1. Fonti normative e brevi cenni al contesto italiano1
La Direttiva AIFM mira a creare un mercato interno, tramite la definizione di un quadro regolamentare e di vigilanza armonizzato a livello comunitario per i gestori di fondi di investimento alternativi (i “GEFIA”) che gestiscono o commercializzano fondi di investimento alternativi (i “FIA”)2.
La Direttiva contempla, nello stesso tempo, disposizioni c.d. “self executing”3 e precetti di natura generale che trovano attuazione e completamento nel Regolamento n. 231/2013 della Commissione del 19 dicembre 2012 (il “Regolamento”), contenente una disciplina integrativa di dettaglio in materia di deroghe, condizioni generali di esercizio, depositari, leva finanziaria, trasparenza e sorveglianza e nelle misure c.d. “di terzo livello” emanate dall’European Securities and Markets Authority (l’“ESMA”), ossia linee guida che forniscono orientamenti e raccomandazioni circa le modalità di attuazione ed esecuzione dei precetti comunitari.
Il 22 luglio 2013 è scaduto il termine di recepimento della Direttiva negli ordinamenti nazionali ma solo alcuni Paesi (tra cui Lussemburgo, Irlanda, Regno Unito e Germania) hanno provveduto in maniera tempestiva alla sua trasposizione nei rispettivi ordinamenti nazionali4. In pari data, inoltre, è entrato in vigore il Regolamento.
Per far fronte a tale situazione, al fine di ridurre il più possibile gli impatti sistemici derivanti dal mancato integrale recepimento della Direttiva all’interno dell’Unione Europea, l’1 agosto 2013 l’ESMA ha pubblicato una “Opinion” concernente taluni “practical arrangements” che le Autorità competenti degli Stati membri dovrebbero tenere in considerazione fino alcompleto recepimento della Direttiva all’interno dei rispettivi ordinamenti.
Per quel che concerne il quadro normativo italiano giova ricordare che, in ossequio a quanto contemplato nell’Opinion dell’ESMA, il 5 agosto u.s. la Banca d’Italia e la Consob hanno pubblicato un comunicato congiunto contenente taluni chiarimenti circa la normativa applicabile a far data dal 22 luglio 2013 e fino all’entrata in vigore delle disposizioni nazionali di recepimento della Direttiva5.
Successivamente, visti i termini ristretti entro i quali la stessa avrebbe dovuto trovare applicazione, il Ministero dell’economia e delle finanze – nelle more dell’approvazione della legge di delegazione europea 2013 – ha sottoposto a pubblica consultazione un documento recante taluni emendamenti da apportare al TUF al fine di garantirne la coerenza con le previsioni di matrice comunitaria (il “Documento in Consultazione”).
Infine, in data 20 agosto 2013, è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della repubblica Italiana la legge 6 agosto 2013 n. 96 concernente “Delega al governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione degli altri atti – Legge di delegazione europea 2013” recante, inter alia, la delega al governo per l’attuazione della Direttiva AIFM. Tale provvedimento è entrato in vigore il 4 settembre. L’esercizio della delega da parte del Governo dovrà realizzarsi entro tre mesi a partire dalla data di entrata in vigore della Legge di delegazione. Di conseguenza, entro la fine del 2013 il quadro normativo nazionale dovrebbe arricchirsi di un ulteriore tassello e adeguarsi, al pari degli altri principali centri economici europei, al dettame della Direttiva AIFM.
2. Ambito di applicazione e obiettivi della Direttiva AIFM
A differenza della Direttiva UCITS IV, la Direttiva AIFM, in coerenza con l’obiettivo di creare un mercato unico europeo dei GEFIA, introduce una disciplina comune applicabile non ai fondi di investimento – che continueranno ad essere normati e vigilati nel proprio Stato membro d’origine – ma ai GEFIA stessi, ossia ai soggetti che esercitano abitualmente l’attività di gestione dei FIA.
Il Legislatore Comunitario, infatti, ha ritenuto eccessivamente ambizioso delineare un quadro normativo relativo alla struttura o ai limiti di investimento dei FIA e ha, pertanto, ritenuto opportuno normare esclusivamente i GEFIA6, dettando una disciplina comune in materia di autorizzazione e identificando presidi minimi e regole di condotta che tali soggetti sono tenuti a rispettare nell’ambito della prestazione delle attività per le quali sono autorizzati7 .
