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Equity crowdfunding 2.0: meno oneri per imprese e investitori

13 Aprile 2016

Vittorio Mirra e Davide Zaottini, Consob

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo è frutto esclusivo delle opinioni personali degli autori, che non impegnano in nessun modo l’Istituto di appartenenza (Consob)

 

SOMMARIO: 1. Il fenomeno del crowdfunding – 2. Il quadro normativo e l’approccio di better regulation – 3. il monitoraggio, la valutazione e la riforma del quadro legislativo e regolamentare

 

1. Il fenomeno del crowdfunding

In tempi di crisi economico-finanziaria e di credit crunch, si intensifica l’esigenza di accesso a validi canali di investimento alternativi a quello bancario, storicamente predominante in una realtà come quella italiana.

Il crowdfunding è una delle più promettenti risposte a tali esigenze, un fenomeno in pieno sviluppo in grado di innovare la finanza grazie alle potenzialità sconfinate della rete, a una condizione: non tradire la fiducia dei potenziali investitori. L’Italia ha raccolto la sfida e, per iniziativa governativa, ha inserito l’equity crowdfunding fra strumenti destinati a sostenere l’innovazione e lo sviluppo economico, regolando l’attività attraverso il D.L. n. 179/2012[1]. L’inquadramento legislativo fra le attività in esenzione facoltativa dalla disciplina “MiFID” sui servizi e le attività di investimento (art. 3 della Direttiva 2004/39/CE) ha determinato l’adozione di regole specifiche per la gestione dei portali, meno onerose rispetto a quelle europee, in gran parte delegate alla potestà regolamentare della Consob.

L’obiettivo principale, nella fase di prima introduzione del finanziamento tramite portali on-line, è stato quello di sostenere le start-up innovative, considerate in funzione della loro capacità di veicolare l’innovazione in tutti i settori produttivi del sistema economico, stimolando il rinnovamento per le imprese tradizionali, con un conseguente guadagno in termini di competitività per l’intero Paese.

Tra gli strumenti individuati, oltre all’introduzione della raccolta di capitali attraverso portali on-line, vi erano una serie di incentivi: una fiscalità agevolata per gli importi direttamente investiti in start-up; l’individuazione di soggetti in grado di accompagnare lo sviluppo e la nascita delle start-up (gli incubatori e gli acceleratori di impresa), norme agevolative in materia di lavoro, la semplificazione e informatizzazione degli adempimenti amministrativi e una disciplina speciale relativa al “fallimento” dell’impresa[2].

Ma facciamo un passo indietro.

Il fenomeno del crowdfunding, infatti, è ampio e ha tutt’oggi una diffusione transnazionale, dopo essersi affermato soprattutto nei Paesi anglosassoni. Con il termine crowdfunding ci si riferisce usualmente al finanziamento di progetti da parte di una “massa” di investitori (la folla: “crowd”), a mezzo di elargizioni in denaro (funding) effettuate attraverso portali on-line. Ciò che distingue le diverse tipologie del fenomeno è il “corrispettivo” che il finanziatore riceverà in cambio. Attraverso tale via, possiamo identificare quattro macro categorie di crowdfunding:

  1. il c.d. “reward-based” (il più diffuso a livello mondiale), il quale si sostanzia in un investimento di denaro, a cui è collegata una specifica ricompensa, sotto forma di uno o più beni o servizi[3];
  2. il “donation-based”, il quale consiste nella donazione di una somma di denaro al fine di sostenere un’attività o un progetto, la cui realizzazione costituisce l’ideale premio per il finanziamento;
  3. il “lending” o “peer to peer lending”, il quale consiste in un prestito da parte di privati ad altri soggetti privati, ricompensato con il pagamento di interessi ed effettuato per il tramite di piattaforme on-line, che mettono in contatto i soggetti interessati, trattenendo una percentuale quale commissione per il servizio effettuato;
  4. l’ “equity crowdfunding” attraverso il quale l’investitore partecipa ad un progetto acquistando una quota del capitale societario e, dunque, entra nella compagine azionaria del soggetto giuridico nato per sviluppare un progetto di natura imprenditoriale, sostenendone i relativi rischi.

