Con la Risposta a interpello n. 254 del 17 luglio 2019 (la “Risposta”), l’Agenzia delle entrate è intervenuta in merito a una problematica interpretativa particolarmente difficile da decifrare alla luce dei molteplici interventi legislativi stratificati nel tempo. Trattasi dell’efficacia intertemporale dei criteri d’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata (e relative esimenti) succedutesi dal 2015 in poi e richiamati dalle disposizioni del Testo Unico che regolano l’applicabilità del regime di esclusione parziale per i dividendi di fonte estera.
1. La questione interpretativa oggetto d’interpello
L’istanza d’interpello risulta presentata da una persona fisica la quale detiene il controllo di una società paraguaiana. La società ritrae reddito dall’attività di compravendita di soia e dalla locazione di terreni e silos. Nel Paese di residenza (il Paraguay) la società estera controllata è soggetta a un’imposta cedolare che assoggetta, alla medesima aliquota del 10 per cento, separatamente il reddito d’impresa e il reddito derivante dalla locazione dei beni immobili. Il reddito è determinato in modo analitico e la società non beneficia di regimi agevolativi speciali. La controllata paraguaiana distribuisce ogni anno ai soci italiani la quasi totalità del reddito prodotto.
La Risposta circoscrive l’ambito temporale ai redditi realizzati dalla società estera controllata nel 2017, oggetto di distribuzione nel 2018 e da tassare in capo al socio quali dividendi nel Modello Redditi 2019. Il quadro normativo è dunque antecedente alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 142 del 2018 di recepimento della c.d. Direttiva ATAD, efficace dal 2019 e quindi applicabile ai dividendi percepiti in tale annualità.
Secondo la versione pro tempore vigente dell’art. 167, comma 4, del Testo Unico, il criterio d’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata era rappresentato dalla circostanza che l’aliquota nominale dell’imposta sul reddito del Paese estero risultasse inferiore della metà rispetto all’aliquota nominale italiana (somma delle aliquote nominali di Ires e Irap)[1]. Nel caso di specie, il nominal tax rate test non veniva superato.
Proprio la circostanza che la società estera distribuisse ogni anno dividendi per importo pressoché pari al reddito prodotto ha condotto l’istante a concentrare la questione interpretativa sull’applicabilità al caso di specie della c.d. seconda esimente e non ‒ come pure sarebbe stato possibile, attesa la manifesta effettività e “genuinità” dell’attività economica svolta nel Paese di stabilimento ‒ della c.d. prima esimente. La prova dell’esimente rappresentata dalla circostanza che “dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori a regime fiscale privilegiato” consentiva, secondo la normativa vigente pro tempore, al tempo stesso di (a) disapplicare la normativa CFC sul reddito prodotto dalla controllata paraguaiana e (b) beneficiare dell’esclusione parziale del 95 per cento dei dividendi percepiti, ancorché “provenienti” da un Paese a fiscalità privilegiata in base al nominal tax rate test[2].
2. La prova della c.d. seconda esimente ai fini della normativa CFC (art. 167) e ai fini dell’esclusione parziale per i dividendi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata (artt. 47 e 89)
Con riferimento alla prova della seconda esimente ai fini della disapplicazione della disciplina CFC, la Circolare n. 35/E/2016, nel solco della precedente Circolare 51/E/2010, riconoscendo che “l’esimente in esame può essere soddisfatta anche dimostrando che l’investimento non ha dato origine a un significativo risparmio d’imposta, valorizzando il carico fiscale complessivamente gravante sui redditi della CFC”, aveva introdotto una significativa semplificazione, ritenendo sufficiente “la dimostrazione dell’esimente presuppone che il tax rate effettivo estero [vale a dire il rapporto tra la somma delle imposte versato dalla controllata sui redditi prodotti, a prescindere dallo Stato di imposizione, e l’utile ante imposte, n.d.r.] venga preliminarmente confrontato con l’aliquota nominale italiana, data dalla sommatoria dell’aliquota IRES e dell’aliquota ordinaria IRAP. Se il tax rate estero risulta superiore al 50 per cento dell’aliquota nominale italiana, così determinata, l’esimente si considera dimostrata”.