La Direttiva AIFM, quindi, prevede una disciplina comune in materia di autorizzazione dei GEFIA, requisiti di capitale, condizioni operative8 e organizzative9 e presidi di “trasparenza” in favore delle Autorità di Vigilanza e degli investitori10.
E’ chiaro, quindi, che la scelta fatta dal Legislatore Comunitario si è sostanziata, non nell’introduzione di un corpus normativo applicabile ai fondi di investimento alternativi, quanto piuttosto nella identificazione di taluni presidi strutturali, patrimoniali e organizzativi minimi applicabili ai loro gestori. Detto approccio – almeno stando alle valutazioni effettuate in sede di normazione – dovrebbe garantire “a monte” la mitigazione dei rischi sottesi alla gestione della “generalità” di FIA assicurando, nello stesso tempo, un’adeguata informativa in favore degli investitori.
La definizione di un siffatto quadro regolamentare e di vigilanza rappresenta, peraltro, “il presupposto per il riconoscimento del cd. Passaporto, in forza del quale i GEFIA, che si conformeranno alle regole e ai requisiti previsti dalla Direttiva AIFM (ottenendo l’autorizzazione da parte dell’autorità competente del proprio Stato membro d’origine), potranno gestire e commercializzare FIA presso investitori professionali11 nell’Unione Europea”12.
Si tratta, senza dubbio, della previsione di maggior rilievo contemplata dalla Direttiva. L’introduzione di un siffatto regime contribuisce, infatti, allo sviluppo di un mercato unico europeo sia per i GEFIA, che potranno gestire – in libera prestazione di servizi o mediante stabilimento di succursali – FIA stabiliti in altri Stati membri, che per i FIA stessi che potranno essere commercializzati liberamente all’interno dell’Unione Europea.
Peraltro, l’obiettivo del Legislatore Comunitario è ancora più ambizioso. La Direttiva disciplina, infatti, anche i) la gestione di FIA non UE13 da parte di GEFIA UE e la commercializzazione degli stessi all’interno dell’Unione Europea e ii) la gestione e la commercializzazione (all’interno dell’Unione Europea) di FIA UE e non UE da parte di GEFIA non UE14.
In ogni caso, tali ultime previsioni troveranno eventuale compiuta efficacia non prima della fine del 2015, ossia successivamente all’esito di taluni pareri positivi dell’ESMA e all’adozione di un atto delegato della Commissione Europea15.
Per tale ragione il presente contributo si occupa esclusivamente del regime armonizzato applicabile ai GEFIA UE e ai FIA UE.
3. Il Passaporto Comunitario dei GEFIA
Al fine di creare un mercato unico che garantisca la libera circolazione dei GEFIA e dei FIA all’interno dell’Unione Europea, la Direttiva riconosce a un GEFIA UE, una volta autorizzato, il diritto di prestare le proprie attività presso Paesi diversi da quello in cui ha ottenuto l’autorizzazione, senza la necessità di alcun ulteriore vaglio da parte delle Autorità di detti Paesi.
Al riguardo, l’articolo 33, comma 2, della Direttiva stabilisce che “gli Stati membri assicurano che un GEFIA UE autorizzato possa gestire FIA UE stabiliti in un altro Stato membro direttamente o stabilendovi una succursale, purché il GEFIA sia autorizzato a gestire tale tipo di FIA”.
Tale approccio risulta sostanzialmente in linea con quanto previsto dalla Direttiva UCITS IV e si impronta sul regime della c.d. “autorizzazione unica”: una volta ottenuta l’autorizzazione nel proprio Stato d’origine, il GEFIA può operare all’interno dell’Unione Europea, sulla base di una mera procedura di “notifica” in favore delle Autorità di detto Stato, senza quindi la necessità di alcuna ulteriore autorizzazione.
La citata procedura risulta snella e si sostanzia in una prima fase in cui il GEFIA comunica alle Autorità di cui sopra l’intenzione di gestire FIA in un determinato Stato membro (o più Stati) direttamente o stabilendovi succursali e trasmette un programma di attività in cui sono precisati i servizi che intende prestare e il FIA che intende gestire.
Nel caso in cui il GEFIA intenda stabilire una succursale sarà tenuto a fornire ulteriori informazioni in merito alla struttura organizzativa che intende approntare, ai soggetti che si occuperanno della sua gestione e all’“indirizzo nello Stato membro d’origine del FIA da cui si possono ottenere i documenti”16.