Per quanto concerne specificamente l’Italia, allo stato vi sono 69 piattaforme attive, 31 (pari al 45%) sono basate sul reward, 13 (il 19%) in ambito donation, 13 (19%) sono piattaforme equity e 3 (il 4%) si fondano sul debito (lending). Le piattaforme ibride risultano 9 (13%): all’interno di queste ultime, il modello più diffuso è quello reward+donation[4].

Con specifico riferimento all’equity crowdfunding, i numeri complessivi degli investimenti effettuati in Italia non sono, in termini assoluti, di rilievo: al 15 marzo 2016 il capitale complessivamente raccolto tramite l’equity crowdfunding, a quasi tre anni dalla nascita dei primi portali, ammontava a circa 3 milioni 700 mila euro[5]. Tutto il potenziale del fenomeno può dunque considerarsi ancora inesploso[6].

Va tuttavia sottolineato che tali numeri riguardano un fenomeno che è ai primi passi in Italia e che è stato introdotto in un contesto tradizionalmente avverso al rischio e restio ad accettare quelle logiche concorrenziali intimamente connesse con il fiorire dell’innovazione. Consapevoli di tali difficoltà “ambientali”, le istituzioni hanno introdotto un quadro regolatorio semplificato ma, soprattutto, hanno applicato nel procedimento regolatorio le migliori tecniche volte a sostenere la qualità della regolazione e, sulla base del monitoraggio e della valutazione delle disposizioni introdotte in sede di prima applicazione della normativa, sono giunte di recente a elaborare modifiche legislative e regolamentari finalizzate a ridurre gli oneri e facilitare tali investimenti, creando un contesto efficiente che possa portare nel medio termine a numeri di tutt’altra rilevanza[7].

2. Il quadro normativo e l’approccio di better regulation

Sulla “spinta” del Jumpstart Our Business Startups (“Jobs Act”[8]) approvato negli Stati Uniti d’America nell’aprile 2011, in Italia è stata costituita un’apposita task force presso il Ministero dello Sviluppo Economico, guidato dall’allora Ministro Corrado Passera, al fine di approfondire il fenomeno del crowdfunding e presentare delle proposte al Governo italiano “per fare in modo che l’Italia diventi un Paese ospitale per la nascita e la crescita delle start-up”[9].

Quanto sopra è confluito nelle disposizioni del c.d. “decreto crescita-bis” (D.L. 179/2012 convertito, con modifiche, nella L. 221/2012)[10], il quale si è concentrato su misure di favore nei confronti delle start-up innovative, considerate il “motore” per la creazione delle idee (seed) da “coltivare”, tra l’altro, attraverso il crowdfunding.

Il citato decreto (cfr. nuovo art. 50-quinquies del Testo Unico Finanza; “TUF”) riserva l’attività di gestione di portali per la raccolta di capitali per le start-up innovative[11] alle imprese di investimento e alle banche autorizzate ai relativi servizi di investimento. Lo svolgimento di tale attività è inoltre riservato ai soggetti iscritti in un apposito registro tenuto dalla Consob, a condizione, però, che essi trasmettano gli ordini riguardanti la sottoscrizione e la compravendita di strumenti finanziari rappresentativi di capitale esclusivamente a banche e a imprese di investimento.

La Consob, prima a livello mondiale, è intervenuta a regolamentare[12] il fenomeno dell’equity crowdfunding con apposito regolamento nel giugno 2013[13], il quale detta, inter alia, le regole che i gestori di portali iscritti al registro debbono rispettare nel loro rapporto con gli investitori.

La Consob ha affrontato l’attuazione delle deleghe regolamentari sulla scorta di un solido patrimonio di conoscenze ed esperienze, maturato nel corso del precedente decennio con riferimento alle migliori metodologie di produzione normativa.

Il primo passo per la definizione della nuova regolamentazione è stato lo svolgimento di una indagine conoscitiva, volta ad approfondire la conoscenza del fenomeno nei suoi diversi aspetti e ad analizzare le possibili soluzioni regolatorie. A seguito delle attività di ricerca svolte internamente sono stati avviati i processi di consultazione dei soggetti interessati.

