Il presente contributo analizza il ruolo del collegio sindacale nel processo di definizione della dichiarazione non finanziaria (DNF).
1.- Costituisce notazione oramai comune e indiscussa in letteratura quella intesa a rilevare la trasformazione della fisionomia del Collegio sindacale che si è verificata in occasione della riforma del diritto societario e, per le società quotate, già al momento dell’adozione del testo unico della finanza, i cui contenuti hanno in un certo senso anticipato quanto sarebbe poi stato versato nella disciplina del diritto azionario comune.
Si rileva da più parti, in particolare, il necessario superamento dell’opinione che vuole il collegio sindacale titolare di attribuzioni di controllo formale, da esercitarsi ex post rispetto all’assunzione delle decisioni in cui consiste l’esercizio della funzione amministrativa da parte del consiglio di amministrazione e degli organi delegati. Va piuttosto affermandosi, alla luce di un più generale ripensamento dei rapporti tra amministrazione e controllo nell’ambito della governance societaria, una concezione del collegio sindacale quale organo di controllo strutturalmente coinvolto nel farsi dell’attività amministrativa, che lo rende il referente apicale dell’intero sistema dei controlli e, per così dire, la sede dove si “scaricano” i relativi conflitti.
In coerenza con la vastità delle attribuzioni progressivamente assegnate dalla legge, i livelli in cui il collegio si trova chiamato ad assumere una posizione di centralità nel sistema della governance si sono moltiplicati: in linea generale, e tanto più nel quadro delle società quotate e di quelle operanti in settori particolarmente regolati.
2.- Un nuovo ed inedito piano di profili problematici connessi con il ruolo del collegio sindacale è quello che attiene al suo coinvolgimento nel processo di redazione, approvazione e «assurance» della dichiarazione non finanziaria («DNF») che è attualmente richiesta agli “enti di interesse pubblico” (società quotate, banche, assicurazioni, società di riassicurazione) di rilevanti dimensioni (cioè che « abbiano avuto, in media, durante l’esercizio finanziario un numero di dipendenti superiore a cinquecento e, alla data di chiusura del bilancio, abbiano superato almeno uno dei due seguenti limiti dimensionali: a) totale dello stato patrimoniale: 20.000.000 di euro; b) totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni: 40.000.000 di euro»: così l’art. 2, co. 1, d.lgs. 254/2016).
Secondo la disciplina vigente (art. 3 d.lgs. 254/2016), la DNF consiste in una informativa che deve assicurare «la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta» e a tal fine «copre i temi ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva, che sono rilevanti tenuto conto delle attività e delle caratteristiche dell’impresa». Allo scopo è richiesta (art. 3, co. 1 d.lgs. 254/2016) la descrizione di taluni dati, da un lato di natura organizzativa (cioè: il modello aziendale di gestione ed organizzazione delle attività dell’impresa, inclusi quelli ai sensi della 231; le politiche praticate dall’impresa, incluse quelle di due diligence, i risultati conseguiti e i relativi indicatori di performance) e dall’altro relativi alla misurazione dei rischi generati o subiti dall’attività d’impresa e connessi ai temi ambientali e sociali di governance, cioè ai rischi di sostenibilità (c.d. double materiality, secondo la prospettiva inside-out, cioè dei rischi posti al sistrma, e outside-in, cioè dei rischi cui la società è esposta).
A questi fini, si richiede (art. 3, co. 2 d.lgs. 254/2016) che i precedenti contenuti informativi si estendano quantomeno: all’utilizzo di risorse energetiche (rinnovabili e non rinnovabili), e all’impiego di risorse idriche; alle emissioni di gas ad effetto serra e alle emissioni inquinanti in atmosfera; a una quantificazione dell’impatto associato ai rischi di sostenibilità; agli aspetti sociali e attinenti alla gestione del personale; al rispetto dei diritti umani; la lotta alla corruzione.
