Sommario: 1. Introduzione. – 2. La giurisprudenza rilevante. – 3. Le reazioni della dottrina. – 4. Brevi riflessioni teoriche. – 5. L’importanza del drafting contrattuale. – 6. Conclusioni.
1. Introduzione
Le clausole di trascinamento – note, insieme alle clausole di accodamento, anche come “clausole di co-vendita” – attribuiscono ad un socio il diritto di vendere anche la altrui partecipazione sociale, alle stesse condizioni, in primis di prezzo, a cui aliena la propria. In genere, il socio “trascinabile” ha la possibilità di sottrarsi agli effetti del trascinamento esercitando un diritto di prelazione, che tuttavia potrebbe non essere previsto o in concreto non esercitabile.
Ignorate dai teorici per lungo tempo, tali clausole hanno attratto l’attenzione di numerosi studiosi a seguito delle recenti prese di posizione delle corti.
Nel prosieguo, dopo aver operato una ricognizione della giurisprudenza rilevante e svolti alcuni cenni alle principali posizioni emerse in dottrina, si svolgeranno alcune riflessioni teoriche e, quindi, si sottolineeranno taluni dei molteplici profili da considerare in sede di redazione della clausola.
2. La giurisprudenza rilevante
Una ormai famigerata pronuncia del Tribunale di Milano del 2008, che era stato chiamato a decidere della validitá di una clausola di trascinamento, ebbe a stabilire che tali pattuizioni sono da dirsi valide solo a condizione che esse contemplino “adeguati meccanismi di valorizzazione della partecipazione forzatamente dismessa”[1]. A dire del giudice ambrosiano, infatti, la clausola sarebbe assimilabile – come già aveva ritenuto il notariato milanese[2] – ad una clausola di riscatto azionario. Di conseguenza, secondo i giudici, sarebbe necessario prevedere in contratto – in coerenza coi principi del diritto societario ricavabili dalla considerazione delle discipline in tema di riscatto azionario – che il prezzo di trascinamento in nessun caso possa essere inferiore a quello che è il controvalore delle azioni determinato in applicazione della disciplina in tema di determinazione del valore della partecipazione del socio recedente.
Pur concernendo la diversa questione dell’inserimento a maggioranza della clausola di trascinamento, altre due pronunce del Tribunale di Milano – rese, rispettivamente, nel 2011 e nel 2014[3] – hanno direttamente o indirettamente confermato l’impostazione della prima giurisprudenza: impostazione che, tuttavia, la dottrina aveva nel frattempo inutilmente tentato di confutare.
3. Le posizioni della dottrina
In base all’impostazione di un Autore, le clausole di trascinamento avrebbero potuto dirsi certamente assimilabili al riscatto in ragione «[de]lla forza con cui si impongono agli oblati»[4]. A fronte della previsione del diritto di trascinamento in favore di un socio, pertanto, «… ve[rrebbe] in rilievo un problema di equa valorizzazione delle azioni»[5] del socio titolare della partecipazione trascinabile, che però sarebbe superabile ove «… al socio forzato [sia] attribuito il diritto di esercitare la prelazione per sottrarsi alla soggezione di vendita». Il diritto di prelazione, inoltre, preverrebbe il rischio di una depressione del prezzo di trascinamento, in quanto il socio trascinato cui sia offerto un corrispettivo subottimale potrebbe difendersi comprando. A nulla rileverebbe, invece, il fatto che il socio trascinato possa in un determinato momento «non essere in condizione o … interessato ad esercitarla»[6]. Ciò peraltro non toglie che in ogni caso «… chi esercita una clausola di riscatto o di trascinamento deve farlo secondo correttezza e buona fede; in mancanza il trascinato potrebbe impedire l’acquisto forzoso, «sollevando l’eccezione di dolo ovvero … esigere il risarcimento del danno, che potrebbe al limite corrispondere alla differenza tra il prezzo effettivamente pagato e quello che corrisponde ad un’equa valorizzazione»[7]. In sintesi, in base a questa impostazione, (i) le clausole in discorso, pur assimilabili al riscatto, sarebbero certamente valide indipendentemente dalla previsione di speciali presidi; e (ii) il problema dell’equa valorizzazione sarebbe risolto dal diritto di prelazione, che produrrebbe effetti disciplinanti e al contempo rappresenterebbe un’utile strumento di autotutela, indipendentemente dalla circostanza che il socio trascinato non possa o non voglia in concreto esercitarlo.