Sulla base di tale patrimonio informativo, formato da dati strutturali e dalle percezioni degli operatori, la definizione delle disposizioni normative è stata sviluppata attraverso l’elaborazione di alcune opzioni di intervento rispettose del perimetro di discrezionalità disegnato dal legislatore. In assenza di una quantificazione in termini monetari dei costi e dei benefici attesi, le opzioni sono state analizzate secondo il metodo dell’algebra prudenziale, elencando vantaggi e svantaggi, misurando ciò che era possibile misurare in quanto proxy dei fenomeni in analisi, ponderando gli elementi in base a scale qualitative rappresentative dell’impatto e tenendo conto delle finalità e degli interessi, talora contrapposti, dei diversi stakeholders interessati dal fenomeno. A tutela dell’investitore ed in considerazione delle peculiari caratteristiche dell’investimento on-line, sono stati costruiti diversi livelli di informativa per costruire un “percorso consapevole”, attraversando il quale l’investitore venisse accompagnato all’acquisizione di alcuni concetti basilari sull’investimento tramite portali on-line, prima di poter aderire alle singole offerte di capitale[14], anch’esse assistite da specifiche schede di offerta.

Tali presidi, volti a “rallentare” il processo decisionale degli “utenti web”, guidato dall’istinto in misura ancora più rilevante rispetto alle modalità tradizionali di elaborazione delle decisioni finanziarie, sono il frutto di opzioni regolatorie cognitive-based, orientate dagli statuti epistemologici della finanza comportamentale e cognitiva, più che dalla teoria dell’investimento razionale.

Oltre alle regole di condotta, fra le quali spiccavano i presidi informativi appena richiamati, alla Consob è stata affidata la definizione della quota di strumenti finanziari che deve essere necessariamente sottoscritta da parte degli investitori professionali, che è stata identificata, tenendo conto delle risultanze dell’indagine conoscitiva, nel 5% del valore della singola offerta[15].

Infine, in sede di prima attuazione legislativa, è stata stabilità dalla medesima Autorità una previsione volta a tutelare gli investitori in caso di cessione del controllo della start-up, come richiesto dall’art. 100-ter, comma 2 del TUF, attraverso l’introduzione di speciali clausole statutarie che riconoscono il diritto di recesso o di co-vendita a favore degli investitori che hanno sottoscritto o acquistato strumenti finanziari emessi da start-up innovative offerti tramite portali on-line[16].

Ad esito della consultazione, il testo definitivo del Regolamento Consob n. 18592/2013 (di seguito il “Regolamento”), è stato pubblicato insieme alla Relazione definitiva sull’attività di Analisi d’Impatto della Regolamentazione (AIR), che ha reso pubblico il processo decisionale effettuato. Nella relazione AIR sono stati definiti i problemi che hanno reso necessario l’intervento normativo e gli strumenti normativi utilizzati, rispetto agli obiettivi identificati dalle deleghe legislative. Le opzioni regolamentari definitive sono state rappresentate dando conto delle modifiche apportate a seguito delle osservazioni pervenute in sede di consultazione.

La relazione AIR esamina anche le conseguenze attese della regolamentazione introdotta sulle diverse categorie di soggetti destinatari (gestori di portali, investitori, start-up), ed effettua una mappatura degli oneri amministrativi introdotti con riferimento ai diversi soggetti. Il documento si completa di una sezione relativa alla successiva Valutazione di Impatto della Regolamentazione (VIR), comprensiva di un set di indicatori ritenuti utili per la valutazione ex post dei benefici e dei costi della regolamentazione introdotta.

3. Il monitoraggio, la valutazione e la riforma del quadro legislativo e regolamentare

A partire dall’entrata in vigore del Regolamento, la Consob ha avviato un’attività di monitoraggio basata, principalmente, sulla raccolta di dati necessari per la partecipazione al “sistema permanente di monitoraggio e valutazione delle politiche a favore delle start-up innovative” istituito dall’articolo 32 del decreto crescita-bis e coordinato dal Ministero dello Sviluppo Economico, e per la quantificazione del set di indicatori di valutazione esplicitato nella Relazione sull’attività di AIR e sugli Esiti della procedura di consultazione, pubblicata insieme al Regolamento.

