Con sentenza del 07 maggio 2013, n. 6308, il Tribunale di Milano ha fornito alcune importanti indicazioni con riferimento alla c.d. dichiarazione di operatore qualificato rilasciata nella conclusione di contratti derivati.
Come noto, l’art. 31 del previgente Regolamento Consob n. 11522 del 1998 prevedeva un regime di minor tutela per quelle società o persone giuridiche investitrici in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante.
Secondo il Tribunale, tale dichiarazione esonera la controparte da quelle verifiche non imposte dai dati già noti e può costituire in sede contenziosa argomento di prova a favore della sussistenza dei requisiti sostanziali dell’operatole qualificato.
In altri termini, l’intermediario che riceve tale dichiarazione può essere esonerato dall’obbligo di ulteriori verifiche sul punto (ma, quantomeno sulla base di sempre immanenti obblighi di buona fede, non potrà non tener conto di dati certi di inesperienza ed incompetenza in suo possesso) e lo stesso giudice, in carenza di contrarie allegazioni specificamente dedotte e dimostrate dalla parte interessata, può porre la medesima dichiarazione a base della propria decisione, anche come unica e sufficiente fonte di prova in difetto di ulteriori riscontri.
Grava invece su chi intende dedurre la discordanza tra il contenuto della dichiarazione e la situazione reale da tale dichiarazione rappresentata, l’onere di provare circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza di detti requisiti, idonee a superare il detto argomento di prova e conosciute dalla banca all’epoca della stipulazione dei contratti.
Sulla base di tali principi, ed a fronte delle circostanze di fatto emerse nel caso di specie (per cui si rinvia alla lettura del provvedimento allegato), il Tribunale ha ritenuto provata sia l’inesperienza ed incompetenza dell’investitore in materia di derivati, che la conoscenza da parte dell’intermediario mobiliare delle medesime circostanze o, almeno, la loro agevole conoscibilità in base ad elementi obiettivi di riscontro, già nella disponibilità dell’intermediario stesso o a lui risultanti dalla documentazione prodotta dal cliente.
Il legale rappresentante avrebbe quindi apposto una firma “distratta” alla dichiarazione di operatore qualificato, non essendovi stata la presa d’atto delle relative conseguenze di fatto, e ciò principalmente per le modalità comportamentali adottate dai funzionari della banca.
Secondo il Tribunale, ciò non elimina l’esistenza della dichiarazione sulla pregressa competenza ed esperienza, ma le dà una portata probatoria attenuata, non trovandosi il sottoscrittore in quella situazione conoscitiva in cui gli è adeguatamente chiara la necessità e l’importanza di attestare il vero su certi requisiti effettuali che peraltro sono anche caratterizzati da aspetti valutativi.
In ogni caso, prosegue il Tribunale, posto che il Regolamento Consob prevede, per consentire l’effettività della dichiarazione autoreferenziale, la contemporanea presenza dei requisiti dell’esperienza e della competenza, la conclamata insussistenza di ogni esperienza deve ritenersi di per sé sufficiente ad escludere la sussistenza dei requisiti fattuali previsti dal’art. 31 comma 2 ultima parte.
Il Tribunale di Milano affronta poi il tema connesso alla presenza di uno stato di conflitto di interessi tra le parti.
Secondo il Tribunale, la contrattazione in derivati over the counter, a differenza di quella in derivati c.d. uniformi, porta con sé un naturale stato di conflittualità tra intermediario e cliente, che discende dall’assommarsi, nel medesimo soggetto, delle qualità di offerente e di consulente; dalla centralità, in relazione al futuro andamento del rapporto, della disciplina stipulata ab origine; dal fatto che si tratta di prodotti di secondo livello che dovrebbero essere strutturati in funzione delle specifiche esigenze delle controparti, quanto alla scadenza, alla tipologia del sottostante, alla liquidazione di profitti e perdite, etc; dall’evidente interesse dell’intermediario, controparte contrattuale portatore di un proprio interesse economico, a costruire e proporre un prodotto che possa risultare svantaggioso o inadatto al cliente, posto che ciò si può all’evidenza tradurre in concreti (e rilevanti) guadagni per l’intermediario.
Nella negoziazione di derivati OTC, quindi, l’intermediario finanziario, lungi dal trarre lucro semplicemente dalle commissioni pattuite per singole operazioni finanziarie ovvero dal regime dei tassi di interesse applicati alle varie tipologie di finanziamenti che offre alla clientela, si trova a gestire con il cliente un rapporto caratterizzato da un rischio uguale e contrario, ove i benefici per il cliente si tramutano in perdite per la banca e le perdite del cliente in correlati introiti per la banca.