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Attualità

Domande ultratardive: imputabilità del ritardo e termine ragionevole per l’insinuazione

12 Maggio 2023

Luciana Cipolla, Partner, La Scala Società tra Avvocati

Lodovico Dell’Oro, Associate, La Scala Società tra Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza il tema delle domande c.d. ultratardive, soffermandosi in particolare sui due profili connessi a quali siano le cause imputabili del ritardo ed a quale sia il termine “ragionevole” entro il quale la domanda deve essere presentata, ripercorrendo i più recenti orientamenti ed analizzandone le conseguenze concrete per i creditori.


1. Introduzione: le domande ultratardive

A seguito dell’entrata in vigore del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza torna di grande attualità il tema delle domande di ammissione al passivo c.d. ultratardive.

Già nel vigore della legge fallimentare si sono registrate numerose teorie giurisprudenziali e dottrinali sull’ammissibilità o meno delle domande ultratardive.

Negli ultimi mesi, poi, la Cassazione ha avuto più volte modo di esprimersi in merito a dette insinuazioni, mutando anche il proprio orientamento rispetto al passato.

Due sono, in particolare, i punti focali su cui si è concentrato il dibattito: quali siano le cause imputabili del ritardo e quale sia il termine “ragionevole” entro il quale la domanda deve essere presentata.

Il presente contributo si pone l’obiettivo di ripercorrere i più recenti orientamenti sviluppatisi su detti temi, analizzandone le conseguenze concrete per i creditori.

Infatti, risulta spesso complicato per il ceto creditorio comprendere quando le cause del ritardo siano ad esso imputabili e quando invece il ritardo sia incolpevole, e, in seconda battuta, capire entro quale termine ci si debba attivare per la redazione dell’insinuazione al passivo.

In conclusione, l’articolo volgerà uno sguardo al possibile futuro delle domande ultratardive, in applicazione delle novità introdotte dal Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza.

Ciò premesso, prima di entrare nel vivo dei temi che tratteremo, occorre richiamare brevemente la disciplina delle domande di ammissione al passivo, sulla base di quanto disposto dalla legge fallimentare (artt. 93 e 101 l.f.).

Come noto, vi sono tre diverse categorie di insinuazione:

  • tempestive: trasmesse almeno trenta giorni anteriormente alla prima udienza fissata per l’esame dello stato passivo;
  • tardive: trasmesse oltre il termine di trenta giorni prima dell’udienza fissata per la verifica del passivo e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo;
  • ultratardive: trasmesse oltre il termine di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo

Queste ultime sono ammissibili fino a quando non siano esaurite tutte le ripartizioni dell’attivo fallimentare.

Ciò a patto che il creditore provi che il ritardo sia dipeso da causa a lui non imputabile.

Vi è, dunque, una presunzione di inammissibilità della domanda che spetta al creditore superare, dimostrando che, nel caso specifico, il ritardo sia dipeso da causa non imputabile.

Inoltre, la legge prevede solamente un termine finale oltre il quale non è più possibile presentare la domanda, mentre non viene dettato alcun termine di decadenza entro il quale, una volta venuto tardivamente a conoscenza della procedura fallimentare, il creditore deve depositare la domanda.

2. Imputabilità o meno del ritardo

Ciò premesso, occorre esaminare quali siano i fatti tipici, riconducibili alla più ampia categoria del caso fortuito e della forza maggiore, che causano il ritardo nella presentazione della domanda di ammissione al passivo e quali tra essi possano essere imputabili ai creditori.

Da sempre, la classica causa di inerzia nella predisposizione dell’insinuazione resta il mancato invio, da parte del Curatore, della comunicazione di apertura del fallimento ex art. 92 l.f.

In questo caso, è pacifico in giurisprudenza (cfr. Cass. 19 giugno 2018, n. 16103; Cass. 13 novembre 2015, n. 23302; Cass. 10 settembre 2013, n. 20686) il principio per cui il mancato avviso al creditore da parte del Curatore , integri un ritardo non imputabile ai fini dell’ammissibilità dell’istanza di insinuazione ultratardiva del credito.

