L’istanza di fallimento presentata nei confronti di una società di capitali, costituita in Italia, che abbia trasferito all’estero la propria sede legale, a seguito del verificarsi della situazione di crisi d’impresa, rientra nella giurisdizione del giudice italiano qualora il mutamento della sede non sia stato seguito dal trasferimento effettivo dell’attività imprenditoriale, sì da risolversi in un atto meramente formale con scopo chiaramente elusivo.
È inammissibile la domanda di concordato preventivo, anche se con riserva, presentata dal debitore non per regolare la crisi dell’impresa mediante un accordo con il ceto creditorio, ma avente l’evidente finalità di differire la dichiarazione di fallimento. Tale comportamento integra, infatti, gli estremi di un abuso del processo, il quale abuso, in generale, ricorre quando – con violazione dei canoni generali di correttezza e buona fede e dei principi di lealtà processuale e del giusto processo – si utilizzano strumenti processuali per perseguire finalità eccedenti o deviate rispetto a quelle per le quali l’ordinamento li ha predisposti.