Il Presidente della Consob, Paolo Savona, e il Responsabile della divisione Tutela del Consumatore, Mauro Lorenzoni, sono intervenuti in audizione avanti la Commissione Parlamentare di inchiesta sul sistema bancario e finanziario sulla vicenda della vendita dei diamanti tramite il canale bancario.
Più specificamente, evidenzia la Consob, a seguito dell’attività istruttoria avviata già ad ottobre del 2016, il 19 gennaio 2017 si è svolto un confronto preliminare sulla vicenda con i rappresentanti dell’Autorità Garante della Concorrenza e Mercato e della Banca d’Italia, al fine di individuare le migliori forme di coordinamento istituzionale tenuto conto dei relativi profili di competenza.
In particolare, nel corso di tale incontro, la Consob ha rappresentato di aver avviato, a seguito di notizie stampa e delle poche segnalazioni pervenute, anche da parte di associazioni di consumatori, approfondimenti sul fenomeno della vendita al pubblico di diamanti, al fine di verificare la sussistenza di eventuali profili di propria competenza.
In sintesi, dalle informazioni e dalla documentazione contrattuale complessivamente acquisite ed esaminate è risultato che:
in base ad accordi tra le società venditrici e gli istituti di credito questi ultimi raccoglievano l’interesse del cliente all’acquisto di diamanti (il cliente sottoscriveva una proposta di acquisto dei diamanti) e lo segnalavano alle società i cui incaricati incontravano poi il cliente interessato perfezionando l’operazione di vendita;
- l’acquisto dei diamanti era diretto all’immediato conseguimento del bene di cui era prevista la consegna fisica al cliente: quest’ultimo acquistava un diritto di proprietà pieno ed esclusivo del bene stesso potendo scegliere se trasferirlo (a titolo oneroso o gratuito) ovvero detenerlo in custodia in proprio, depositarlo in una cassetta di sicurezza di una banca o nei caveaux della società venditrice oppure trasformarlo in un gioiello;
- nessuna delle società venditrici in esame assumeva l’impegno a riacquistare i diamanti dal cliente o comunque un impegno che comportasse, dietro restituzione del bene, il pagamento al cliente di un corrispettivo in denaro ovvero la corresponsione, anche solo eventuale, di flussi monetari periodici;
- era riconosciuta al cliente la possibilità (fatta eccezione per “Diamond Love Bond” che non la prevedeva) di conferire un mandato di vendita alla società venditrice o (come nel caso di “Intermarket Diamond Business”) ad una società da essa controllata che si assumeva l’impegno, dietro corresponsione di una commissione di mediazione, di cercare una controparte interessata all’acquisto;
- in caso di rivendita, il prezzo dei diamanti era variabile e poteva essere superiore, inferiore o uguale al prezzo di acquisto come pure espressamente precisato nella documentazione contrattuale trasmessa da “Diamond Private Investment” ove si leggeva “che il cliente può correre il rischio di incassare un prezzo inferiore a quello di acquisto a causa delle oscillazioni di prezzo e dei costi sostenuti al momento dell’acquisto”.
Sul punto, continua la Consob, non sono risultati presenti gli elementi che avrebbero potuto fondare l’esercizio di poteri cautelari/interdittivi nonché sanzionatori da parte dell’Autorità.
Tali provvedimenti avrebbero potuto infatti risultare illegittimi perché adottati in relazione all’offerta di un bene – il diamante – che, per gli specifici meccanismi contrattuali tramite i quali ne veniva proposto l’acquisto, non era possibile qualificare come “prodotto finanziario”. Detti provvedimenti, pertanto, avrebbero potuto essere suscettibili di annullamento in sede giurisdizionale.
In conclusione, la Consob ha segnalato che sta svolgendo riflessioni in merito alla possibilità di proporre interventi normativi tesi ad innalzare il livello di tutela degli investitori con riferimento a due particolari fenomeni di recente emersione, non adattabili a casi come la truffa dei diamanti ma che con questa condividono l’aspetto della pubblicità ingannevole.
Il primo riguarda il fenomeno della circolazione di cripto-attività nell’ambito di piattaforme di scambio on-line, fenomeno che negli ultimi tempi si sta diffondendo sempre di più e che comporta un alto rischio per gli investitori retail.
Appare infatti evidente che l’acquisto e lo scambio di criptovalute da parte dei piccoli investitori sono determinati essenzialmente dallo scopo di ottenere un profitto collegato all’aspettativa di una rivalutazione di tali attività che però è dovuta a fenomeni di mercato che poco o nulla hanno a che vedere con il loro valore intrinseco.
Stante l’assenza, allo stato, di uno specifico quadro regolatorio se non per le finalità antiriciclaggio, potrebbero essere considerate offerte di prodotti finanziari le proposte che vengano reclamizzate con modalità tali da enfatizzare la possibilità che gli aderenti all’iniziativa conseguano ritorni economici collegati alla fluttuazione di valore della cripto-attività nelle piattaforme in cui questa è o sarà eventualmente scambiata.
In secondo luogo, la Consob sta considerando la possibilità di proporre un intervento normativo per estendere l’attività di contrasto agli abusivismi finanziari anche alle iniziative pubblicitarie condotte tramite internet e riferibili a soggetti non autorizzati alla prestazione di servizi e attività di investimento. Si tratterebbe in questo caso di anticipare la tutela dei risparmiatori già al momento della pubblicità delle forme di investimento e, dunque, in una fase che precede l’instaurazione del rapporto contrattuale, considerato che la pubblicità costituisce lo strumento principale tramite cui si intercetta l’attenzione del risparmiatore carpendone l’interesse.