Nel frattempo, l’equity crowdfunding ha assunto una dimensione sempre più internazionale[17]. Anche la Commissione Europea e l’ESMA (European Securities and Markets Authority), hanno focalizzato l’attenzione sul fenomeno: la prima attraverso la Comunicazione “Sfruttare il potenziale del crowdfunding”, cui ha fatto seguito la costituzione di gruppi di studio fra operatori ed esperti della materia e la pubblicazione di una “Guida per le piccole medie imprese. Il Crowdfunding. Cos’è”.

L’ESMA a sua volta, in data 18 dicembre 2014, ha pubblicato una Opinion per le Autorità Nazionali competenti e un Advice per le istituzioni Europee in materia di investment-based crowdfunding, con la finalità di realizzare una maggiore convergenza regolamentare e di vigilanza nell’Unione Europea.

Da ultimo anche il Green Paper sulla Capital Market Union ha posto l’attenzione sul crowdfunding quale strumento che dovrebbe contribuire in modo decisivo al finanziamento dell’economia europea anche al di là delle frontiere nazionali.

Sulla base delle evidenze empiriche raccolte (e pubblicate successivamente in occasione della consultazione preliminare sul Regolamento di cui si dirà fra poco), è stato possibile fornire una prima risposta alle domande definite in sede di analisi d’impatto della regolamentazione.

Il rapporto fra gestori di portali iscritti nel registro e gestori “di diritto” (pari a 14% al 31 marzo 2015) ha dato un primo segnale sulla proporzionalità degli oneri legati al procedimento di autorizzazione. D’altra parte, la significativa quota di gestori non operativi ha suggerito di approfondire l’analisi dei costi legati al concreto svolgimento dell’attività (costi di conformità sostanziale), per comprendere se implicassero degli oneri non proporzionati.

Il rapporto fra le offerte andate a buon fine e il totale delle offerte esposte tramite i portali (36% in termini di numerosità assoluta e 49% di controvalori), l’assenza di reclami ed esposti pervenuti all’Autorità di vigilanza e l’assenza di provvedimenti sanzionatori o cautelari adottati nei confronti dei gestori sono elementi rappresentativi di un ambiente finanziario affidabile. Tuttavia tali dati, confrontati con il totale della raccolta (poco più di 1,3 milioni di euro al 31 marzo 2015, passati a 3,7 milioni al 31 marzo 2016) e con i risultati del crowdfunding in altri Stati membri, hanno mostrato che la non sussistenza di situazioni patologiche poteva dipendere dallo stadio ancora minimale di realizzazione quantitativa del fenomeno. In particolare, al 31 marzo 2015 avevano aderito alle 4 offerte andate a buon fine 134 soggetti, di cui 16 persone giuridiche, con una media di 33 investitori (circa) per offerta, con un minimo di 3 ed un massimo di 75 adesioni. L’ammontare medio della singola sottoscrizione, ottenuto dividendo il totale della raccolta (1.307.780) per il numero degli investitori (132, tenendo conto delle revoche effettuate), è prossimo ai 10.000 euro (9.907,42).

L’analisi dei sottoscrittori ha evidenziato dunque la partecipazione di un ridotto numero di soggetti che hanno investito importi mediamente elevati, una struttura di investimento che assomiglia al club deal: una modalità di acquisizione aziendale da parte di un gruppo di business angels e imprese di private equity, investitori esperti e competenti, che uniscono le forze per condividere l’elevato rischio connesso nella fase di sviluppo di una start-up. Investitori forse non pienamente razionali, ma dotati di euristiche sofisticate, affinate negli anni imparando dai propri errori, oltre che dai manuali di finanza aziendale.

In tale contesto, è possibile ipotizzare che i pochi investitori “sofisticati” che intervengono con offerte mediamente elevate non siano disincentivati dall’elevato livello di trasparenza connesso alla raccolta on-line, poiché ritengono di poter trarre comunque un vantaggio competitivo dalle loro disponibilità finanziarie unite alle specifiche capacità di valutazione dell’investimento rispetto alla generalità dei potenziali sottoscrittori. La “parità di trattamento” da parte dell’emittente, infatti, è una parità formale relativa principalmente alle informazioni messe a disposizione dalla società, che non può eliminare l’asimmetria “sostanziale” legata alla capacità cognitive di elaborazione e valutazione delle informazioni stesse. In altre parole, anche se viene ridotta l’asimmetria informativa, i soggetti che hanno sviluppato le “euristiche migliori” restano convinti di poter mantenere il proprio vantaggio competitivo e sono ancora incentivati ad investire. L’intervento della “crowd”, che in questa prima fase appare residuale, offre invece la possibilità di includere una categoria di investitori complementari, in grado di ampliare le potenzialità di raccolta.

