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Attualità

Dimissioni per fatti concludenti da assenza del lavoratore

20 Dicembre 2024

Luca De Menech, Partner, Dentons

Martino Ruggiero, Dentons

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il nuovo regime relativo alle dimissioni per fatti concludenti a seguito dell’assenza prolungata del lavoratore introdotto dall’approvato DDL 1264 (c.d. Ddl lavoro).


1. Il DDL 1264, le principali novità in tema di diritto del lavoro

L’approvazione definitiva del Disegno di Legge n. 1264 da parte del Parlamento rappresenta un passaggio di grande rilievo per le imprese italiane in quanto introduce alcune misure atte a migliorare la gestione dei rapporti di lavoro e rispondere alle sfide organizzative del mercato moderno. Il DDL, collegato alla legge di Bilancio, affronta difatti alcuni temi critici che da tempo gravano sulle imprese, con l’obiettivo di favorire chiarezza, continuità operativa e maggiore efficienza.

Tra queste, la possibilità di rateizzare i debiti contributivi verso INPS e INAIL a partire dal 2025, offrendo alle imprese una maggiore flessibilità nella gestione finanziaria; l’ampliamento della definizione di lavoro stagionale, per includere nuove tipologie di attività legate ai picchi di domanda produttiva; e, non da ultimo, la revisione dei periodi di prova per i contratti a termine, con una struttura più modulare e adattabile alla durata effettiva del contratto stesso.

2. Un aspetto fondamentale disciplinato dal DDL 1264: le dimissioni per “fatti concludenti”

Una delle novità più significative del DDL riguarda la regolamentazione delle assenze ingiustificate dei lavoratori. Tema centrale per i datori di lavoro poiché incide tanto sul rapporto fiduciario con i dipendenti quanto sull’organizzazione aziendale. Nello specifico, all’art. 26 del D.Lgs. 151/2015 viene introdotto il comma 7-bis con l’intento di contrastare il fenomeno delle assenze ingiustificate per lunghi periodi.

La disciplina attualmente in vigore nulla prevede al riguardo, col ché la cessazione del rapporto consegue solo in ipotesi di licenziamento per giusta causa, con obbligo quindi del datore di lavoro di esperire la procedura disciplinare e pagare il ticket Naspi (il cui importo massimo è pari, per il 2024, a Euro 3.814,02) oppure attendere le dimissioni da parte del lavoratore attraverso la piattaforma telematica del Ministero del Lavoro. In tali casi, dunque, il datore di lavoro si trova in una situazione di totale incertezza, con il rischio di dover gestire un dipendente che di fatto ha abbandonato il posto di lavoro, senza tuttavia aver fornito alcuna comunicazione senza poter, dal punto di vista formale, rendere efficace la cessazione del rapporto di lavoro se non attraverso la citata procedura disciplinare e sostenendo i citati costi del licenziamento.

La nuova norma introdotta dal DDL stabilisce invece che, in caso di assenze prolungate non giustificate oltre il termine stabilito dal contratto collettivo (o, in assenza di specifiche previsioni, per più di 15 giorni), il rapporto di lavoro si intende risolto di diritto. Tale misura rappresenta uno strumento concreto volto a contrastare abusi e situazioni di incertezza che spesso gravano sui datori di lavoro, obbligati a gestire inefficienze organizzative e produttive derivanti dall’assenza prolungata di lavoratori intenzionati a cessare volontariamente il proprio rapporto di lavoro, al fine di ottenere un ritorno economico assistenziale derivante dal trattamento Naspi.

Allo stesso tempo, la norma prevede un margine di tutela per il lavoratore: la risoluzione di diritto non opera se l’assenza deriva da cause di forza maggiore o da responsabilità imputabili al datore di lavoro, come il mancato pagamento della retribuzione o violazioni delle norme di sicurezza. Tale equilibrio operato dal legislatore nell’ambito del DDL permette di bilanciare le esigenze organizzative delle aziende con la protezione dei diritti fondamentali dei lavoratori, riducendo il rischio di contenziosi. Viene dunque introdotto con il DDL l’istituto delle dimissioni per “fatti concludenti”, con eliminazione quindi al verificarsi della assenza sopra indicata, di qualsiasi obbligo burocratico della procedura telematica in capo ai lavoratori.

Dal punto di vista delle imprese, invece, tale misura consente sia di interrompere il rapporto di lavoro in tempi certi e con maggiore chiarezza, sia ridurre gli oneri burocratici e amministrativi e i costi (vedi ticket Naspi) legati alla gestione delle dimissioni, ma soprattutto contrastare fenomeni opportunistici legati all’abbandono volontario del posto di lavoro da parte del lavoratore al fine di farsi licenziare per giusta causa ed ottenere indebitamente l’indennità di disoccupazione. Abuso che non solo gravava sui datori di lavoro ma anche sull’intero sistema contributivo nazionale.