Nel caso di specie, la dimostrazione del superamento di siffatto criterio “ibrido” che prevede un confronto tra tassazione effettiva estera e tassazione nominale italiana ha consentito d’integrare la seconda esimente e, quindi, di disapplicare la normativa CFC sui redditi prodotti dalla controllata paraguaiana.
Il discorso si complica, tuttavia, con riferimento alla prova della seconda esimente al fine di beneficiare dell’esclusione parziale pari al 95 per cento dei dividendi percepiti, prevista dagli artt. 47 e 89 del Testo Unico. Entrambe le disposizioni, infatti, subordinano l’applicabilità dell’esclusione parziale alla circostanza che il fatto costitutivo dell’esimente, cioè il mancato conseguimento dell’effetto di localizzare i redditi prodotti dalla controllata in Stati a fiscalità privilegiata, abbia luogo “sin dall’inizio del periodo di possesso”.
3. Stratificazione dei criteri d’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata e problemi di diritto intertemporale
Gli artt. 47, comma 4 (per i soci soggetti passivi Irpef), e 89, comma 3 (per i soci soggetti passivi Ires), del Testo Unico, ‒ tanto nella versione vigente pro tempore, quanto in quella in vigore dal 2019 ‒ richiedono, per poter beneficiare dell’esclusione parziale dei dividendi di provenienza da Paesi a fiscalità privilegiata, la dimostrazione della c.d. seconda esimente a partire dal primo periodo d’imposta in cui la partecipazione è posseduta dal socio italiano, vale a dire per ogni singolo periodo d’imposta a partire dal periodo di costituzione della società o di acquisto della partecipazione fino al periodo di maturazione del reddito distribuito.
A partire dal 2015, l’evoluzione legislativa internazionale e domestica in tema di contrasto alle pratiche di evasione ed elusione internazionali ha determinato una successione dei criteri applicabili per la qualificazione di Paese a fiscalità privilegiata, la quale ha posto significativi problemi di diritto intertemporale. Se fino al 2015 il criterio era rappresentato dall’inclusione del Paese di stabilimento della partecipata nell’elenco di cui al d.m. 21 novembre 2001, a partire dal 2016 il criterio da “fisso” è definitivamente mutato in “mobile”, richiedendo l’esperimento del c.d. nominal tax rate test. A partire dal 2019, poi, il quadro è ulteriormente complicato, posto che il nuovo art. 47-bis, del Testo Unico, (al quale le attuali versioni degli artt. 47 e 89 rinviano) dispone, in sintesi, l’effective tax rate test laddove la partecipazione sia di controllo, circoscrivendo il nominal tax rate test alle ipotesi di partecipazione non di controllo.
3.1 Gli utili pregressi
Il passaggio del criterio fondamentale da “fisso” (d.m. 21 novembre 2001) a “mobile” (nominal o effective tax rate test) ha sollevato il dubbio circa quale criterio applicare nell’ipotesi di distribuzione di utili pregressi, qualora il criterio applicabile nel momento in cui il dividendo viene percepito sia diverso rispetto al criterio applicabile nel periodo precedente in cui il reddito è stato prodotto.
L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 35/E/2016, par. 3.3.1., era intervenuta affermando che “al fine di stabilire se i dividendi provengano o meno da un paradiso fiscale, assume rilevanza il criterio vigente al momento della loro percezione, perché è in tale momento che si verifica il presupposto impositivo in capo al soggetto residente […] in altri termini, ai fini del riconoscimento del parziale concorso al reddito, è necessario che i dividendi siano distribuiti da una partecipata estera che, sulla base del criterio vigente al momento della percezione degli stessi, non si possa considerare localizzata in un paradiso fiscale e tale criterio deve essere soddisfatto anche rispetto all’esercizio di maturazione dell’utile oggetto di distribuzione”.