Quanto alle modalità di presentazione delle informazioni, i co. 3, 4 e 5 delineano un’alternativa tra il ricorso a metodologie – e a relativi indicatori chiave di performance, KPI – proprie di standard di rendicontazione esistenti, l’adesione ai quali viene dichiarata dalla società, oppure allo sviluppo di metodologie autonome; in tal caso dovendosi descrivere le relative caratteristiche e le motivazioni sottese a tale decisione.
3.- Il procedimento che porta all’approvazione della DNF, insieme con i ruoli assegnati ai diversi titolari di ruoli di controllo interni ed esterni alla società, si trova delineato tra il comma 7 e il comma 10 dell’art. 3 d.lgs. 254/2016. Com’è naturale, la disciplina si snoda nel rapporto dialettico tra organo amministrativo, collegio sindacale e revisore.
E infatti: al primo compete «la responsabilità di garantire che la relazione sia redatta e pubblicata in conformità a quanto previsto» dalla disciplina della dichiarazione non finanziaria di cui d.lgs. 254/2016, compito da espletarsi agendo «secondo criteri di professionalità e diligenza»; al secondo è fatto obbligo, «nell’ambito dello svolgimento delle funzioni ad esso attribuite dall’ordinamento», di «vigila[re] sull’osservanza delle disposizioni» e riferirne attualmente all’assemblea; all’ultimo (i.e. al revisore) di «verifica[re] l’avvenuta predisposizione da parte degli amministratori della dichiarazione di carattere non finanziario», e di «esprime[re], con apposita relazione …, un’attestazione circa la conformità delle informazioni fornite rispetto a quanto richiesto» dalla disciplina della DNF, inclusa la conformità «ai principi, alle metodologie e alle modalità» di presentazione delle informazioni normativamente richieste. Sul punto, la legge ha cura di precisare che «le conclusioni sono espresse sulla base della conoscenza e della comprensione che il soggetto incaricato di effettuare l’attività di controllo sulla dichiarazione non finanziaria ha dell’ente di interesse pubblico, dell’adeguatezza dei sistemi, dei processi e delle procedure utilizzate ai fini della preparazione della dichiarazione di carattere non finanziario».
4.- Oltre a scontare le persistenti incertezze di ordine generale circa l’effettiva e concreta misura di estensione degli obblighi connessi con le funzioni di vigilanza del collegio sindacale, l’applicazione della disciplina sopra sunteggiata presenta più e distinti profili problematici.
Su un piano generale, occorre domandarsi come si debba esprimere nel concreto il dovere del collegio di vigilare sull’osservanza delle disposizioni di cui al d.lgs. 254/2016.
Da quest’angolo visuale, il richiamo della norma al fatto che la vigilanza avvenga «nell’ambito dello svolgimento delle funzioni ad esso attribuite dall’ordinamento» sembra voler significare che i doveri relativi alla dichiarazione non finanziaria non si distinguono sul piano qualitativo dai generali doveri di cui all’art. 2403 c.c. (e art. 149 t.u.f.). Dal che dovrebbe dedursi un raccordo tra queste disposizioni e l’art. 3, co. 7 d.lgs. 254/2016 sul piano della vigilanza in ordine all’adeguatezza degli assetti aziendali, in termini di verifiche di flusso e funzionalità.
Un dubbio può sorgere in ordine alla pertinenza degli assetti strumentali alla produzione della DNF all’ambito di quelli propriamente contabili o, piuttosto, ai generali assetti organizzativi. In questa prospettiva, la natura dichiaratamente «non finanziaria» di tale dichiarazione, e il mancato coinvolgimento – nel procedimento delineato dal d.lgs. 254/2016 – del dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili sembrerebbero, almeno sino al recepimento della direttiva 2022/2464/EU (Corporate Sustainability Reporting Directive, CSRD), far propendere per la seconda alternativa, con tutte le conseguenze che ne derivano.