Anche secondo un’altra dottrina, che pure equipara il drag along al riscatto, il drag-along sarebbe valido a prescindere dalla previsione del presidio imposto da notariato e giurisprudenza. I detti “meccanismi di equa valorizzazione” potrebbero trovare applicazione anche con riferimento alla clausola di trascinamento solo se si dimostrasse che la disciplina relativa alle azioni riscattabili richiami, sempre nei limiti della compatibilità (ex art. 2437-sexies c.c.) quella sul recesso nella sua imperatività. Il che, però, questa dottrina ritiene di dover escludere. A dimostrazione della tesi sostenuta, gli autori procedono ad una valutazione comparativa degli interessi in gioco nel drag along (quale species del genus riscatto) e nel recesso (cui la disciplina sul riscatto fa – come detto – rinvio). Al riguardo, rilevano che:
- ex ante (e cioè nel momento della conclusione del contratto), il socio di minoranza sarebbe affetto da distorsioni cognitive che non gli consentono di immaginare quale sia il modo in cui la maggioranza attuerà il contratto sociale e, pertanto, giustificano l’imposizione di una tutela eteronoma che invece non ha motivo di esistere nel caso del drag-along[8];
- ex post (dunque con riferimento al momento dell’esercizio del diritto), ritengono che il problema del prezzo (ie, del versamento al socio trascinato di un corrispettivo inferiore a quello determinato ai sensi della disciplina sul recesso) sia neutralizzato dal fatto che, siccome anche il socio trascinante aspira a conseguire il prezzo più alto, si assisterebbe ad un processo di formazione “mercantile” del prezzo.
Gli autori non mancano di evidenziare come il presidio volto ad assicurare al socio trascinato una equa valorizzazione sulla scorta della disciplina in tema di recesso non sarebbe invero necessario neppure nelle ipotesi in cui il socio trascinante potrebbe svendere o comunque vendere ad un prezzo subottimale. In particolare, tre sono i possibili scenari considerati:
- errore del socio trascinante che non determini accuratamente il valore della società (scenario considerato irreale perché con l’ausilio degli esperti si ovvia a questa possibile deficienza dei soci). In pratica, gli autori ritengono che il “self-help” renderebbe ogni presidio eteronomo inutile; e pertanto non affrontano il problema di verificare se il presidio sarebbe, ove il self-help in concreto non funzioni, comunque utile od auspicabile;
- “liquidity shock” della società, tale che il socio trascinante debba vendere a prezzo subottimale. In tal caso, il socio trascinato dovrebbe comunque accettare l’esito della transazione perché fa parte del “gioco societario”: come nel caso di aumento di capitale diluitivo il socio che non possa partecipare all’aumento deve accettare il sacrificio impostogli dall’esigenza di provvedere comunque all’aumento nell’interesse della società, così nel caso del drag along il socio trascinato il quale non possa “ri-finanziare” la società non potrebbe lamentare la subottimalità del corrispettivo ottenuto;
- “esercizio abusivo” del diritto di trascinamento, in particolare al fine di estrarre benefici collaterali (si pensi ad un side-payment, per esempio), che è scenario ritenuto possibile ma con riferimento al quale dovrebbe farsi luogo alla applicazione della disciplina in tema di buona fede e correttezza contrattuale[9].
In sintesi, in base a questa impostazione, drag along e riscatto, da un lato, e recesso, dall’altro, svolgerebbero funzioni diverse, di guisa che la disciplina applicabile al secondo non potrebbe trovare applicazione alla clausola di drag along e tradursi nella imposizione dei detti “meccanismi” sub poena nullitatis.