A temperare l’assetto scaturente dalla posizione interpretativa assunta dall’Agenzia, è intervenuto il legislatore con una norma di favor, l’art. 1, comma 1007, legge n. 205/2017 (Legge di stabilità per il 2018), dalla struttura bipartita:
– La prima parte della norma si applica agli utili maturati fino al 2014 e percepiti a partire dal 2015 in poi.
In tal caso occorre verificare se la società partecipata era, nel periodo di maturazione degli utili, residente in un Paese incluso nella black list di cui al d.m. 21 novembre 2001.
Se non lo era, l’utile, nell’anno in cui è oggetto di distribuzione alla società italiana, non si considera proveniente da Paese a fiscalità privilegiata e beneficia pertanto dell’esclusione parziale. E ciò a prescindere dallo status della società estera secondo le (nuove) regole applicabili al momento della percezione del dividendo da parte della società italiana.
– La seconda parte della norma si applica agli utili maturati a partire dal 2015.
Qualora:
- con riferimento al periodo d’imposta di “maturazione” del dividendo, la società estera risulta “a regime fiscale privilegiato” secondo i criteri in vigore al momento della percezione; ma
- nel periodo d’imposta di “maturazione” del dividendo, la società estera non era “a regime fiscale privilegiato” secondo le regole applicabili pro tempore (cioè le varie versioni succedutesi negli anni dell’art. 167, comma 4),
allora i dividendi distribuiti beneficiano comunque dell’esclusione del 95%.
La norma stabilisce una regola di favor che supera le indicazioni fornite dalla Circolare n. 35/E/2016, stabilendo che, in presenza di utili pregressi, vale il criterio più favorevole (lex mitior) tra quello temporalmente applicabile al momento della percezione del dividendo e quello in vigore nel periodo di maturazione degli utili[3].
3.2 La prova della seconda esimente sin dal primo periodo di possesso
Con riferimento all’applicazione intertemporale dei criteri d’individuazione dei Paesi a fiscalità privilegiata e alla previsione secondo la quale, ai fini dell’esclusione parziale anche per i dividendi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata, la seconda esimente vada provata a partire dal primo periodo di possesso della partecipazione, la Circolare n. 35/E/2016 ha affermato che “la retroattività della dimostrazione non incide sui criteri da prendere in considerazione per valutare la mancanza di intenti ed effetti elusivi sin dall’inizio del periodo di possesso della partecipazione. Infatti, il mutato orientamento del legislatore nel valutare il disvalore dei regimi fiscali privilegiati implica necessariamente un aggiornamento della seconda circostanza esimente alle valutazioni attuali. Ciò significa che la verifica della congruità del carico fiscale complessivamente gravante sugli utili distribuiti deve retroagire, utilizzando i medesimi criteri, per ciascun anno, fino ad arrivare al primo esercizio di possesso della partecipazione”.
Tale precisazione va letta a mente del nuovo criterio per la prova della seconda esimente applicabile a partire dal 2015, enucleato dalla medesima Circolare. Ebbene, nell’ipotesi in cui il dividendo percepito dovesse qualificarsi come proveniente da Paese a fiscalità privilegiata e il socio italiano intendesse dare prova della seconda esimente al fine di beneficiare comunque dell’esclusione del 95%, occorrerebbe applicare siffatto criterio “ibrido” (onere fiscale effettivo estero v. aliquota nominale italiana) per ciascun anno, fino ad arrivare al primo esercizio di possesso della partecipazione.
4. La Risposta n. 254/E/2019 rappresenta un revirement?
Quella appena sopra descritta rappresenta la situazione in cui versava il socio italiano istante della Risposta. Atteso che i dividendi percepiti nel 2018 risultavano provenienti da Paese a fiscalità privilegiata (la partecipata aveva fallito il nominal tax rate test), l’istante, trovandosi a dover dimostrare la ricorrenza della seconda esimente sin dal primo periodo di possesso, proponeva che l’inizio di tale periodo “vada riferito al 2016, in quanto, fino al 2015, lo Stato Estero [il Paraguay, n.d.r.] non figurava nella black list”.