Un distinto e ulteriore profilo d’incertezza in ordine al ruolo e ai compiti effettivi del collegio sindacale attiene al rapporto che sussiste tra questo e il revisore contabile.
Si è al riguardo già dato conto del contenuto della norma, e in particolare alla precisazione in base alla quale «le conclusioni sono espresse sulla base della conoscenza e della comprensione che il soggetto incaricato di effettuare l’attività di controllo sulla dichiarazione non finanziaria ha dell’ente di interesse pubblico, dell’adeguatezza dei sistemi, dei processi e delle procedure utilizzate ai fini della preparazione della dichiarazione di carattere non finanziario». Ragionevolmente, la norma vuole suggerire che il rilascio dell’assurance da parte del revisore non implica un’attività di verifica e valutazione della veridicità intrinseca del contenuto delle informazioni dichiarate. In effetti, difetta qui una norma omologa all’art. 14, co. 1, lett. b) del d.lgs. 39/2010 (i revisori «verificano nel corso dell’esercizio la regolare tenuta della contabilità sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture contabili»). Nel medesimo senso, è significativo il passaggio dell’art. 3, co. 10 d.lgs. 254/2016 dove si sottolinea che «nel caso in cui la dichiarazione di carattere non finanziario sia contenuta nella relazione sulla gestione ai sensi dell’articolo 5, comma 1, lettera a), il giudizio di cui all’articolo 14, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, non comprende detta dichiarazione, che rimane oggetto dell’obbligo di attestazione di cui al presente comma».
Non è chiaro, tuttavia, come tale ridotto ruolo del revisore impatti sui doveri del collegio in ordine all’espletamento della propria funzione di vigilanza sull’adeguatezza degli assetti organizzativi. In effetti, la novità e la complessità del tema si accompagnano a un quadro normativo e di Vigilanza che non appare certo ricco di indicazioni operative circa la linea di condotta da seguire da parte dell’organo di controllo. Se la richiamata disposizione di legge non va oltre l’affermazione dell’obbligo di vigilare sul rispetto della disciplina relativa alla dichiarazione non finanziaria, indicazioni di maggiore dettaglio non si ritraggono nemmeno dal documento di consultazione Consob del 21 luglio 2017, i cui contenuti si attestano ancora su un piano assai generale (cfr. in particolare l’affermazione, ivi contenuta, per cui «le funzioni di controllo attribuite al collegio sindacale sulla conformità alla legge della DNF e la sua completezza si sostanziano principalmente in un’attività di vigilanza sull’adeguatezza di tutte le procedure, i processi e le strutture che presiedono alla produzione, rendicontazione, misurazione e rappresentazione dei risultati e delle informazioni di carattere non finanziario»).
È peraltro evidente che l’ampiezza con la quale venga configurato il dovere di vigilanza in relazione alla materia in questione si riflette anche sulla valutazione dell’idoneità dei contegni strumentali tenuti dal collegio, rispetto all’organizzazione e conduzione della propria attività. A tal merito, deve comunque osservarsi che la detta funzione del collegio potrà svolgersi tanto tramite la partecipazione dei suoi membri – nella loro specifica veste – all’attività di analisi e ponderazione che si svolge in seno al consiglio e a specifici comitati, quanto tramite riunioni del collegio sindacale stesso.
Tanto detto, va pure osservato che un elemento di intrinseca specificità della materia qui considerata, nel confronto con l’informazione di bilancio, consiste nel fatto che, nel caso della DNF, non è richiesto al collegio di formulare una proposta in ordine alla sua approvazione (art. 2429 c.c.), se non altro perché la dichiarazione non finanziaria costituisce un allegato al bilancio che non è tecnicamente oggetto di approvazione assembleare. Tale aspetto non sembra poter essere scisso dalla considerazione per cui nella composizione del collegio sindacale è normativamente prevista la necessaria presenza di competenze nella materia contabile, che di per sé non si estendono – quanto meno nel presente – alla materia dei rischi di sostenibilità.