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Giurisprudenza

Dipendenza del giudizio di legittimità dal requisito di autosufficienza

15 Settembre 2016

Davide Caspani LL.M., Praticante Avvocato

Cassazione Civile, Sez. V, 02 marzo 2016, n. 4154

Con la sentenza n. 4154 del 02 marzo 2016, la Sezione V della Corte di Cassazione, Pres. Bielli, Rel. Marulli, ha respinto i ricorsi presentati da un commerciante di autoveicoli e, in via incidentale, dall’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza n. 201/2008 del 23 giugno 2008 resa dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania (d’ora in poi CTR Campania).

Detta pronuncia aveva a sua volta respinto il ricorso dell’Agenzia in relazione alla sentenza di primo grado. Quest’ultima vertente su una verifica fiscale effettuata nei confronti del commerciante, dalla quale erano emerse irregolarità di varia natura costituite tra l’altro, dall’indebita contabilizzazione di sopravvenienze passive, dalla deduzione di costi non di competenza e di ammortamenti non deducibili, dall’omessa registrazione e dall’ingiustificata rettifica di ricavi, a seguito della quale l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Nola aveva notificato un avviso di accertamento con cui procedeva a rettificare gli imponibili IVA, IRPEF ed IRAP del contribuente per l’anno 1999. Durante il giudizio di primo grado il tribunale aveva accolto i motivi di ricorso del contribuente ma detta sentenza è stata poi appellata dall’Ufficio davanti alla CTR Campania. La Corte d’appello ha accolto il ricorso limitatamente al capo della decisione afferente le sopravvenienze passive respingendo gli altri.

Le tematiche più rilevanti affrontante dalla Corte in questa decisione sono tre.

Esse attengono in primo luogo alla definizione del carattere di idoneità del c.d. momento di sintesi del ricorso; successivamente prendono in esame l’inammissibilità del ricorso per difetto di formulazione del quesito e in ultimo analizzano la fattispecie di preventiva inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza della domanda.

Con riferimento al primo tema, va specificato che, in sede di appello, l’Ufficio aveva invocato l’applicabilità dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. denunciando un vizio di motivazione nella decisione della CTR in punto di sopravvenienze passive.

Secondo l’avviso della Suprema Corte, la fattispecie vede applicabile l’art. 360-bis c.p.c.. Per meglio definire la questione essa richiama il proprio orientamento in materia, secondo il quale: “anche nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma, del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità”.[1] La Corte non si ferma tuttavia a questo semplice assunto. Essa introduce anche l’obbligo di immediata rilevabilità del nesso causale tra la lacuna logica che si vuole portare all’attenzione dell’autorità giudicante ed il fatto determinante ai fini della decisione favorevole al ricorrente. Senza la presenza di detto collegamento lo scrutinio richiesto al collegio viene, per questa ragione, escluso automaticamente.[2]

Per quanto attiene all’inammissibilità per difetto di formulazione del quesito, la Corte fa riferimento al suo consolidato orientamento citando la sentenza Cass. Sez. Unite n. 9935/14, nella quale si afferma che: “è inammissibile il quesito formulato in termini tali da richiedere una previa attività interpretativa della Corte, come accade nell’ipotesi in cui sia proposto un quesito multiplo, la cui formulazione imponga alla Corte di sostituirsi al ricorrente mediante una preventiva opera di semplificazione, per poi procedere alle singole risposte che potrebbero essere tra loro diversificate”.[3]

Viene così ribadito quanto già discusso dalla Corte in altre pronunce.[4] Le domande rivolte alla stessa non devono costringerla a compiere un’attività che esuli dai canoni del “si” e del “no” e della specificità che deve qualificare i motivi del ricorso. Qualora ciò avvenga, il motivo proposto dovrà ritenersi inammissibile per difetto nella formulazione dello stesso.

Con il terzo ed ultimo tema la Corte affronta l’inammissibilità per difetto di autosufficienza. Anche qui, essa rimane coerente con il proprio giudicato, limitandosi a richiamare l’art. 366 c.p.c. come novellato dalla Legge n. 40 del 2006, art. 5, n. 6 ove viene affermato che: “il ricorso deve contenere a pena di inammissibilità la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

Così facendo la Corte enuncia il c.d. principio di autosufficienza. Sulla base di questo, il ricorso deve contenere tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito.[5]

In definitiva, dal predetto enunciato, si può evincere l’imprescindibilità del giudizio della Corte dalla corretta e completa riproduzione della documentazione afferente i motivi del ricorso. In assenza di ciò, la questione al vaglio di legittimità verrà ritenuta automaticamente inammissibile.

 


[1] Cass. Sez. Unite n. 20603/07.

[2] Cass. Civ. n. 12480/14, Cass. Civ. n. 28545/13; Cass. Civ. n. 5858/13.

[3] Cass. Civ. n. 23925/14; Cass. Civ. n. 28453/13; Cass. Civ. N. 1906/08.

[4] Cass. Civ. n. 23472/14; Cass. Civ. N. 26797/13;Cass. Civ. N. 1906/08.

[5] Cass. Civ. n. 15952/07.


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