Il caso
Il ricorrente T.Z. aveva acquistato nel febbraio 2016 dalla società Alfa, ma presso i locali di una Banca e su suggerimento del funzionario della banca stessa, dei diamanti al prezzo di 75.000 euro. A seguito di procedimento dell’AGCM si rendeva noto che i diamanti venduti da Alfa tramite i canali bancari avevano un valore reale di circa il 20-40% del prezzo di acquisto.
Il ricorrente decideva quindi di intentare causa contro Alfa e contro la Banca. Nel corso della causa veniva dichiarato il fallimento di Alfa (Fallimento 41/2019 Trib. di Milano) e la causa veniva interrotta.
La causa veniva poi riassunta nei confronti del Fallimento di Alfa e della Banca. In quella sede si costituiva solo la Banca eccependo di essere soggetto terzo rispetto al contratto Alfa/T.Z., di aver svolto un ruolo di semplice segnalazione dell’affare, ponendosi come mero tramite del materiale informativo di Alfa senza suscitare alcun tipo di affidamento sulla redditività dell’operazione.
Le questioni
1. Il valore delle pietre. Né Alfa né la Banca contestano il fatto che il valore reale delle pietre fosse circa il 20-40% del prezzo pagato dal ricorrente. Ciò che viene eccepito dai resistenti è che a quel valore andrebbero aggiunti icosti doganali e di Trasporto, di Assicurazione per il trasposto; di copertura assicurativa per la custodia; i costi di rete commerciale; le commissioni banca [10-20% in proporzione rispetto al prezzo pagato dal consumatore]; il margine di Alfa [20-40% in proporzione rispetto pagato dal consumatore]; l’IVA.
Tralasciando il fatto che in realtà anche aggiungendo tali voci al valore delle pietrela differenza tra il prezzo di riferimento così ottenuto e quello effettivamente praticato da Alfa risulta in media del 30% e addirittura crescente tra il 2012 e il 2016, il tema giuridico rilevante è dunque costituito dall’esistenza o meno di una patologia negoziale integrata dall’omessa comunicazione al consumatore della differenza tra il valore del diamante e il prezzo corrisposto.
In ogni caso il prezzo della pietra era descritto dal materiale informativo come “quotazione di mercato del diamante” e quindi come espressione del valore in sé della pietra.
Il Tribunale ritiene pertanto configurabile, nel caso di specie, l’obbligo pre-negoziale gravante su Alfa volto a colmare l’asimmetria informativa tra venditore professionale e cliente non professionale sul consistente divario tra quanto sarebbe stato pagato e il valore della pietra.
2. Il diamante come bene rifugio. Nel materiale informativo si leggevano le seguenti informazioni: “il diamante è bene rifugio per eccellenza, la cui quotazione è destinata ad aumentare a causa del progressivo calo della produzione”, “il diamante rappresenta un investimento utile in un’ottica di diversificazione nel medio-lungo periodo”. Pertanto, che si trattasse o meno di un investimento finanziario (cosa che l’apparato lessicale e semantico che Alfa e la Banca utilizzavano lasciava presupporre), il termine “bene rifugio” fa presupporre che il cliente sarebbe quantomeno rientrato dall’investimento. Sostiene il Tribunale di Modena che: “Se così non è, si sta proponendo all’acquirente un’operazione economica non del tutto in linea con le aspettative generate dall’ottimismo promozionale, e allora l’onere informativo del professionista sulle singole voci di costo, per specificare il valore effettivo del diamante, che rappresentava, con ogni evidenza, l’elemento utilizzato dal venditore per indurre all’acquisto la generalità della clientela (senza che vi siano motivi per ritenere che T.Z. ne sia stato indotto altrimenti, oppure attraverso canali conoscitivi diversi), diventa particolarmente stringente e bisognoso di riscontro istruttorio, nel caso di specie non fornito.”
3. Le conseguenze della pratica commerciale scorretta. Come è noto l’AGCM ha ritenuto le modalità di vendita dei diamanti di cui si discute una pratica commerciale scorretta vietata dal Codice del Consumo. Ciò posto, il Tribunale di Modena ha ritenuto che tale violazione, seppure sanzionata in via amministrativa dall’Autorità Garante, non produca la nullità del contratto civilisticamente intesa, ma solo una responsabilità precontrattuale (così come statuito dalle Sezioni Unite 26724/2007 in tema di violazione degli obblighi informativi del TUF). Per orientamento oramai consolidato, infatti, si ritiene che la violazione di obblighi comportamentali imposti da una norma, salvo il caso di nullità testuale, comporti solo obblighi risarcitori.