Nel termine di un mese, nel caso in cui il GEFIA intenda operare in libera prestazione di servizi, o di due mesi, nel caso in cui intenda stabilire una succursale, dal ricevimento della suddetta documentazione, le autorità competenti dello Stato d’origine del GEFIA la trasmettono alle Autorità competenti dello Stato membro ospitante17 e informano immediatamente il GEFIA di tale circostanza.
Una volta ricevuta la comunicazione dell’avvenuta trasmissione, il GEFIA può operare all’interno dello Stato membro ospitante. Al GEFIA non potranno essere imposti obblighi supplementari nelle materie disciplinate dalla Direttiva.
Sebbene il regime sopra descritto risulti molto chiaro, sul punto occorre precisare che la formulazione dell’art. 33 della Direttiva, nella parte in cui riconosce ai GEFIA UE la facoltà (esclusivamente, parrebbe) di “gestire FIA UE stabiliti in un altro Stato” e non anche di “istituire” detti FIA, potrebbe generare – ove si accedesse ad una interpretazione letterale del termine “gestire” – dubbi interpretativi riguardo alla facoltà dei GEFIA di beneficiare di un regime di passaporto europeo anche per l’attività di istituzione dei FIA.
Invero, l’interpretazione più logica e coerente con la ratio della Direttiva pare senza dubbio essere quella di includere nell’ambito del concetto di “gestione transfrontaliera” di FIA anche l’istituzione degli stessi18 così come confermato, peraltro, dallo stesso Documento in Consultazione che contempla espressamente il diritto dei GEFIA UE di istituire (e gestire) FIA italiani una volta che la Banca d’Italia abbia autorizzato il regolamento degli stessi e al ricorrere di talune condizioni, ossia che il GEFIA sia autorizzato nel proprio Stato d’origine a gestire FIA con caratteristiche analoghe a quelli che intende istituire e gestire in Italia e che abbia stipulato con il depositario un accordo che assicuri a quest’ultimo la disponibilità delle informazioni necessarie per lo svolgimento dei propri compiti.
4. Il Passaporto Comunitario dei FIA
Il regime del c.d. Passaporto del gestore, si è visto, dovrebbe garantire l’effettiva realizzazione di un mercato unico comunitario dei gestori dei fondi di investimento alternativi.
A ben vedere, però, i vantaggi più rilevanti in termini di opportunità commerciali per l’industria del risparmio gestito potrebbero derivare dal riconoscimento, in capo ai GEFIA, del diritto di commercializzare FIA UE (oltre che nel proprio Stato d’origine, ossia quello in cui sono stati autorizzati) presso gli investitori professionali in uno Stato membro diverso da quello d’origine, previo espletamento di una mera procedura di “notifica”, senza la necessità, quindi, di alcun ulteriore vaglio autorizzativo da parte di detto Paese.
Al riguardo, l’art. 32, comma 1 della Direttiva stabilisce che “gli Stati membri assicurano che un GEFIA UE autorizzato possa commercializzare quote o azioni di un FIA UE che gestisce presso gli investitori professionali in uno Stato membro diverso dal suo Stato d’origine quando sono soddisfatte le condizioni di cui al presente articolo”.
Le “condizioni” a cui si riferisce l’art. 32 della Direttiva si sostanziano nel rispetto di una procedura di “notifica”, propedeutica all’avvio della commercializzazione transfrontaliera. La stessa si compone di una prima fase in cui il GEFIA comunica alle autorità competenti del suo Stato membro d’origine (mediante la trasmissione di una “lettera di notifica”) l’intenzione di commercializzare FIA presso Paesi diversi19 e di una successiva fase in cui tali autorità – entro 20 giorni dal ricevimento del fascicolo di notifica completo – lo trasmettono20 alle autorità competenti degli Stati membri in cui il GEFIA intende commercializzare detti FIA21 e, all’atto di tale trasmissione, lo informano senza indugio di tale circostanza. Quest’ultimo potrà iniziare a commercializzare i FIA nello stato ospitante a partire dalla data di detta notifica.