Prendendo le mosse dalle indicazioni fornite nella Circolare n. 35/E/2016 ci si sarebbe aspettati un rigetto da parte dell’Agenzia interpellata, in quanto tendenzialmente in contrasto con le indicazioni fornite dalla stessa.
Sorprendentemente, invece, l’Agenzia accoglie la soluzione proposta dall’istante, rifacendosi a un passaggio della relazione illustrativa al d.lgs. n. 142 del 2018, ove si afferma che la verifica della condizione della congruità del carico fiscale complessivo “deve essere dimostrata con riferimento ai soli periodi di imposta per i quali gli utili si considerano provenienti da regimi fiscali privilegiati”.
A prescindere dal fatto che ‒ come pare implicitamente dedursi dalla Risposta ‒ il caso attiene a dividendi percepiti nel 2018 e da dichiarare con Modello Redditi 2019 e, pertanto, il d.lgs. n. 142 del 2018, efficace con riferimento ai dividendi percepiti a partire dal 2019, non sarebbe applicabile al caso di specie, colpisce la portata interpretativa che l’Agenzia delle entrate ha attributo al passaggio della relazione illustrativa in esame.
A una prima lettura, la relazione illustrativa parrebbe limitarsi a una considerazione meramente riepilogativa che non si lega ad alcuna specifica modifica introdotta dal decreto, salva la diversa collocazione topografica della (ex) seconda esimente sub art. 47, comma 2, lettera b). La relazione illustrativa parrebbe riduttivamente voler ricordare che il presupposto di applicazione dell’esimente è la qualifica dei dividendi percepiti come provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata[4].
In modo invero sorprendente, l’Agenzia delle entrate ha invece attribuito al passaggio de quo della reazione illustrativa una valenza interpretativa tale da giustificare un’interpretazione marcatamente favorevole al contribuente, ma del tutto discordante rispetto alle indicazioni di prassi rese nella Circolare n. 35/E/2016. Se quanto affermato nella Risposta dovesse rappresentare un mutamento della linea interpretativa dell’Agenzia delle entrate, si avrebbe che, nei casi in cui la partecipata risulti localizzata in un Paese non incluso nella black list ministeriale, la verifica della (ex) seconda esimente non andrebbe provata sin dal primo periodo di possesso ‒ come la lettera degli artt. 47, comma 4, e 89, comma 3, espressamente richiede ‒ bensì soltanto dal primo periodo d’imposta in cui il criterio “fisso” della black list cede il passo a criteri di natura “mobile”, vale a dire a partire dal 2016.
Un tale esito ‒ di per sé da accogliere favorevolmente, posto che il mutamento opererebbe pro contribuente ‒ sembra stridere, tuttavia, con il tenore letterale delle disposizioni di legge applicabili. Volendo tentare un impervio paragone con la disciplina in tema di utili pregressi, si nota che, per temperare un’interpretazione amministrativa rigida benché aderente all’impianto normativo, si è reso necessario un intervento del legislatore con l’introduzione di un’espressa disciplina di favor.
Se, quindi, la conclusione raggiunta dall’Agenzia andrebbe in astratto salutata con favore, posto che alleggerirebbe per i contribuenti l’onere della prova della (ex) seconda esimente nel caso di dividendi provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata, qualche perplessità sorge in merito alla sua fondatezza interpretativa, al punto che pare lecito chiedersi se la Risposta rappresenti davvero un revirement rispetto alla Circolare n. 35/E/2016, sul quale contribuenti e operatori possano riporre un sicuro affidamento.