Non vi è, infatti, in capo ai creditori uno specifico onere di informarsi sul fatto che il proprio debitore sia eventualmente fallito, essendo affidato al Curatore il compito di avvisare tutti i creditori dell’apertura della procedura concorsuale.

Resta, tuttavia, in ogni caso, salva la possibilità per la Curatela di provare, ai fini dell’inammissibilità della domanda medesima, che il creditore abbia avuto notizia aliunde dell’avvenuto fallimento, in via indipendente cioè dal fatto dell’eventuale ricezione dell’avviso in questione.

L’omissione dell’avviso di cui all’art. 92 l.f. comporta, dunque, la presunzione, fino a prova contraria da parte del Curatore, di non conoscenza della pendenza del fallimento in capo al creditore.

La prova della conoscenza aliunde è regimentata, secondo l’interpretazione sostenuta dalla Suprema Corte, perché può essere fondata sulla produzione di documenti o sulla allegazione di fatti processuali che diano dimostrazione di una situazione equipollente alla ricezione dell’avviso e che dimostrino, dunque, in modo certo la conoscenza dell’aperto fallimento, realizzando così il risultato pratico cui l’avviso era finalizzato (Cass. 8 luglio 2022, n. 21760).

Ma in quale modo i Curatori cercano di provare la conoscenza effettiva della procedura concorsuale?

Alcuni tentativi sono stati effettuati con la pubblicazione della sentenza di fallimento presso il Registro delle Imprese, in Gazzetta Ufficiale o la trascrizione nei registri immobiliari.

Secondo la più recente giurisprudenza della Suprema Corte già citata (Cass. 8 luglio 2022, n. 21760): “l’accertamento del giudice del merito deve avere ad oggetto la conoscenza effettiva (e non già la conoscenza di mero fatto, nè, tantomeno, l’astratta conoscibilità) dell’emissione della sentenza dichiarativa del fallimento – o dell’insolvenza – della debitrice da parte del destinatario, nonché della data del suo conseguimento, ovvero una conoscenza assimilabile a quella, legale, che sarebbe stata garantita dal rispetto della forma prevista dalla L. Fall., art. 92, comma 1, e D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 22. […] Questa Corte ha già ritenute inidonee a provare l’imputabilità del ritardo al creditore che, non avendo ricevuto l’avviso, depositi la domanda di ammissione oltre il termine di cui alla L. Fall., art. 101, comma 1, l’annotazione della sentenza di fallimento nel registro delle imprese, ex art. 17 della legge (Cass. n. 4310/2012) o la sola pubblicazione in Gazzetta ufficiale dell’apertura della liquidazione coatta amministrativa (Cass. n. 26396/2021), ancorché si tratti di forme di pubblicità-notizia che integrano, ad altri effetti, una presunzione di conoscenza legale della sentenza dichiarativa nei confronti di soggetti diversi dai creditori concorsuali; va dunque a maggior ragione escluso che, nel caso di omesso invio dell’avviso, l’onere del curatore o del commissario di provare che il creditore ha avuto notizia certa e tempestiva dell’apertura della procedura possa essere assolto mediante il ricorso al “notorio”, cui difetta qualsivoglia connotazione di prova documentale o legale.”.

Pertanto, il ritardo non è imputabile al creditore né quando la sentenza di fallimento viene pubblicata presso il Registro delle Imprese o in Gazzetta Ufficiale, né quando la procedura ha avuto ampio risalto mediatico, su giornali e telegiornali, garantendo tali fatti una mera conoscibilità in astratto e non una conoscenza effettiva.