La procedura in esame risulta di sostanzialmente affine a quella contemplata dalla Direttiva UCITS IV; mutano però sia i presupposti dai quali discende la possibilità di instaurarla che le autorità nazionali coinvolte. In base al regime del Passaporto della Direttiva UCITS IV, infatti, la notifica per la commercializzazione transfrontaliera è da effettuarsi qualora si intenda commercializzare un fondo (OICVM) in un Paese diverso da quello di origine dello stesso fondo e, inoltre, tale notifica è da effettuarsi nei confronti delle autorità competenti del Paese in cui l’OICVM è stato autorizzato, indipendentemente dal fatto che il gestore sia o meno stabilito al suo interno.
Assolta la procedura di notifica sopra sinteticamente descritta, il GEFIA può iniziare la commercializzazione del FIA che gestisce presso gli investitori professionali nello Stato ospitante destinatario.
4.1. La “commercializzazione” […]
Una prima considerazione è d’obbligo: il quadro normativo sopra delineato disciplina la fattispecie in cui un GEFIA intenda commercializzare FIA presso investitori professionali stabiliti in uno Stato diverso da quello in cui detto GEFIA è stato autorizzato22. I GEFIA sono quindi tenuti ad assolvere la procedura di notifica ogni volta che intendano commercializzare i propri FIA all’interno dell’Unione Europea.
La Direttiva si preoccupa al riguardo di definire cosa debba intendersi per “commercializzare”, ossia “offrire o collocare direttamente o indirettamente, su iniziativa del GEFIA o per conto del GEFIA, quote azioni di un FIA, che lo stesso gestisce, a investitori o presso investitori domiciliati o con una sede legale nell’Unione”23.
Esulerebbero, di conseguenza, dalla fattispecie sopra descritta, le ipotesi in cui – senza alcuna sollecitazione e/o offerta diretta o indiretta del GEFIA – un investitore si rivolga a quest’ultimo, di propria iniziativa, al fine di effettuare un investimento in uno dei suoi FIA (ci si riferisce, in particolare, al c.d. “Marketing passivo”). In tal caso, quindi, non dovrebbe essere richiesta alcuna notifica.
Parimenti, ad avviso di chi scrive, e anche se tale fattispecie risulterebbe di più difficile realizzazione (posto che parrebbe difficile non configurarsi un’attività “proattiva” dell’intermediario), dovrebbe rientrare nell’ambito del marketing passivo anche il caso in cui – sempre in assenza di alcuna forma di promozione, offerta o “sollecitazione” – un potenziale investitore (sia professionale che retail) si rivolga, di propria iniziativa, ad un intermediario autorizzato nel proprio Paese al fine di conferirgli un ordine di sottoscrizione di quote o azioni di un FIA non commercializzato in detto Paese.
Si immagini, a titolo meramente esemplificativo, il caso di un investitore retail “evoluto” con un portafogli di investimento cospicuo che si rivolga a un intermediario specializzato al fine di ricevere un servizio di “mera” consulenza in materia di investimenti, identificando un “holding period” di lunga durata.
In tale ipotesi, infatti, detto intermediario potrebbe raccomandare la sottoscrizione di un FIA UE quale investimento più adatto al suo profilo di investimento. Successivamente, il cliente – ove interessato all’investimento – potrebbe conferire al cennato intermediario (o a un diverso soggetto autorizzato alla prestazione di servizi e attività di investimento) l’ordine di sottoscrizione delle quote del FIA oggetto della raccomandazione personalizzata.
In tali ipotesi, si ritiene che al cliente dovrebbe essere consentito l’investimento in detto FIA, anche in assenza di una notifica da parte del GEFIA e senza che a questi possa essere imputata alcuna violazione dei precetti comunitari in esame posto che non parrebbe ravvisarsi alcuna forma di sollecitazione od offerta, nemmeno indiretta per il tramite dell’intermediario sopra citato, limitandosi quest’ultimo a raccomandare – su richiesta del cliente – un (o anche più) prodotto di investimento, ove rientrante nel “paniere” degli strumenti finanziari “monitorati” dall’intermediario e se ritenuto adeguato al suo profilo.
E ciò, ad avviso di chi scrive, a prescindere dalla natura dell’investitore – al dettaglio o professionale – in quanto, ove si accedesse all’interpretazione sopra cennata, tale circostanza risulterebbe indifferente posto che, non configurandosi alcuna “commercializzazione”, non troverebbero conseguente applicazione gli eventuali divieti e/o le prescrizioni più rigorose imposte a maggior tutela dell’investitore retail dal Paese membro in cui quest’ultimo è stabilito (si veda, al riguardo, il successivo par. 4.3.)