Infine, secondo la più autorevole delle impostazioni, la possibilità di dire l’art. 2437-ter, c.c. applicabile al drag along presuppone (i) che, in punto di disciplina, il richiamo dal riscatto al recesso sia imperativo; e (ii) che ancor prima, in punto di fatto, si abbia la possibilità di dire riscatto e drag along funzionalmente comparabili. Sennonché, pur dicendo i criteri di determinazione imperativi perché necessariamente sottratti alla maggioranza[10], il richiamo ad essi da parte della disciplina sul riscatto opererebbe solo con riferimento al riscatto statutario, avente cioè valenza organizzativa, perché destinato a rilevare «nella società»; ma non anche nel caso del riscatto che si pone sul piano dei meri rapporti interindividuali fra i soci, perché invece destinato a svolgere la sua funzione «sul mercato» delle partecipazioni sociali[11]. In questo secondo caso, infatti, la mancanza di un rilievo organizzativo del riscatto e, quindi, del drag along (che ad esso è assimilabile ove la relativa clausola sia formulata impersonalmente), implicherebbe l’inapplicabilità dei principi di diritto societario e – trattandosi di un mero contratto – la piena libertà dei contraenti in sede di determinazione del prezzo e la conseguente superfluità del presidio identificato dal notariato e dalla giurisprudenza. Presupposto di validità della clausola, secondo l’autore, sarebbe comunque la sua necessaria valenza parasociale. Ove inserita in statuto, infatti, la clausola di drag-along non potrebbe non avere rilievo organizzativo ed essere di conseguenza assoggettata ai principi ed alle regole dell’organizzazione societaria, tra cui il principio secondo cui al socio non possono essere imposti obblighi ulteriori rispetto a quello fondamentale di conferimento, con cui la clausola di drag-along sarebbe in contrasto[12].
4. Brevi riflessioni teoriche
Come si è visto, le posizioni della dottrina sono molto distanti da quelle della giurisprudenza: principale punto controverso è la necessità di “meccanismi” idonei ad evitare che il titolare del diritto di trascinamento possa obbligare il socio trascinato a disinvestire ad un prezzo inferiore a quello determinato ai sensi della disciplina in materia di recesso.
Nonostante le pur autorevoli prese di posizione in tal senso, la soluzione patrocinata dalla giurisprudenza e, prima ancora, dal notariato potrebbe forse avere qualche merito. È infatti innegabile che l’attribuzione di un diritto potestativo inevitabilmente porti seco il rischio del suo esercizio abusivo che il presidio dell’equa valorizzazione – delimitando inequivocabilmente l’ambito di discrezione del socio trascinante – potrebbe forse valere, invece, a neutralizzare ab initio. Tuttavia, occorre sottolineare come, in realtà, nella prassi le clausole di drag-along da sempre rechino, per autonoma scelta dei contraenti, criteri in base ai quali la società non può essere co-venduta per un prezzo complessivo inferiore ad un multiplo del suo valore fondamentale; e che, pertanto, generalmente non si pone mai il problema di assicurare al socio trascinato soltanto il conseguimento pro rata del valore fondamentale dell’impresa, ma anche una parte del “sovrapprezzo” che l’acquirente è disposto a pagare pur di conseguirne il controllo. Il che induce a dubitare della pratica utilità di un presidio del genere[13].
Indipendentemente dall’opinione che si abbia al riguardo, non si può però fare a meno di rilevare come la giurisprudenza sia stata poco chiara nel giustificare la propria scelta di elevare la carenza di tale presidio a condizione di nullità.
Si ritiene, infatti, che, ove pure una clausola di drag-along sia stata conformata in termini tali da risultare assente qualsiasi riferimento ai detti “meccanismi di equa valorizzazione”, il principio di cui essi rappresentano espressione potrebbe comunque penetrare automaticamente nel contratto, integrandolo, senza alcuna necessità di caducarne in parte i contenuti. La valorizzazione delle esigenze di conservazione del negozio indurrebbe infatti a preservare la pattuizione, pur se nella versione risultante a seguito dell’integrazione.
