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Giurisprudenza

Dovute le somme al Fisco se il contribuente non impugna tempestivamente il provvedimento di rimborso parziale

30 Aprile 2015

Stefano Loconte, Professore a contratto di Diritto Tributario e Diritto dei Trust, Università degli Studi LUM “Jean Monnet” di Casamassima, Gabriella Antonaci, Avvocato, Loconte & Partners

Cassazione Civile, Sez. V, 22 aprile 2015, n. 8195

Di cosa si parla in questo articolo

In materia di contenzioso tributario, il provvedimento mediante il quale l’Amministrazione Finanziaria, a fronte di una richiesta di rimborso d’imposta, si limiti ad evadere solo parzialmente la domanda, è impugnabile ai sensi degli artt. 19 e 21 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto trattasi di provvedimento che, per la parte relativa all’importo non rimborsato, è da considerarsi come atto di rigetto, seppur implicito, della richiesta di rimborso originariamente presentata dal contribuente.

La mancata impugnazione di detto provvedimento nei termini di legge cristallizza la pretesa erariale relativamente alla parte non erogata a rimborso.

Queste le conclusioni cui giunge la Corte di Cassazione nella sentenza 22 aprile 2015, n. 8195.

La controversia trae origine da un’istanza di rimborso presentata da una società per azioni per un credito Irpeg di importo rilevante esposto in dichiarazione relativo all’anno 1990, a fronte del quale l’Agenzia delle Entrate aveva notificato al contribuente un provvedimento di rimborso parziale della somma richiesta.

Il contribuente, anzichè presentare ricorso nei sessanta giorni successivi alla notifica di tale provvedimento, avverso il tacito rigetto degli importi non liquidati, notificava all’Ufficio una seconda istanza di rimborso, per un importo esattamente pari a quello non rimborsato. In risposta a tale seconda istanza l’Agenzia delle Entrate notificava una comunicazione tramite la quale confermava la propria volontà di non procedere al rimborso della somma originariamente non liquidata. Solo in seguito alla notifica della seconda comunicazione la società presentava ricorso, che veniva accolto dai giudici di primo grado con sentenza confermata altresì in secondo grado.

Proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, deducendo il vizio di violazione di legge (nella specie gli artt. 8 e 10 l. [d.p.r.] n. 787 del 1980, 19 e 21 D. Lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per non avere erroneamente i giudici di secondo grado qualificato come diniego implicito parziale, e dunque, come atto impugnabile nel termine perentorio di sessanta giorni, il provvedimento di restituzione parziale della somma richiesta.

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, travolgendo in tal modo la decisione dei giudici di merito, fissando i seguenti principi di diritto: 1) il provvedimento di liquidazione parziale delle somme richieste emesso da parte dell’Amministrazione Finanziaria costituisce un atto implicito di rigetto; 2) tale provvedimento è paragonabile ad un silenzio – rifiuto e pertanto, pena la sua definitività, deve necessariamente essere impugnato con riferimento alla parte di credito non rimborsata, nel termine di sessanta giorni dalla sua notificazione; 3) non è invece, ammessa la seconda istanza di rimborso per il mancato accoglimento integrale della prima richiesta di restituzione delle somme che il cittadino asserisce di aver versato indebitamente; 4) parimenti, è inammissibile il ricorso presentato contro un ulteriore atto di diniego, opposto a fronte di una nuova domanda di rimborso, a meno che quest’ultimo diniego non contenga affermazioni nuove o condizioni diverse rispetto al primo. La Corte di Cassazione, riprendendo invero un principio di diritto già fatto proprio in passato (ex multis, Cass., 12336/2005; Cass., 14846/2008; Cass., n. 27438/2008 e Cass., 10783/2007) e, dunque, contribuendo a formare un orientamento ormai consolidato sul punto, sostiene che il secondo atto (la comunicazione emessa dall’Agenzia delle Entrate a fronte della nuova istanza di rimborso) “può ascriversi nel novero di quelli ricognitivi, avendo la P.A. esaurito l’esplicitazione della sua volontà quanto a pretesa impositiva già con il primo [atto],dunque assoggettabile a necessaria impugnazione”. In sintesi, l’unico atto avente natura provvedimentale e dunque impugnabile è il provvedimento parziale di rimborso. Non è impugnabile, invece, la seconda comunicazione dell’Agenzia delle Entrate, avente solo una natura confermativa della volontà dell’Amministrazione finanziaria di non provvedere alla liquidazione della parte originariamente non rimborsata.

La Corte ha infine rigettato l’eccezione della società in merito alla presunta violazione dell’art. 6, comma 2 dello Statuto dei diritti del contribuente, nella parte in cui prevede che l’Amministrazione debba informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza da cui possa derivare il mancato riconoscimento di un credito, atteso che il provvedimento di rimborso parziale, nel caso di specie, non conteneva alcuna motivazione integrativa con riferimento al mancato riconoscimento di una parte del credito chiesto a rimborso. La Corte ha rigettato tale eccezione, riconoscendo in primis la irretroattività delle norme procedurali dello statuto del Contribuente che, dunque, non possono applicarsi a fatti anteriori alla sua entrata in vigore, aggiungendo, altresì, che semmai tale eccezione si sarebbe potuta rilevare solo nell’ambito di un’impugnazione tempestiva del provvedimento formale di rimborso parziale, mentre la società aveva impugnato solo la successiva comunicazione, fornita dall’Agenzia delle Entrate in risposta alla seconda istanza di rimborso.

Di cosa si parla in questo articolo
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