La questione, in verità, non riguarda solo la “commercializzazione” disciplinata dalla Direttiva (che si preoccupa, però, di fornirne una definizione che ne identifichi almeno i caratteri precipui) ma anche l’analoga fattispecie prevista nella Direttiva UCITS IV e ha generato nel corso degli anni taluni dubbi interpretativi all’atto della sua concreta applicazione.
Con l’occasione pertanto, sarebbe auspicabile un intervento interpretativo dell’ESMA che chiarisca in maniera formale i “confini” della nozione di “commercializzazione”, prendendo in considerazione esempi concreti segnalati dagli operatori dell’industria finanziaria. In caso contrario, potrebbero proliferare interpretazioni tra loro difformi all’interno dei singoli ordinamenti nazionali24.
4.2. presso investitori professionali […]
Il regime del Passaporto dei FIA, si è detto, comprende esclusivamente la commercializzazione diretta agli investitori professionali all’interno dell’Unione Europea.
L’esclusione della possibilità di commercializzare i FIA nei confronti degli investitori al dettaglio sottende la volontà di tutelare tali soggetti, nell’assunto che gli stessi siano privi delle competenze professionali necessarie per procedere ad investimenti che non soggiacciono alle norme di contenimento e frazionamento del rischio dettate per i fondi sottoposti al regime della Direttiva UCITS IV, i quali sono invece progettati proprio per essere adatti per la distribuzione presso il mercato retail.
Si evidenzia al riguardo come – già nell’ambito della “valutazione degli impatti” che ha accompagnato la proposta di direttiva AIFMD25 – è stato ritenuto che i FIA, in virtù delle loro peculiari caratteristiche (del tutto eterogenee tra loro, a seconda dell’ordinamento nazionale di riferimento), fossero non adatti per gli investitori al dettaglio. Detti fondi, infatti, sono sovente caratterizzati da rendimenti molto più volatili rispetto ai quelli dei prodotti retail, con il risultato che il rischio di incorrere in perdite considerevoli è nettamente superiore rispetto a quelli rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva UCITS IV.
I FIA, inoltre, concentrandosi in maniera particolare su investimenti in attività poco liquide (in genere, beni immobili o strumenti finanziari non quotati), tipicamente vincolano gli investitori per un periodo di tempo elevato. Più in generale, infine, le strategie di investimento dei fondi di investimento alternativi tendono ad essere più complesse e quindi più difficili da valutare e raffrontare per i potenziali investitori.
Del resto, è sulla scorta dei cennati motivi che, già anteriormente all’emanazione della Direttiva, l’accesso degli investitori retail a particolari tipologie fondi di investimento alternativi trovava significative barriere “normative” in talune giurisdizioni europee.
In alcuni Paesi, infatti, tali forme di investimento risultavano destinate esclusivamente ad investitori professionali o istituzionali, sul presupposto che solo questi ultimi fossero in grado di comprendere i rischi ad essi sottesi o, quanto meno, capaci di assorbire le potenziali perdite ad esse connesse. In altri invece – è il caso dell’Italia per i fondi c.d. “hedge” – erano identificate soglie minime di ingresso particolarmente elevate, tali da renderle sostanzialmente inaccessibili a soggetti non istituzionali.
L’esperienza della crisi finanziaria non ha potuto che rafforzare tale convinzione inducendo il Legislatore comunitario a ricomprendere nel regime del c.d. Passaporto Europeo esclusivamente la commercializzazione dei FIA in favore di investitori professionali. E ciò, inoltre, non ha eliminato la necessità di approntare – anche in favore di tale tipologia di clienti – taluni presidi di trasparenza e comunicazione, atti a facilitare le loro analisi ed a garantire anche a costoro un livello minimo di informazione26.
4.3. […] e presso investitori al dettaglio
Ciò non vale, peraltro, ad escludere la facoltà per gli Stati membri di consentire la commercializzazione nel proprio territorio di FIA anche presso investitori al dettaglio, ciò a prescindere dal fatto che detti FIA siano commercializzati a livello domestico oppure su base transfrontaliera (nonché dal fatto che si tratti di FIA UE o NON UE).
L’art. 43 della Direttiva rimette, infatti, ai singoli Paesi la scelta di consentire o meno tale forma di commercializzazione riconoscendo a questi ultimi – ove sia consentita la commercializzazione presso investitori retail – il diritto di “imporre a carico del GEFIA o del FIA prescrizioni più rigorose di quelle applicabili ai FIA commercializzati presso investitori professionali sul loro territorio a norma della presente direttiva”27.