Né il Tribunale ha ritenuto che la pratica ingannevole di cui agli artt. 21 e 22 del Codice del Consumo possa essere assimilabile al “raggiro” di cui all’art. 1439 c.c. idoneo a provocare l’annullamento del contratto per dolo determinante “ma a quella, più ampia, di comportamento precontrattuale, attivo od omissivo, idoneo a influire sull’esercizio della libertà negoziale della controparte, non necessariamente integrante la causa di invalidità del contratto”.
Tale passaggio dell’ordinanza, seppur ampiamente motivato dal giudice, non convince appieno. Il giudicante sostiene che ciò che si dovrebbe rimproverare ad Alfa e alla Banca si riduca all’omessa informazione circa i costi accessori che di fatto rendevano altamente improbabile il ritorno economico dell’operazione. Fatta questa premessa il Tribunale ritiene che il dolo omissivo si configura quale causa di invalidità “solo quando l’inerzia della parte contraente si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia od astuzia, a realizzare l’inganno perseguito”
A ben vedere l’artificio posto in essere da Alfa e dalle Banche che hanno commercializzato i prodotti non si può risolvere solo nell’omessa indicazione degli oneri accessori. Infatti, come descritto dall’AGCM, la pratica commerciale scorretta è consistita nel predisporre materiale informativo scorretto, nel pubblicizzare sul sole24ore quotazioni gonfiate, nel far credere che i diamanti fossero un investimento liquidabile facilmente e nell’utilizzo del canale bancario.
Il Tribunale quindi ritiene che il comportamento di Alfa e della Banca sia stato senz’altro determinate per la conclusione del contratto, ma non costituisca ontologicamente un caso di artificio o raggiro in quanto la rappresentazione della realtà non sarebbe stata artatamente distorta ma “solo” suscettibile di fraintendimento. Pertanto, il Giudice ritiene di trovarsi innanzi ad un’ipotesi di vizio pre-negoziale non invalidante ma determinate per la stipula del contratto.
4. La responsabilità della Banca. Poiché nelle more del giudizio interveniva il fallimento di Alfa, il Giudice si occupa di chiarire il fondamento della responsabilità della Banca. Sul punto sembra esserci una piena adesione all’impostazione del Giudice Vaccari del Tribunale di Verona che ha pronunciato la prima sentenza in materia (Trib. Verona, 23 maggio 2019) :”Il rapporto intercorso tra le parti ha anche generato a carico della Banca un obbligo di informazione e di protezione nei confronti del cliente a salvaguardia dell’affidamento in lui generato […]” e “La fonte della responsabilità̀ della banca va invece individuata, come proposto in via alternativa dal ricorrente, nel rapporto che, come si è visto, è indubbiamente intercorso tra la M. e l’istituto di credito in relazione all’acquisto dei diamanti e nell’ambito del quale la prima, per le ragioni dette al termine del precedente paragrafo, ha posto affidamento in un dovere di diligenza gravante in capo al secondo, in virtù delle sue specifiche competenze professionali.” E ancora “Degli obblighi gravati sulla Banca può peraltro ravvisarsi, sulla base dei fatti di causa, anche una base contrattuale, con conseguente applicabilità dell’art. 1218 c.c., atteso che l’attività di vendita di beni preziosi, alla quale La Banca ha sicuramente contribuito, può ricondursi al novero delle attività connesse a quella bancaria che l’art.8, comma 3, del D.M. Tesoro 6 luglio 1994 definisce come “attività accessoria che comunque consente di sviluppare l’attività esercitata” aggiungendo che: “A titolo indicativo, costituiscono attività connesse la prestazione di servizi di: a) informazione commerciale; b) locazione di cassette di sicurezza”.
Pertanto, la responsabilità della banca ha natura contrattuale sia in senso proprio (attività connesse di cui all’art. 8 D.M. 6.7.1994) sia in nella declinazione del c.d. contatto sociale con conseguente applicazione delle regole di riparto dell’onere probatorio in materia contrattuale. Pertanto, il ricorrente doveva solo allegare l’inadempimento della banca.
