Con la sentenza n. 4151/2025, recependo i principi espressi dalla CGUE nella sentenza C-341/22 del 7 marzo 2024, la sezione tributaria della Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto alla detrazione IVA di una società non può essere limitato sulla base di una presunzione automatica fondata sul mancato superamento del test di operatività di cui all’art. 30 della L. n. 724/1994.
La Suprema Corte ha ribadito gli stessi principi qui esposti nella sentenza n. 4157/2025, emessa dallo stesso collegio e pubblicata nello stesso giorno.
La vicenda era sorta da un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della società con il quale veniva contestata la sua qualifica di società di comodo per l’anno d’imposta 2008, con il conseguente recupero dell’IVA a credito per un importo pari a 42.108,00 euro, in applicazione dell’art. 30, comma 4 della L. n. 724/1994.
In particolare, secondo la norma interna le società “non operative” non possono chiedere il rimborso, compensare o cedere l’eccedenza di credito IVA.
Inoltre, se, come nel caso di specie, le società per tre anni consecutivi non raggiungono un volume minimo di operazioni rilevanti ai fini IVA il credito non può più essere riportato a scomputo dell’imposta dovuta negli anni successivi.
La contribuente aveva pertanto impugnato l’avviso di accertamento, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale di Avellino sia la Commissione Tributaria Regionale della Campania avevano rigettato i suoi ricorsi, ritenendo che non fosse stato superato il test di operatività previsto dall’art. 30 della L. 724/1994.
In sede di legittimità, la Corte di Cassazione aveva sospeso il giudizio e rimesso la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale, con la sentenza del 7 marzo 2024 nella causa C-341/22, ha stabilito che il diritto alla detrazione dell’IVA non può essere negato sulla base della mancata realizzazione di un volume di ricavi pari ai parametri presuntivi stabiliti dalla normativa nazionale.
In particolare, la CGUE ha chiarito che la qualifica di soggetto passivo IVA non può essere negata sulla base di una soglia minima di operazioni attive, poiché ciò contrasta con i principi di neutralità e proporzionalità del sistema IVA europeo.
Inoltre, la direttiva IVA non subordina il diritto alla detrazione dell’imposta a un livello minimo di operazioni imponibili effettuate.
La Corte ha anche sottolineato che la normativa italiana eccede quanto necessario per prevenire l’evasione e gli abusi, non essendo fondata su una valutazione effettiva dell’attività economica della società contribuente.
Alla luce di questa pronuncia, la Cassazione ha accolto il ricorso della società rinviando il caso alla Commissione Tributaria Regionale della Campania per un nuovo esame, che dovrà attenersi ai principi espressi dalla CGUE e per l’effetto disapplicare l’art. 30, comma 4 della L. 724/1994. .
In particolare, il giudice del rinvio dovrà verificare la sussistenza dei requisiti per l’esercizio della detrazione, prescindendo dalla contestata qualifica di società di comodo, e pertanto:
1) se la società abbia effettivamente esercitato un’attività economica, per ricavarne introiti aventi carattere di stabilità;
2) se la società medesima abbia impiegato i beni e i servizi acquistati per operazioni soggette ad imposta, e ciò indipendentemente dal volume d’affari realizzato;
3) se infine vi siano elementi che giustifichino la privazione del diritto alla detrazione per ragioni di frode o abuso.
Peraltro, secondo la Corte la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, ossia con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché esse siano finalizzate costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica (v. Cass. n. 25635/2022).