La scelta del legislatore Comunitario è chiara: da un lato, si è riconosciuto ai GEFIA il diritto di beneficiare del Passaporto per la sola commercializzazione presso investitori professionali creando, in tal modo, un quadro armonizzato e un mercato interno e, dall’altro, si è lasciato ai singoli Stati la facoltà di valutare se consentire ai GEFIA di commercializzare FIA anche presso investitori al dettaglio (identificando, in tal caso, eventuali ulteriori prescrizioni a carico dei gestori o dei fondi, a maggior tutela dei clienti “più deboli”).
Tale ultima previsione genera, però, talune perplessità, soprattutto con riferimento al quadro comunitario che ne potrebbe discendere. La norma in esame recita, infatti, quanto segue: “gli Stati membri possono consentire ai GEFIA di commercializzare presso gli investitori al dettaglio sul loro territorio quote o azioni dei FIA che gestiscono a norma della presente direttiva”28.
Ciò significa che, almeno in teoria, taluni Stati potrebbero optare per un regime di assoluta “preclusione” ad alcuna forma distributiva di FIA in favore di clienti non professionali, altri potrebbero decidere di sottoporre a un vaglio autorizzativo delle proprie autorità l’ingresso di FIA UE ove rivolto a tali clienti, altri ancora potrebbero richiedere il mero assolvimento della sola procedura di notifica anche in caso di commercializzazione presso investitori retail.
Il tenore letterale dell’art. 43 della Direttiva sembra, infatti, lasciare ampio spazio a differenti opzioni dei legislatori nazionali, con il solo limite del divieto di imporre “ai FIA UE stabiliti in altri Stati membri e commercializzati su base transnazionale prescrizioni aggiuntive o più rigorose rispetto a quelle applicabili ai FIA commercializzati su base nazionale”29.
In tale contesto, al fine di avere una chiara rappresentazione delle scelte effettuate nell’ambito dei singoli ordinamenti (e, si auspica, al fine di pubblicare tali valutazioni, in modo da fornire un quadro informativo trasparente in favore dell’industria finanziaria), il Legislatore Comunitario ha imposto ai singoli Stati membri che autorizzino la commercializzazione di FIA presso gli investitori al dettaglio sul loro territorio di comunicare alla Commissione e all’ESMA entro il 22 luglio 2014 i) i tipi di FIA che i GEFIA possono commercializzare presso gli investitori al dettaglio sul loro territorio e ii) ogni eventuale prescrizione aggiuntiva imposta.
Provando a dare uno sguardo alle scelte effettuate all’interno dell’ordinamento italiano, si può rilevare che lo schema del “nuovo” TUF di cui al Documento in Consultazione contempla espressamente la possibilità di commercializzare presso investitori al dettaglio i) sia FIA italiani ii) che FIA UE e FIA non UE (a condizione, per i FIA di cui al ii) che siano già commercializzati all’interno del proprio Stato di origine) rimettendo ad un regolamento ministeriale di futura emanazione la determinazione “dei requisiti in base ai quali è possibile la commercializzazione di FIA a investitori al dettaglio, al fine da assicurarne l’adeguata protezione degli investitori”30.
Segnatamente, per quel che concerne i FIA italiani – ferma restando l’osservanza dei requisiti aggiuntivi di cui al suddetto regolamento ministeriale – è contemplato, sembra in aggiunta al processo di autorizzazione del FIA da parte della Banca d’Italia, l’obbligo di notifica in favore della Consob, con evidenza dei FIA da commercializzare e contestuale trasmissione di taluni documenti relativi a detti fondi31.
Per quel che concerne, invece, i FIA UE (e quelli non UE) è contemplata una vera e propria procedura di autorizzazione della Consob (ulteriore, quindi, rispetto a quella ottenuta dal FIA nel suo Stato di origine), d’intesa con la Banca d’Italia per quel che concerne la verifica della compatibilità degli schemi di funzionamento e le norme di contenimento e frazionamento del rischio di tali FIA con quelli previsti per i FIA italiani.
La procedura autorizzativa in esame, che sarà disciplinata da un regolamento della Consob, è finalizzata a verificare che la struttura del FIA UE sia sostanzialmente compatibile con quella dei FIA italiani e il modulo organizzativo sia tale da consentire l’esercizio dei diritti degli investitori al dettaglio e la loro tutela con modalità analoghe a quelle contemplate per l’offerta di detti FIA.