“L’obbligo del cui inadempimento T.Z.a si duole (anche) nei confronti della Bancaè l’omessa informazione in ordine al fatto che il valore delle pietre acquistate non era (neppure lontanamente) pari al corrispettivo versato, tenuto conto dell’incidenza dei servizi pure elencati nelle condizioni di vendita, allegate alla proposta di acquisto, di cui la Banca verosimilmente aveva contezza, se doveva “segnalare” l’interesse del cliente ad Alfa”.
Il Tribunale di Modena ritiene che tale obbligo di informazione gravasse sulla banca per sette motivi:
- T.Z. era cliente della Banca;
- L’interesse all’acquisto dei diamanti è sorto in banca in una discussione su come utilizzare la propria liquidità;
- la Banca ha, evidentemente, sottoposto al cliente il materiale informativo, in cui si parla di “mero orientamento”; e che, per quanto mero, l’orientamento implica la trasmissione di contenuti informativi minimi, che rendono orientato chi prima non lo è; tra questi contenuti informativi minimi, poteva e doveva esserci l’avvertenza per cui il “pacchetto” che T.Z. era intenzionato ad acquistare non comprendeva solo le pietre e che, pertanto, il valore delle pietre era (di gran lunga) inferiore al bonifico;
- se la Banca stava valutando con il suo cliente le possibilità di utilizzo di un capitale, l’avvertenza in ordine al fatto che questo capitale, se si fosse proceduto all’acquisto, non sarebbe stato impiegato totalmente (ma neppure quasi totalmente) in diamanti, bensì in diamanti più altri servizi ivi comprese le remunerazioni per Alfa e l’istituto di credito, era doverosa in ossequio alla funzione di gestione, anche solo conservativa, del risparmio dei propri clienti che le banche assumono in generale e che nel caso di specie la Banca, a suo stesso dire, stava esercitando nei confronti del cliente;
- tale circostanza doveva essere comunicata a T.Z. perché era sicuramente nota alla Banca, non foss’altro perché la predetta avrebbe percepito una provvigione inglobata nel prezzo d’acquisto delle pietre (circa il 18% dell’ammontare dell’operazione conclusa);
- anche ammettendo che il valore della pietra in proporzione al prezzo di acquisto fosse facilmente ricavabile dal sito internet Alfa (ciò che peraltro deve escludersi alla luce di quanto finora emerso in sede amministrativa), chi assume la funzione di gestione del risparmio dei propri clienti non può esaurirla, sotto il profilo informativo, mediante rinvio a fonti “terze”, ma deve semmai “fare proprio” il contenuto informativo di queste fonti, per soddisfare l’affidamento che il cliente ripone nella sua competenza;
- nelle condizioni di vendita si legge che la Banca “domiciliataria” non assume alcuna responsabilità in merito al contratto, che intercorre solo tra il proponente e Alfa, ma ciò significa solamente che la banca non assume alcuna responsabilità solo in merito al contratto T.Z./Alfa, non in merito al rapporto suo proprio con T.Z..
Il Tribunale pertanto conclude affermando che:“Seppure in ragione di due titoli diversi (il contratto Alfa/T.Z.; il rapporto Banca/T.Z., nella cui orbita funzionale ha avuto modo di concludersi il primo), dunque, sia ALFA (ora fallita) sia la Banca erano obbligate a chiarire a T.Z. la circostanza della cui omessa comunicazione il predetto si duole nel presente giudizio.
Non essendo esclusa la solidarietà dalla diversità del titolo, il ricorrente può rivolgersi per l’intero nei soli confronti della Banca e così in effetti ha calibrato le sue conclusioni.”
5. La quantificazione del danno. Il Tribunale ritiene che il comportamento della Banca e di Alfa siano stati determinati per la conclusione del contratto e che quindi il danno sia interamente ascrivibile a loro. Il ricorrente non ha quindi nulla da provare circa il danno se non l’intera somma pagata in dipendenza dell’omissione informativa della Banca. L’assenza dei presupposti per una tutela caducatoria implica però che il valore, reale, dei diamanti, sia entrato nel patrimonio di T. Z. e possa essere qualificato in termini di vantaggio collegato all’illecito in applicazione della regola della causalità giuridica. Per tale ragione il risarcimento sarà costituito dalla differenza tra il prezzo pagato ed il valore reale delle pietre oltre a rivalutazione e interessi.