Con l’ordinanza n. 25267/2024, la Suprema Corte ha delibato il tema dell’efficacia “riflessa” del giudicato tributario statuendo che, in materia di controversie concernenti l’accertamento di utili extra bilancio, la pronuncia che decide sulla società produce effetti anche nel giudizio gravante sul suo socio, a ciò non ostando la cristallizzazione dell’esito di quest’ultimo in un provvedimento giurisdizionale divenuto definitivo.
La vicenda sub specie prendeva le mosse da due procedimenti accertativi destinati, segnatamente, ad una Srl a ristretta base societaria ed alla sua socia partecipante nella misura del 40 per cento.
In tale circostanza, al fine di contestare le rispettive imputazioni di utili extra contabili non dichiarati, le contribuenti avevano instaurato distinti percorsi processuali.
Mentre, da parte della socia, la pretesa erariale era diventata definitiva attesa la mancata impugnazione del provvedimento a sé sfavorevole, dall’altro lato e da parte della società, l’atto d’imposizione veniva parzialmente annullato.
Su questo presupposto, le somme dovute ex art. 68, D. Lgs. n. 546 del 1992 dalla socia soccombente venivano iscritte a ruolo, comportando la notifica della relativa cartella di pagamento.
Su tale base, la socia impugnava la cartella, chiedendo contestualmente la riduzione dell’imposta accertata, nell’attesa del responso sul giudizio di appello che, nel frattempo, era stato proposto dall’Agenzia contro la società.
Ripercorrendo suoi precedenti sezionali, la Cassazione esordisce ribadendo che il giudizio sulla società in merito alla insussistenza di utili extra contabili rappresenta l’antecedente logico-giuridico da cui dipende la verifica dei maggiori utili da partecipazione percepiti dalla compagine sociale, in termini di ricavi non dichiarati ovvero di costi non sostenuti.
In tale contingenza ne deriva che, se l’accertamento della società esclude la presunzione di maggior utile per il socio, la sentenza che riduce l’utile extra bilancio dell’ente rispetto a quello presuntivamente accertato comporta la riduzione in pari misura percentuale del maggior reddito imputato ai soci.
Il Collegio, dunque, concludendo per il rigetto del ricorso proposto dall’Agenzia, afferma che: qualora “intervenga una sentenza del giudice tributario, anche non passata in giudicato, che annulla in tutto o in parte l’atto da cui dipende la pretesa fiscale nei confronti del contribuente, l’ente impositore, così come il giudice dinanzi al quale sia stata impugnata la relativa cartella di pagamento, ha l’obbligo di agire in conformità della statuizione giudiziale, sia ove l’iscrizione non sia stata ancora effettuata, sia, se già effettuata, adottando i conseguenziali provvedimenti di sgravio, o eventualmente di rimborso dell’eccedenza versata”.