Lo schema di normativa proposto all’interno del Documento in Consultazione ha generato, come prevedibile, il forte interesse dell’intera industria del risparmio gestito che si è tradotto in numerose osservazioni, richieste di chiarimenti e proposte di modifica.
Uno dei punti che ha generato maggiore preoccupazione inerisce la portata dei requisiti aggiuntivi che dovrebbero essere introdotti, con riferimento alla commercializzazione di FIA presso investitori al dettaglio, in sede di normazione secondaria. Preoccupa, in particolare, un’eventuale scelta orientata alla determinazione di “soglie minime di ingresso” (analoghe a quelle previste per i fondi italiani speculativi) o, piuttosto, all’introduzione di regole più stringenti per talune categorie di FIA.
Una soluzione coerente con l’esigenza di garantire una maggiore tutela agli investitori al dettaglio parrebbe al riguardo quella di prevedere, eventualmente, maggiori obblighi informativi verso i medesimi (ad esempio, imponendo l’obbligo di predisporre e consegnare un “Key Investor Information Document” – c.d. KIID – come già previsto per gli OICR rientranti nell’ambito di applicazione della Direttiva UCITS IV) e di imporre ai GEFIA l’offerta di FIA in favore di detti investitori solo nel caso in cui tali fondi fosse ritenuti “adeguati” al profilo degli stessi.
Ciò risulterebbe, ad avviso di chi scrive, coerente con le valutazioni che hanno indotto il Legislatore comunitario a non estendere tout court la disciplina del Passaporto alla commercializzazione di FIA anche presso investitori al dettaglio, sulla presunzione che tali fondi non fossero adatti, sia per il profilo di rischio ad essi sotteso che per la loro scarsa intelligibilità, agli investitori non professionali.
Orbene, nel momento in cui fosse accolta una siffatta proposta, si eliminerebbe “a monte” il rischio che un investitore al dettaglio possa accedere ad un FIA a lui non adatto posto che, come noto, il GEFIA (anche tramite un collocatore incaricato) dovrebbe verificare che l’investimento nel FIA a) corrisponda agli obiettivi di investimento del cliente; b) sia di natura tale che il cliente sia finanziariamente in grado di sopportare qualsiasi rischio connesso all’investimento compatibilmente con i suoi obiettivi di investimento; c) sia di natura tale per cui il cliente possieda la necessaria esperienza e conoscenza per comprendere i rischi inerenti all’operazione o alla gestione del suo portafoglio32.
1
Il presente articolo rappresenta il primo di una serie di contributi dedicati all’analisi delle principali innovazioni introdotte dalla Direttiva 2010/11/UE sui gestori di fondi di investimento alternativi (la c.d. “Direttiva AIFM” o la “Direttiva”). Segnatamente, l’articolo in oggetto intende offrire, in attesa della normativa di implementazione, taluni spunti di riflessione circa il regime del c.d. “Passaporto” Europeo.
2
Per FIA devono intendersi gli organismi di investimento collettivo, compresi i relativi comparti, che raccolgono capitali da una pluralità di investitori al fine di investirli in conformità di una politica di investimento definita a beneficio di tali investitori, che non rientrino nell’ambito di applicazione della Direttiva 2009/65/CE (la cd “Direttiva UCITS IV”).
3
Come, in particolare, quelle in materia di passaporto dei GEFIA e dei FIA che saranno trattate nel presente lavoro.
4
Altri lo hanno fatto successivamente ma, alla data di redazione del presente contributo, risultano numerosi i Paesi (tra cui l’Italia) che non hanno ancora formalmente recepito la Direttiva.
5
In estrema sintesi, il Comunicato in oggetto mantiene ferme per i gestori italiani le regole del TUF ad oggi in vigore e consente ai gestori UE stabiliti in Paesi in cui è stata integralmente trasposta la Direttiva di operare in Italia in ossequio al regime del “Passaporto” (si veda infra).
6
Il Legislatore Comunitario ha, al riguardo, preso atto che “sarebbe eccessivo disciplinare la struttura o la composizione dei portafogli dei FIA gestiti da GEFIA a livello di Unione e sarebbe difficile conseguire un’armonizzazione così vasta a causa della grande varietà di tipi di FIA gestiti dai GEFIA” chiarendo, quindi, che “la presente direttiva non osta pertanto a che gli Stati membri adottino o continuino ad applicare disposizioni nazionali in relazione a FIA stabiliti nel loro territorio” (Cfr. considerando n. 10 della Direttiva AIFM).
