Con Ordinanza n. 6797 del 7 marzo 2023, la Cassazione si è espressa in merito alla valutazione delle cause dell’inerzia con riferimento all’ammissibilità della domanda ultratardiva al passivo fallimentare.
Il comma finale dell’articolo 101 della legge fallimentare riguardante la domanda di ammissione ultratardiva dei crediti al passivo deve essere interpretato nel senso che i creditori devono dimostrare non solo la causa esterna che ha impedito loro di agire tempestivamente o entro il termine previsto dalla legge, ma anche la causa esterna che ha causato l’inerzia tra il momento in cui l’ostacolo è stato rimosso e la presentazione della richiesta di ammissione al passivo.
Inoltre, deve essere escluso che la richiesta possa essere presentata entro lo stesso termine (dodici mesi) anche se l’ostacolo è stato rimosso. Il creditore deve agire in modo ragionevolmente contenuto e nel rispetto del principio di durata ragionevole del procedimento. In altre parole, il creditore deve dimostrare di aver agito tempestivamente non appena possibile, dopo la rimozione dell’ostacolo, in modo che il procedimento fallimentare possa essere condotto in modo efficiente e tempestivo
Spetta dunque al creditore ultratardivo (che non ha assolto al relativo onere) dimostrare la non imputabilità del ritardo – per la presenza di un fattore estraneo alla sua volontà, insuperabile con l’ordinaria diligenza (e usualmente ricondotto alle categorie del caso fortuito e della forza maggiore) tale da integrare un’impossibilità assoluta, non già relativa, né tantomeno una mera difficoltà, che abbia inciso sulla eziologia dell’evento – anche con riferimento alla sua diligente riattivazione (intesa come “immediatezza della reazione”) al cessare della causa ostativa.
Al riguardo non può soccorrere (in quanto inapplicabile ratione temporis) l’art. 208 d.lgs. n. 14 del 2019, che, recependo le istanze di accelerazione e certezza del diritto in materia di accertamento del passivo fallimentare, non solo ha disposto che le domande tardive possono essere presentate entro il termine di sei (e non più dodici) mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (termine che la sentenza di fallimento può prorogare fino a dodici, e non più diciotto, mesi, in caso di particolare complessità della procedura), ma anche previsto espressamente che la domanda ultratardiva debba essere trasmessa al curatore «non oltre sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ne ha impedito il deposito tempestivo».
Pur non potendo applicarsi il breve termine di decadenza fissato nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza (sessanta giorni dalla cessazione dell’impedimento), nessuna giustificazione risulta fornita, nei sensi sopra indicati, circa il ritardo di ben otto mesi nella presentazione della domanda ultratardiva in esame, in relazione al tempo ragionevolmente necessario per valutare l’opportunità di proporla e poi per formularla.
Sul punto il concetto di “immediatezza della reazione” va interpretato come necessità che la parte si attivi in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento, in coerenza con i principi già affermati in altri settori, come per la rimessione in termini, in relazione alla quale la parte deve attivarsi «con immediatezza» o «senza ritardo» o «entro un termine ragionevole.
La mancata allegazione e prova della non imputabilità del ritardo di (quantomeno) otto mesi nella presentazione della domanda ultratardiva giustifica quindi la declaratoria di inammissibilità resa con la pronuncia impugnata.