Invero, la risoluzione automatica per assenza ingiustificata esclude, analogamente alla ipotesi di dimissioni volontarie o alla risoluzione consensuale al di fuori della procedura di cui all’art. 7 Legge 1966 n. 604, il diritto del lavoratore alla Naspi.

Un ulteriore elemento di particolare rilevanza per le imprese è il ruolo assegnato dal DDL all’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL), che avrà il compito di verificare la regolarità delle situazioni segnalate. Tale intervento fornisce un meccanismo di garanzia per evitare interpretazioni arbitrarie o abusi della nuova procedura da parte dei lavoratori. In altri termini, la comunicazione obbligatoria che l’impresa deve effettuare all’INL consente di avviare indagini finalizzate a verificare la presenza di situazioni che potrebbero giustificare l’assenza del dipendente.

3. Gli aspetti principali da chiarire

Parimenti, vi sono ulteriori aspetti di carattere tecnico che richiedono i dovuti approfondimenti e chiarimenti istituzionali. Il primo riguarda il computo del termine di 15 giorni. Non emerge difatti dal dato normativo se si tratti di giorni lavorativi o di calendario né tantomeno da quale momento tale termine debba decorrere, vale a dire se dal primo giorno di assenza (dies a quo) o quello successivo.

Analogamente nulla è indicato circa il calcolo dei giorni di assenza, ossia se la stessa vada calcolata per sommatoria di ore oppure per intera giornata o turno lavorativo. Punto questo che assume particolare rilevanza sia in termini di efficacia della norma (posto che laddove si contasse a ore, il lavoratore ben potrebbe aggirare la disposizione presentandosi solo per alcune ore al fine di evitare il raggiungimento del termine di legge o contratto previsto) sia per la ricaduta degli effetti della cessazione a partire dall’inizio del quindicesimo giorno di assenza consecutivo o se dalla fine del turno di lavoro stabilito per quel giorno.

Infine, in merito al potere di verifica dell’INL restano dubbie le modalità operative da parte dell’ente, come nello specifico tempi e modalità di accertamento, nonché tipologia di canali a disposizione del lavoratore per dimostrare l’impossibilità di giustificare la propria assenza.

4. I primi passi della giurisprudenza sulle dimissioni per fatti concludenti

Al netto dei citati aspetti ancora da chiarire, il DDL arriva in realtà al culmine di un percorso già tracciato dalla giurisprudenza, che negli ultimi anni, pur in presenza della normativa contro le dimissioni in bianco che impone quindi la convalida delle stesse, aveva contribuito a definire l’assenza ingiustificata e protratta del lavoratore come un comportamento concludente, assimilabile a dimissioni di fatto. Già nel 2019, il Tribunale di Monza aveva stabilito che una prolungata assenza non giustificata, rafforzata eventualmente dall’assunzione presso un altro datore di lavoro, manifestava la volontà del lavoratore di risolvere il rapporto, esonerando l’azienda dagli obblighi di legge, incluso il ticket Naspi. Successivamente, il Tribunale di Udine, con due pronunce del 2020 e del 2022, ha ulteriormente consolidato questo orientamento, sottolineando che, in casi di assenza prolungata, la volontà risolutiva del dipendente può essere dedotta da comportamenti inequivocabili, superando la necessità di formalità telematiche. Tali decisioni, valorizzando il principio di buona fede e correttezza contrattuale, hanno aperto la strada alla norma attuale, che mira a combattere le pratiche elusive e a formalizzare la possibilità di considerare il rapporto risolto per volontà del lavoratore, confermando un approccio già accolto in sede giudiziaria.

5. Conclusioni

Il DDL rappresenta dunque un intervento normativo di notevole importanza per le imprese italiane, introducendo strumenti concreti per affrontare problemi annosi come le assenze ingiustificate e le dimissioni non formalizzate. Si tratta insomma di una previsione che fa coesistere le dimissioni per fatti concludenti, pacificamente riconosciute in giurisprudenza prima della introduzione della normativa sulla convalida delle dimissioni, con quest’ultimo istituto che sebbene sia e sia stato oggetto di abusi è comunque parimenti importante per proteggere i lavoratori dal fenomeno delle cd. “dimissioni in bianco”.

Il DDL, tuttavia, lascia aperti alcuni punti circa la applicazione pratica della disciplina che ben potevano essere chiariti nell’ambito dello stesso testo. In attesa di tali chiarimenti, sarà dunque fondamentale per le aziende procedere con la dovuta cautela nella applicazione di tale previsione, posto che il termine di 15 giorni (o il diverso termine previsto dal contratto collettivo) è comunque di stampo garantista per il lavoratore.

Da ultimo, si auspica che l’istituto della risoluzione di diritto utilizzato dal DDL, del tutto anomalo nell’ambito del diritto del lavoro e altresì recentemente eliminato dal Codice della Crisi di Impresa (D. Lgs. 2019 n. 14) a seguito della entrata in vigore del terzo decreto attuativo (D. Lgs. 2024 n. 136), non venga tacciato di incostituzionalità rendendo quindi la norma priva di efficacia.

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