7
E’ opportuno sottolineare come, in realtà, un primo tentativo di armonizzazione, anche se solo parziale, dei “prodotti di investimento” non rientranti nell’ambito della Direttiva UCITS IV è stato di recente posto in essere con la pubblicazione della proposta di Regolamento Europeo “relativo ai fondi di investimento europei a lungo termine”, in data 26 giugno 2013.
8
Tra cui, inter alia, gestione del rischio e della liquidità, conflitti di interesse, politiche remunerative ecc..
9
Organizzazione amministrativa, contabile, modalità di controllo, scelta del depositario, delega di funzioni in favore di terzi ecc.
10
Ivi incluso l’obbligo di redigere una relazione annuale per ogni esercizio, di segnalare su base continuativa talune informazioni alle Autorità di Vigilanza competenti e di predisporre documenti informativi in favore degli investitori.
11
Ossia, gli investitori che siano considerati clienti professionali o possano essere, su richiesta, trattati come clienti professionali ai sensi dell’Allegato II della Direttiva 2004/39/CE (la “Direttiva MiFID”).
12
Cfr.“Task Force Assogestioni per l’attuazione in Italia della Direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi (c.d. direttiva AIFM)” – Documento conclusivo, Aprile 2013 (la “Task Force”).
13
Ossia i fondi di investimento alternativi autorizzati in un Paese non appartenente all’Unione Europea.
15
La Direttiva prevede, infatti, un complesso iter di normazione che inizierà con la trasmissione di pareri (e consulenze) da parte dell’ESMA a partire dal 22 luglio 2015 e proseguirà con l’eventuale adozione, entro 3 mesi dalla ricezione di tali pareri (nel caso in cui gli stessi siano positivi), di atti delegati da parte della Commissione Europea.
19
La Direttiva impone la predisposizione di un vero e proprio “fascicolo di notifica” che include, inter alia, le seguenti informazioni: a) il regolamento o i documenti costitutivi del FIA, b) l’identità del depositario del FIA, c) l’indicazione dello Stato membro o degli Stati membri in cui intende commercializzare presso investitori professionali, d) le informazioni sulle modalità adottate per la commercializzazione dei FIA e, laddove pertinente, le informazioni sullemodalità adottate per impedire la commercializzazione delle quote o delle azioni del FIA presso gli investitori al dettaglio, anche qualora il GEFIA faccia ricorso a soggetti indipendenti per fornire i servizi di investimento in relazione al FIA (le modalità di cui alla predetta lett. d) sono soggette – per espressa previsione dell’articolo in commento – alla legislazione e alla vigilanza dello Stato membro ospitante del GEFIA).
20
Attestando che il GEFIA interessato è autorizzato a gestire i FIA con una determinata strategia di investimento.
21
Tale trasmissione ha luogo solo la gestione del FIA da parte del GEFIA è, e continuerà ad essere, conforme alla Direttiva.
22
L’autorizzazione/commercializzazione di FIA all’interno del Paese di Origine del GEFIA sarà presa in considerazione nell’ambito di un successivo contributo.
24
La questione è, in verità, più complessa visto che alcuni stati disciplinano espressamente tali fattispecie o quella del c.c. private placement.
25
Cfr. Commission staff working document accompanying the proposal for a Directive of on Alternative Investment Fund Managers – Executive summary of the impact assessment {COM(2009) 207 } {SEC(2009) 576}
26
L’art. 23 (“Informazioni agli investitori”) della Direttiva contempla, al riguardo, una serie di informazioni minime che i GEFIA devono rappresentare ai potenziali clienti prima dell’investimento e nel corso dei rapporti contrattuali, una volta instaurati.
31
Ossia, il prospetto destinato alla pubblicazione, il regolamento o lo statuto del FIA e “il documento contenente le ulteriori informazioni da mettere a disposizione prima dell’investimento ai sensi dell’art.6, comma 2, lett. a) [n. 3-bis] e delle relative disposizioni di attuazione, da cui risulta l’assenza di trattamenti preferenziali nei confronti di uno o più investitori o categorie di investitori” (cfr. art. 44, comma 2, lett. c) del TUF emendato nel Documento di Consultazione).