Il Consiglio dei Ministri riunitosi ieri, 23 gennaio 2020, ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo di attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (c.d. Direttiva PIF).
La direttiva sostituisce precedenti convenzioni di disciplina della materia e prosegue sulla scia di altri interventi di armonizzazione del diritto penale degli Stati membri completando, per i tipi di condotte fraudolente più gravi nel settore finanziario, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione ai sensi del diritto amministrativo e del diritto civile.
Il decreto modifica quindi la disciplina dei reati tributari sulla responsabilità amministrativa delle società per i reati commessi dalle persone fisiche nel loro interesse o vantaggio.
Tra le novità:
- si prevede di punire anche le ipotesi di delitto tentato (e non solo consumato) per i reati fiscali che presentano l’elemento della transnazionalità, se l’imposta IVA evasa non sia inferiore a 10 milioni di euro;
- si amplia il catalogo dei reati tributari per i quali è considerata responsabile anche la società (ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231) includendovi ora i delitti di dichiarazione infedele, di omessa dichiarazione e di indebita compensazione;
- si estende la responsabilità delle società anche ai delitti di frode nelle pubbliche forniture, al reato di frode in agricoltura (art. 2 della legge n. 898 del 1986) e al reato di contrabbando, modulando la sanzione a seconda che il reato ecceda o meno la soglia di 100.000 euro. Infine, si è ampliato il panorama dei delitti contro la pubblica amministrazione di cui possono rispondere le società, includendovi il delitto di peculato e quello di abuso d’ufficio.
Per quanto riguarda gli altri settori del diritto penale si interviene su alcune fattispecie di corruzione, includendovi anche i casi in cui siano sottratti denaro o utilità al bilancio dell’Unione o ad altri suoi organismi, con danno superiore a 100.000 euro con la pena massima aumentata fino a 4 anni di reclusione e si estende la punibilità a titolo di corruzione dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio di Stati non appartenenti all’Unione europea, quando i fatti ledono o pongono in pericolo gli interessi finanziari dell’Unione.