Tali conclusioni si impongono a fortiori con riferimento a quei casi in cui il contratto – come appunto accade nel caso di operazioni di venture capital e private equity – sia interamente costruito in funzione del momento del disinvestimento finale, da cui il finanziatore, per effetto della cessione dell’intera azienda, consegue il ritorno dell’investimento effettuato: eliminare la clausola che prevede il diritto di trascinamento che non preveda alcuno dei detti meccanismi significherebbe ripensare la logica dell’intero articolato contrattuale: insomma, la sua causa “concreta”.
Pertanto, a prescindere dalla scelta di dire o meno condivisibile la scelta della giurisprudenza di esplicitare la vigenza del detto principio di equa valorizzazione e di dirlo applicabile alla clausola di trascinamento, meno convincente appare privare di validità quelle clausole che non ne facciano esplicita menzione.
5. L’importanza del drafting contrattuale
Per quanto già brevemente osservato, l’orientamento corrente potrebbe non convincere. Nondimeno, la circostanza che, secondo la giurisprudenza, la discrezionalità del trascinante debba essere contenuta tramite la necessaria previsione di un floor, in modo tale che al socio trascinato sia corrisposto quantomeno un corrispettivo pari a quello che gli sarebbe spettato in caso di recesso, non può essere ignorata.
Non può cioè non tenersene conto in sede di drafting contrattuale.
Da valutare, in particolare, è l’opportunità di inserire una previsione che individui il prezzo minimo di vendita in un multiplo del valore dell’impresa. Questa previsione potrebbe andarsi a aggiungere a quella volta a fissare un floor già imposta dalla giurisprudenza, al fine di evitare controversie sulla conformità della clausola di drag-along; ma offrirebbe al socio trascinato una tutela decisamente maggiore, in quanto da un lato restringerebbe l’ambito di discrezionalità del socio trascinante, dall’altro identificherebbe il prezzo di vendita “minimo” non già nel valore dell’impresa ma – per quanto detto – in un suo multiplo.
La definizione dei contenuti di una clausola di trascinamento impone, però, anche ulteriori valutazioni di opportunità su cui sono naturalmente destinate ad influrire le preferenze manifestate dalle parti in sede di predisposizione del complessivo articolato contrattuale, delle cui conseguenze il consulente deve però puntualmente avvertire i propri clienti.
Così, per esempio, occorre stabilire se incentrare il meccanismo negoziale su un diritto potestativo o di credito: se, cioè, prevedere – conformemente alla funzione della clausola – un diritto in grado di provocare una co-vendita anche contro la volontà del socio trascinato o se, più modestamente, contentarsi di una legittima pretesa a che questi si adoperi ai fini della finalizzazione del deal. Si tratta di una scelta di fondamentale importanza, che non per forza implica la superiorità della prima scelta rispetto alla seconda ove si prevedano adeguati sanzioni per il socio trascinato che rinneghi il proprio impegno (ad esempio, una clausola penale). Vi è però che, in generale, la preferenza per il diritto potestativo risulta in grado di garantire al socio trascinante la possibilità di superare in modo autonomo i problemi legati ad un sopravvenuto ripensamento della scelta di disinvestire congiuntamente da parte del socio trascinato, il quale, pur essendosi impegnato a co-vendere, potrebbe tentare di ricattare il socio trascinante per spuntare una maggior parte dei ricavi della co-vendita.
In secondo luogo, occorre valutare, ancora per esempio, l’opportunità di circoscrivere ulteriormente la discrezionalità del socio trascinante, prevedendo parametri minimi di dismissione dell’investimento pensati per consentire soltanto vendite in grado di produrre valore.
In terzo luogo, occorre anche pensare, sempre per esempio, all’utilità di un meccanismo come il diritto di prelazione in favore del socio trascinato che, rendendo il socio trascinante indifferente rispetto alla provenienza del prezzo pattuito con il terzo, potrebbe valere a coniugare l’interesse del socio trascinante (a conseguire un premiante prezzo “di mercato”) e quello del socio trascinato (a continuare ad esercitare l’impresa).
Pur senza alcuna pretesa di esaustività, tali considerazioni valgono ad offrire al lettore una pur approssimativa idea della complessità delle valutazioni – di fatto e, poi, di wording – che precedono la redazione della clausola.