Anche la trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento nei registri immobiliari, in particolare sul bene costituito in garanzia dalla fallita, non integra l’onere della prova della conoscenza aliunde secondo un recentissimo decreto del Tribunale di Monza (decreto n. 269/2023 del 3 febbraio 2023) che ha accolto il ricorso in opposizione allo stato passivo proposto da una Banca che depositava domanda ultratardiva. Secondo il Tribunale “infatti le trascrizioni delle sentenze, revocatoria e dichiarativa di fallimento, nei registri immobiliari costituiscono forme di pubblicità dichiarativa o notizia, integranti una presunzione di conoscenza legale del fallimento ad altri effetti e nei confronti di soggetti diversi dai creditori concorsuali. Da tali trascrizioni si può presumere soltanto un’astratta conoscibilità dell’apertura della procedura in capo alla creditrice.”.

Ancora più di recente, è stata sottoposta al vaglio della Cassazione la rilevanza dell’evento informativo costituito, nell’ambito del procedimento di esecuzione immobiliare pendente a carico del debitore poi fallito, dall’atto di precisazione del credito della Curatela versato con modalità telematiche, e quindi visibile, ma non specificamente comunicato, a tutte le parti del procedimento.

Con ordinanza interlocutoria n. 6353 del 2 marzo 2023 la Suprema Corte ha, infatti, disposto la trattazione in pubblica udienza della questione di rilievo nomofilattico.

In attesa del pronunciamento della Cassazione, si evidenzia come il deposito della precisazione del credito del Fallimento in sede esecutiva non generi alcun tipo di comunicazione o biglietto di cancelleria destinato alle parti.

È noto, infatti, che, nell’ambito di un giudizio, si possa avere conoscenza degli atti compiuti da un soggetto terzo, non costituito, solo qualora quest’atto venga compiuto in udienza – ed in tal caso la parte ne viene a conoscenza immediatamente – oppure, mediante deposito dell’atto in cancelleria – ed in tale secondo caso il destinatario ne viene a conoscenza solamente nel momento in cui il Cancelliere effettua la relativa comunicazione.

3. Termine “ragionevole” per l’insinuazione al passivo

Una volta venuta meno la causa non imputabile, entro quale termine il creditore deve provvedere all’invio della domanda di ammissione?

L’individuazione di un termine che sia “ragionevole” ha da anni visto sostenere le più svariate tesi da parte degli interpreti.

In prima battuta, veniva individuato un lasso temporale, necessario per valutare il deposito dell’istanza, di almeno 90 giorni, in conformità con quello che la legge individua come tempo sufficiente per la predisposizione di un’istanza tempestiva di ammissione al passivo.

Successivamente, si affermava un orientamento che riteneva non «possibile indicare in astratto quale sia il tempo necessario per la valutazione e la presentazione, di cui si è appena detto, da parte del creditore. È questo, infatti, un apprezzamento che non può effettuarsi se non in concreto, in base alle particolarità di ciascun caso, secondo un criterio di ragionevolezza la cui applicazione è rimessa al giudice (in tal senso va dunque rettificata la motivazione in diritto del decreto impugnato, che indica in astratto il termine di novanta giorni)» (cfr. Cass. 24 novembre 2015, n. 23975).

È poi emersa una tesi diversa, secondo cui, in mancanza della fissazione legislativa di un termine, si dovrebbe individuare per i crediti sopravvenuti una disciplina che può essere «ricavata in via sistematica, con riguardo ai principi generali dell’ordinamento e facendo perno, in particolare, sui richiamati principi costituzionali dell’art. 3 Cast., e dell’art. 24 Cost.».

In tale sentenza si afferma: «Per portare i crediti sopravvenuti a una posizione adeguatamente accostabile a quella degli altri creditori, si deve affermare pertanto un termine annuale per la presentazione delle relative domande. Questo termine verrà a decorrere – in tutti i casi in cui il credito abbia maturato le condizioni di partecipazione al passivo dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo – dal momento stesso in cui si siano verificate le dette condizioni» (Cass. 10 luglio 2019, n. 18544, poi ripresa da Cass. 17 febbraio 2020, n. 3872, Cass., 13 maggio 2021, n. 12735 e Cass. 18 febbraio 2022, n. 5444).

