La procedura esecutiva di espropriazione di crediti si esaurisce con la pronuncia dell’ordinanza di assegnazione, la quale ha lo scopo di produrre una cessione coattiva del credito e dunque di mutarne il soggetto attivo. Da quel momento, cessando di essere pendente, non potrà più essere dichiarata improcedibile.
L’eventuale proposizione di una opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., avverso l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, di cui all’art. 553 c.p.c., non vale a prorogare o riattivare una espropriazione già esaurita, ma ha il solo effetto di introdurre un ordinario giudizio di cognizione. Soltanto nel caso in cui l’opposizione dovesse essere accolta, in tutto od in parte, potrebbe porsi un problema di “reviviscenza” della procedura esecutiva.
Il disposto dell’art. 2928 c.c. secondo cui il diritto dell’assegnatario verso il debitore si estingue solo con l’assegnazione del credito assegnato non ha l’effetto di perdurare la procedura esecutiva, la cui funzione è già stata assolta mediante l’assegnazione, ma ha solo un effetto di diritto sostanziale, cioè attribuire all’assegnazione del credito pignorato l’effetto di un trasferimento con efficacia pro solvendo.
Il fallimento del debitore esecutato, dichiarato dopo la pronuncia dell’ordinanza di assegnazione di cui all’art. 553 c.p.c., e nelle more del giudizio di opposizione agli atti esecutivi proposta dal terzo pignorato, non comporta né la caducazione dell’ordinanza di assegnazione, poiché non costituisce un pagamento, né la cessazione ipso iure della materia del contendere nel giudizio di opposizione.
Non spetta al giudice dell’opposizione stabilire se gli eventuali pagamenti compiuti dal terzo pignorato in esecuzione dell’ordinanza di assegnazione siano o meno efficaci, ai sensi dell’art. 44 l. fall., in considerazione del momento in cui vennero effettuati.