6. Conclusioni
La clausola di drag-along solo in tempi relativamente recenti ha iniziato ad attrarre l’attenzione della giurisprudenza, sia pratica, sia teorica.
Allo stato, la giurisprudenza subordina la validità di tali pattuizioni alla previsione di “adeguati meccanismi di valorizzazione della partecipazione azionaria”. A tali conclusioni si perverrebbe sulla base del principio di equa valorizzazione della partecipazione enucleabile sulla scorta del riferimento ad una serie di istituti giuridici, tra cui primaria importanza rivestirebbe la disciplina delle azioni riscattabili.
Benché si concordi con la giurisprudenza e con il notariato nel dire il detto presidio contrattuale utile ai fini di una piú efficace protezione del socio trascinato, non emergono ragioni per dubitare della validitá della clausola di trascinamento che non contempli i detti “meccanismi”. In tali frangenti, esigenze di conservazione del contratto imporrebbero di considerare possibile una integrazione automatica delle pattuizioni intercorse tra le parti.
Qualunque sia la soluzione, la redazione della clausola implica una serie di scelte che concernono anche aspetti ulteriori e che sono destinati ad incidere sul bilanciamento degli interessi delle parti.
[1] Trib. Milano, 1 aprile 2008 (ord.), in (ex multis) Società, 2008, pp. 1373 ss., con nota di C. Di Bitonto, Clausola statutaria di c.d. drag along chi era costei?. in Società (Le), pp. 1378 ss.. Per più autorevoli considerazioni sulla vicenda cfr. però N. De Luca, Validità delle clausole di trascinamento (“Drag-along”), in Banca, borsa, tit. cr., 2009, I, pp. 174 ss..
[2] Cfr. Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 88.Clausole statutarie disciplinanti il diritto e l'obbligo di "covendita" delle partecipazioni, disponibile all’indirizzo <http://www.consiglionotarilemilano.it/documenti-comuni/massime-commissione-societa/88.aspx> («Si reputano legittime le clausole statutarie che prevedono, in caso di vendita di partecipazioni in s.p.a. o in s.r.l., il diritto e/o l'obbligo dei soci diversi dall'alienante di vendere contestualmente, a loro volta, le partecipazioni possedute; queste clausole, tuttavia, restano soggette alle disposizioni relative ai limiti alla circolazione delle partecipazioni, proprie dei rispettivi tipi sociali (s.p.a. o s.r.l.) e – ove prevedano l'obbligo di vendita – devono essere compatibili con il principio di una equa valorizzazione della partecipazione obbligatoriamente dismessa»).
[3] Cfr. rispettivamente Trib. Milano, 25 marzo 2011, in Banca bor. tit. cr., 2013, II, pp. 59 ss., con a seguire nota di N. De Luca, Ancora sulle clausole statutarie di accodamento e trascinamento (tag e drag along). Possono essere introdotte a maggioranza?; e Trib. Milano, 22 dicembre 2014 (decr.), in Notariato, 2015, pp. 616 ss., con commento di I. Scotti, Clausola di drag-along e principio maggioritario.
[4] N. De Luca, Ancora, cit., p. 75.
[5] N. De Luca, Ancora, cit., p. 75.
[6] ibidem.
[7] ibidem, pp. 75-76.
[8] A. Stabilini – M. Trapani, Clausole di drag along e limiti all'autonomia privata nelle società chiuse, in Riv. dir. comm., 2010, I, pp. 949 ss., spec. p. 962 s.
[9] ibidem, p. 972 ss..
[10] C. Angelici, Fra mercato e società: a proposito di venture capital e drag along, in Dir. banca merc. fin., 2011, I, pp. 19-65, spec. p. 14.
[11] ibidem, p. 19.
[12] ibidem, p. 40.
[13] Critica radicalmente l’impostazione corrente, muovendo da un articolato ragionamento incentrato sugli aspetti finanziari delle acquisizioni e sulle peculiarità di una co-vendita rispetto alle operazioni di riscatto azionario, C.A. Nigro, Appunti sulla clausola di trascinamento (bozza del 30.12.2016) che si è avuto modo di leggere per cortesia dell’autore.