Si riteneva, pertanto, applicabile in via analogica alle domande ultratardive, una volta cessata la causa del ritardo, il termine annuale previsto dalla legge fallimentare per le domande tardive.

Tuttavia, solamente pochi mesi dopo emergeva un nuovo orientamento (sancito da Cass 5 aprile 2022, n. 11000), al momento prevalente, il quale non prende a riferimento un termine specifico, ma un termine “ragionevole”, da individuarsi caso per caso.

In ogni caso, viene ora richiesto al creditore di attivarsi, quanto prima, al cessare della causa ostativa e cioè in un termine ragionevolmente contenuto, necessario per valutare l’opportunità di proporre l’istanza e rispettoso del principio della durata ragionevole del procedimento.

Prova ne è la ancor più recente pronuncia della Suprema Corte che ha ritenuto eccessivo il ritardo di otto mesi per il deposito della domanda ultratardiva.

È stato, infatti, affermato che: “Pur non potendo applicarsi il breve termine di decadenza fissato nel nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza (sessanta giorni dalla cessazione dell’impedimento), nessuna giustificazione risulta fornita, nei sensi sopra indicati, circa il ritardo di ben otto mesi nella presentazione della domanda ultratardiva in esame, in relazione al tempo ragionevolmente necessario per valutare l’opportunità di proporla e poi per formularla.” (cfr. Cass. 7 marzo 2023, n. 6797).

Ebbene, attualmente, nel regime della legge fallimentare, per l’ammissibilità delle domande ultratardive, sessanta giorni sono ritenuti pochi, mentre otto mesi sono ritenuti eccessivi.

I creditori ultratardivi dovrebbero prenderne buona nota e provvedere senza indugio alla redazione e all’invio della propria domanda di ammissione.

4. Codice della Crisi e prospettive future sulle domande ultratardive

A conclusione di questa panoramica sulle insinuazioni ultratardive, si ritiene utile dare uno sguardo alla disciplina contenuta nel Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, ormai in vigore da diversi mesi. Naturalmente è possibile, al momento, concentrarsi unicamente sulla teoria, in attesa dei primi provvedimenti della giurisprudenza sulle domande ultratardive.

Come noto, nei prossimi anni assisteremo alla compresenza di procedure regolate dalla legge fallimentare e procedure regolate dal CCII.

L’art. 208 CCII, che ha in parte stravolto l’art. 101 l.f., dispone che il termine ultimo per la proposizione delle domande tardive è di sei mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo (prorogabile fino a dodici mesi in caso di peculiare complessità della procedura), dimezzando le tempistiche rispetto al passato, in ottica di evidente accelerazione del procedimento concorsuale.

Inoltre, sempre all’art. 208 CCII vengono dettate legislativamente le condizioni di ammissibilità delle domande ultratardive, ossia presentate oltre il termine di sei mesi dal decreto di esecutività dello stato passivo.

L’ultratardiva “è ammissibile solo se l’istante prova che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile e se trasmette la domanda al curatore non oltre sessanta giorni dal momento in cui è cessata la causa che ne ha impedito il deposito tempestivo”.

Ebbene, il Legislatore, superando le teorie formatesi negli ultimi anni sul tema, ha fissato in sessanta giorni il termine “ragionevole” per la presentazione della domanda ultratardiva.

Inoltre, è stata anche introdotta la possibilità, per il Giudice Delegato, di dichiarare con decreto l’inammissibilità della domanda, senza formazione del contraddittorio, qualora il creditore non abbia indicato le circostanze da cui il ritardo dipenda, non abbia offerto prova documentale o non abbia indicato i mezzi di prova di cui intende valersi per dimostrarne la non imputabilità.

Si fanno, dunque, più stringenti le condizioni di ammissibilità delle domande ultratardive: non solo i creditori istanti dovranno attivarsi entro sessanta giorni, ma dovranno anche comprovare documentalmente la causa del proprio ritardo non imputabile.

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