Depfa Bank-Provincia di Pisa e commentata dallo scrivente al link: http://www.dirittobancario.it/angolo-della-finanza/domande-con-ivan-fogliata-criteri-utilizzati-dal-consiglio-di-stato-nella-vicenda-derivati-provincia-pisa


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5

Concetto parimenti applicabile per le Banche rispetto al rischio di credito patito verso il Comune di Milano.


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6

L’Ente Comunale è parte dello Stato Italiano ed è normale che goda di maggior standing creditizio rispetto ad un Istituto di Credito. È appena il caso di rammentare come in caso di crisi gli istituti bancari siano stati salvati da interventi pubblici fra i quali i c.d. “Tremonti” e “Monti” bonds.


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7

Se sul mercato il grano duro peso specifico 82/83 si vende a 25€/Q.le non importa se al produttore coltivarlo costi 26€/Q.le; se vuole stare sul mercato deve avere costi compatibili per avere un degno profitto al prezzo di €25/Q.le.


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8

Si pensi ai cambia valute negli aeroporti. Essi quotano due prezzi per la medesima valuta: uno per vendercela appena arrivati ed uno per acquistarla se fossimo in partenza per il ritorno.


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9

Nel dettaglio: Depfa Bank PLC per €12.021.114; Deutsche Bank AG per € 12.178.825; JP Morgan Chase Bank N.A. per € 12.951.304; UBS Limited per € 10.383.641.


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10

Si tratta della risposta al 5° quesito. Si riporta il testo del quesito stesso: “Se l'eventuale profitto ottenuto dalle banche nelle operazioni suindicate possa essere considerato acquisito all'atto della stipula contrattuale e dovesse quindi essere iscritto a bilancio delle stesse secondo i principi contabili internazionali, o se, in caso contrario, dovesse essere considerato una mera posta di valutazione da iscriversi in bilancio solo all'esito delle operazioni finanziarie di cui a contratto."


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11

Si pensi di detenere una azione comprata a 10 euro e che oggi vale 12 euro. Sta a chi la detiene decidere se rivenderla a 12 euro e cristallizzare il profitto di 2 euro o tenerla in portafoglio nella convinzione che la quotazione aumenti.


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12

Si legge nelle motivazioni, come se un Comune potesse celare delibere di fatto pubbliche: “all'operazione, il 21 giugno 2005, ancora nella nota consolidata, si riporta come le banche avessero esplicitamente sconsigliato il Comune di confrontare le condizioni offerte dalle banche stesse con altre possibili controparti (il Perito deve confessare di essere stato particolarmente colpito nel leggere quanto segue): "Come detto il momento del pricing (determinazione del prezzo) del prestito obbligazionario deve rimanere riservato in modo da evitare manovre speculative sul mercato in grado di alterane le normali condizioni, determinando un impatto negativo sul costo finale per il Comune. In altre parole, altri intermediari potrebbero, in vista di un'imminente stipulazione di un contratto swap relativo ad una passività pari a circa €1.85 miliardi, attuare le manovre finalizzate a trame profitto. Più operatori possono agire in questo senso alimentando un "effetto leva” che andrà a modificare le condizioni di mercato alle quali il Comune di Milano stipulerà detto contratto. Per ovviare a questo rischio, emittenti che operano per ammontari rilevanti, come ad esempio lo Repubblica Italiana, affidano lo gestione delle operazioni swap sempre in maniera diretta, limitata e riservata.


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13

Uno swap, usualmente, genera flussi sulla base dei movimenti dei tassi variabili futuri. I movimenti di tali tassi sono potenzialmente imprevedibili prima che si verifichino.


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14

Il tasso forward è il tasso di interesse implicito nella struttura dei rendimenti per scadenza relativo a un futuro periodo di tempo. Il tasso forward (o tasso di interesse a termine o tasso implicito) è un tasso di interesse implicito nella curva dei tassi spot e rappresenta il rendimento di uno zero coupon con inizio differito. È detto implicito poiché il suo valore viene derivato dalla relazione tra il tasso spot di un investimento con durata maggiore e quello di un investimento di durata minore. Diversi tassi forward su diverse scadenze disegnano una curva di tassi forward.


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15

L’arbitraggio sullo swap è un'operazione che consiste nell'acquistare uno swap su un mercato rivendendolo su un altro mercato, sfruttando le differenze di prezzo al fine di ottenere un profitto. L'intera operazione è priva di rischio per l'operatore. Sui mercati si formano prezzi omogenei per il medesimo swap proprio perché in caso contrario sarebbe possibile ottenere profitti gratuiti comprando in un mercato e rivendendo in un altro.


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16

Una curva forward osservata in un dato momento fornisce indicazioni puntuali dei tassi futuri. La stessa curva forward osservata dopo un giorno o anche una sola ora può essersi spostata per un cambiamento delle aspettative.


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17

L’opzione CAP è un contratto con cui l'acquirente acquista il diritto di fissare un “tetto” massimo (ovvero un CAP) al tasso che determina ai propri versamenti periodici. L’opzione FLOOR è un contratto con cui l'acquirente acquista il diritto di fissare un “pavimento” minimo (ovvero un FLOOR) al tasso che determina ai propri incassi periodici.


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18

Così vengono definite le opzioni nei periodi in cui non è conveniente esercitarle in quanto sul mercato si trovano condizioni migliori (es. tassi al 5%) rispetto a quelli garantiti dal Cap (tasso al 6,19%).


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19

Si riporta il testo del primo quesito: “Se il derivato di tasso (I.R.S.) stipulato tra il Comune di Milano in data 5 marzo 2002 con Unicredit SPA ed estinto con operazione successiva nel settembre del 2005, fosse da considerarsi una passività gravante sul debito del Comune all'atto della sua chiusura, e se il suo " fair value" dovesse essere calcolato ai fini della convenienza economica della operazione stipulata tra il Comune e le Banche all'atto della emissione obbligazionaria per la ristrutturazione del debito comunale avvenuta nel giugno del 2005, ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 41 L.448/01; in questo caso, se la chiusura della passività a cui il derivato aderiva, imponesse o meno la chiusura immediata del derivato medesimo.”


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20

Per rimodulazione si intende tipicamente un allungamento, una variazione dell’importo finanziato, una variazione di tasso o di regole di indicizzazione.


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21

La circolare del 27 maggio 2004 del Ministero dell'Economia e delle Finanze citata dal CTU infatti afferma: "Nel caso in cui si verifichi una variazione della passività sottostante ad un derivato, ad esempio perché è stata rinegoziata o convertita oppure perché ha raggiunto un ammontare inferiore a quanto inizialmente previsto, la posizione nello strumento derivato può essere riadattata sulla base di condizioni che non determinino una perdita per l'ente…


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22

Nel dettaglio € 2.855.560 ciascuna per Depfa, Deutsche Bank e JP Morgan ed € 2.836.944 per UBS.


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23

Modifica consistita nell’incremento di 22 punti base della soglia di floor dello swap che da 3,48% è stata portata a 3,70% nonché della soglia del cap che da 6,19% viene portata a 6,41%. Viene inoltre spostato il momento di rilevazione del parametro a carico del Comune dall'inizio alla fine dei periodi.


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24

Sul punto si veda: Daniele Maffeis, voce Derivati, in Digesto IV, discipline privatistiche, Torino, 2011.


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