[1] Per effetto delle modifiche normative introdotte dal d.lgs. n. 142 del 2018, il criterio del nominal tax rate è stato espunto dal testo dell’art. 167 del Testo Unico e, pertanto, non è più applicabile ai fini della normativa CFC, ove il presupposto è rappresentato dal controllo della società estera. Un residuo ambito di rilevanza per il criterio della tassazione nominale viene garantito dal “nuovo” art. 47-bis, comma 1, lettera b), del Testo Unico, nei casi in cui la partecipazione detenuta non integri un rapporto di controllo. Tale scelta legislativa si giustifica con una maggiore semplicità di applicazione del criterio in esame rispetto al c.d. effective tax rate test, distinguendo apprezzabilmente la posizione di socio di minoranza da quella di socio controllante. L’art. 47-bis, comma 1, lettera b), del Testo Unico, trova applicazione in tema di tassazione dei dividendi di fonte estera derivanti da partecipazioni non di controllo (richiamato dagli artt. 47, comma 4, e 89, comma 3, del Testo Unico) e in tema di applicabilità dell’esenzione Pex per le plusvalenze relative a partecipazioni non di controllo, ai sensi dell’art 87, comma 1, lettera c), del Testo Unico.
[2] Qualora l’istante, socio controllante persona fisica, si fosse limitato a fornire la prova della sola c.d. prima esimente (svolgimento di “un’effettiva attività industriale o commerciale, come […]principale attività, nel mercato dello Stato o territorio di insediamento”, nella versione pro tempore vigente; svolgimento di “un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali”, secondo la formulazione attualmente vigente) le conseguenze sarebbero state meno favorevoli. L’istante, infatti, ai sensi dell’art. 47, comma 4, del Testo Unico, non avrebbe beneficiato dell’esclusione parziale del dividendo percepito, ma soltanto del riconoscimento di un credito d’imposta, ai sensi dell’articolo 165, “in ragione delle imposte assolte dalla società partecipata sugli utili maturati durante il periodo di possesso della partecipazione, in proporzione degli utili conseguiti e nei limiti dell’imposta italiana relativa a tali utili”.
Qualora, invece, l’istante avesse rivestito la qualifica di soggetto passivo dell’Ires, avrebbe potuto beneficiare, in aggiunta rispetto al credito per le imposte estere della partecipata, anche di una esclusione parziale, non già pari al 95 per cento, ma limitata al 50 per cento del dividendo percepito.
Come chiarito dalla Circolare 28/E/2006, l’irrilevanza della prima esimente ai fini della tassazione dei dividendi esteri “trova giustificazione ove si consideri che il regime di parziale concorso alla formazione del reddito previsto per gli utili societari non costituisce un’agevolazione, bensì il rimedio contro la doppia imposizione degli utili medesimi, riservato alle sole ipotesi in cui essa può prodursi”.
[3] Recependo la novella legislativa, l’Agenzia delle entrate, con il Principio di diritto n. 17/E/2019, ha poi avuto cura d’intervenire al fine di evitare che la finalità della norma, che è agevolativa, risulti frustrata. Quando la situazione è invertita (cioè: il dividendo risulta proveniente da Paese a fiscalità privilegiata secondo il criterio in vigore nel periodo di maturazione degli utili, ma non lo è più secondo i criteri applicabili oggi, al momento della percezione da parte del socio italiano), allora resta applicabile il criterio della Circolare (prevalenza del criterio in vigore al momento della percezione). In altre parole, in tale ultimo caso, valgono comunque ‒ se più favorevoli e tali da permettere al dividendo di beneficiare dell’esclusione parziale ‒ i criteri in vigore oggi.
[4] In questo senso, il passaggio potrebbe essere letto come un implicito (e quasi criptico) richiamo alla novella della legge n. 205/2017 in tema di utili pregressi, intendendo significare che, in presenza di una distribuzione di dividendi stratificati in più periodi d’imposta, occorre applicare l’esimente ai soli importi qualificati come provenienti da Paesi a fiscalità privilegiata. Sul punto, F. Nicolosi, “Dividendi e plusvalenze black list dopo il Decreto ATAD: questioni aperte”, in Corr Trib., n. 8-9/2019, 773-774.