La Cassazione, in tema di bancarotta post-fallimentare, ha affermato che “nel fallimento non vanno riversati i ricavi dell’attività esercitata dal fallito dopo il fallimento, ma i guadagni conseguiti, con la conseguenza che, per stabilire se ed in quale misura il fallito abbia sottratto beni alla massa fallimentare, occorre tener conto dei costi incontrati nella gestione dell’attività, dovendosi per l’effetto considerare distratte le somme che rappresentano il guadagno effettivo, eccedente i limiti stabiliti dal giudice delegato” (in senso conforme, Sez. V, 19 marzo 2013, n. 24493).
È noto che il reato di bancarotta post-fallimentare si realizza tramite la distrazione di somme pervenute al fallito per l’attività esercitata successivamente alla dichiarazione di fallimento, ove esse superino i limiti, fissati dal giudice delegato, di quanto occorre per il mantenimento suo e della famiglia, secondo quanto disposto dall’art. 46, n. 2 l. fall. Risulta pacifico infatti in giurisprudenza che non sussiste un divieto assoluto di lavorare dopo la dichiarazione di fallimento, ma rimane fermo l’obbligo di non depauperare il patrimonio sociale e di versare parte dei proventi dell’attività lavorativa nella massa attiva fallimentare, trattenendo solo quanto necessario al mantenimento (così, Sez. V, 17 marzo 2004, n. 38244).
Gli ermellini specificano tuttavia che, per quanto riguarda le somme di denaro, sono appresi i guadagni effettivi e non i ricavi dell’attività esercitata dal fallito, sicché integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare la condotta di colui che, esercitando un’attività lavorativa dopo essere stato dichiarato fallito, tragga guadagni eccedenti i redditi necessari al mantenimento proprio e della propria famiglia, omettendo così di conferirli a favore della procedura concorsuale.
Occorre infine considerare che la materialità del fatto di bancarotta distrattiva richiede che vi sia una concreta sottrazione di somme, che superi il limite massimo previsto dalla disciplina sul fallimento, con la conseguenza che, in caso di mancata determinazione dello stesso da parte del giudice delegato, sarà compito del giudice penale effettuare, incidentalmente, la valutazione richiesta dall’art. 46 l. fall., determinando i limiti avendo a mente le esigenze di mantenimento del fallito e della sua famiglia (sul concetto di distrazione, ex multis, Potetti, La bancarotta fraudolenta per distrazione: quali limiti alle scelte dell’imprenditore?, in Cass. pen., 1999, 3567; Santoriello, I reati di bancarotta, Torino, 2000, 57).