Viola gli obblighi di informazione e protezione la banca che non informa correttamente il cliente in ordine al “prezzo” del contratto di acquisto dei diamanti c.d. da investimento, non comunicandogli una particolare voce (nella specie, “costi doganali e di trasporto”; “copertura assicurativa e custodia”; “costi rete commerciale”; “commissione banca” 10-20% in proporzione al prezzo pagato; “margini società venditrice” 20-40% in proporzione al prezzo pagato, “Iva” 22%). In tal caso, indipendentemente dal fatto che il contratto sia stato concluso con società terza, l’attività di vendita di preziosi, a cui la banca ha sicuramente contribuito con il suo comportamento (anche ammettendo che l’attività sia stata di “mera segnalazione” e/o di “mero tramite”, ché veicolo di contenuti informativi minimi), determina a carico dell’istituto di credito una responsabilità (pre)contrattuale e in ogni caso da contatto sociale qualificato (art. 1173 c.c.).
In entrambi i casi, valgono le regole di riparto dell’onere probatorio in materia contrattuale (art. 1218 c.c.), per cui, a fronte dell’allegazione della violazione di un obbligo informativo, avente per oggetto la differenza tra il prezzo di acquisto e il reale valore dei diamanti acquistati dal cliente, è la banca il soggetto gravato dall’onere di dimostrare di averlo correttamente adempiuto. In difetto di prova, data per assunta l’omessa informazione, la banca è tenuta per l’intero a risarcire il danno subito dal cliente, essendo obbligata in solido con la società terza venditrice, seppur a diverso titolo ex art. 2055 c.c.
In ragione della regola del “più probabile che non” è da ritenersi che la violazione dell’obbligo informativo, cui era tenuta (anche) la banca, è stata determinante per la conclusione del contratto di acquisto dei diamanti, che non sarebbe stato stipulato se l’incidenza del valore dei diamanti sul prezzo complessivo fosse stata conosciuta (rectius, resa nota) al cliente. Il danno, in via di principio, è dato dunque dall’intero esborso sostenuto in forza del contratto. Nondimeno, nel caso in cui non sia stato azionato un rimedio demolitorio del contratto (azione di nullità, annullamento, risoluzione, ecc.), il valore reale dei diamanti rimane nel patrimonio del cliente. Tenendo conto di ciò, ovvero di questa posta positiva comunque collegata al fatto illecito, l’ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, dato appunto dal differenziale tra prezzo di acquisto e valore reale dei diamanti.
Nessun concorso del danneggiato nella causazione del fatto lesivo ex art. 1227 c.c. è ravvisabile, in quanto l’obbligo informativo grava sulla banca e il cliente non è tenuto ad acquisire aliunde le informazioni.