Un studio[18] del comportamento degli investitori sulla principale piattaforma di equity crowdfunding britannica, di recente pubblicazione, evidenzia conclusioni coerenti con l’analisi effettuata sulle piattaforme italiane[19].

Rispetto al ruolo rivestito dagli investitori professionali, le società emittenti hanno dimostrato di ritenere che la preventiva sottoscrizione non costituisce un elemento chiave in grado di determinare il successo dell’operazione, coerentemente con le analisi ex ante effettuate dalla Consob ad esito della consultazione effettuata in sede di approvazione del Regolamento. Ad avvalorare la tesi per cui l’adesione di un investitore professionale non costituisce necessariamente una soluzione al problema dell’affidabilità dell’emittente si evidenzia che, l’unica offerta che presentava ab origine la sottoscrizione di uno di tali investitori risulta fra quelle non andate a buon fine. In ogni caso, nelle offerte non andate a buon fine, la causa è stata sempre la scarsità di adesioni piuttosto che la mancata sottoscrizione da parte di un investitore istituzionale.

Nel primo trimestre del 2015, i lavori di monitoraggio hanno portato alla novella legislativa, con le novità introdotte dal Decreto Legge 24 gennaio 2015, n. 3 convertito in Legge 24 marzo 2015, n. 33, che ha esteso alle PMI innovative e agli OICR e altre società che investono prevalentemente in start-up e PMI innovative, la possibilità di effettuare offerte di capitale di rischio tramite i portali on-line.

Di conseguenza, è sorta la necessità di adeguare la regolamentazione, sulla base della valutazione d’impatto della stessa, a circa due anni dall’entrata in vigore, raccogliendo a tal fine anche le considerazioni da parte degli operatori del settore.

Il 19 Giugno 2015 è stato pubblicato dalla Consob un “Documento di Consultazione Preliminare” contenente le linee guida per la revisione del Regolamento, la valutazione d’impatto basata su dati e indicatori appena esposti e un questionario rivolto a tutti i soggetti interessati, affinché fornissero evidenze in merito alla concreta applicazione della regolamentazione, in particolare con riferimento alla proporzionalità degli obblighi dalla stessa istituiti[20]. La consultazione preliminare ha consentito di evidenziare una valutazione sostanzialmente proporzionale degli oneri imposti dal Regolamento da parte degli operatori. Gli obblighi considerati eccessivamente onerosi sono risultati quelli legati alla sottoscrizione da parte di investitori professionali e alle modalità di esecuzione degli ordini. Tali criticità sono state indentificate, insieme ad altre di natura non regolamentare ma culturale, fra le determinanti della scarsa diffusione dello strumento e, quindi, dei benefici contenuti apportati alla policy di sostegno all’innovazione espressa nella legge delega, come modificata dal Decreto Legge 24 gennaio 2015, n. 3 convertito in Legge 24 marzo 2015, n. 33.

Per quanto riguarda gli investitori istituzionali, è stata valutata positivamente la possibilità di estendere il novero dei soggetti rientranti in tale categoria anche agli investitori professionali su richiesta, classificati ai sensi della disciplina MiFID dall’intermediario di cui sono clienti. Con riferimento, invece, alle modalità di esecuzione degli ordini, le valutazioni effettuate hanno condotto a rivedere il Regolamento semplificando la procedura e riducendo i costi di transazione in modo da favorire la conclusione delle operazioni integralmente on-line, dando la possibilità ai gestori dotati di adeguati requisiti organizzativi di svolgere direttamente le verifiche necessarie per valutare l’appropriatezza dell’operazione, in sostituzione di uno dei passi del “percorso consapevole” (il questionario). In tal caso (c.d. opt-in dei gestori) le tutele connesse al test di appropriatezza sono state estese alle operazioni “sotto soglia”. Viceversa, nel caso in cui i gestori non esercitino tale possibilità il questionario è stato eliminato, in quanto ritenuto una onerosa duplicazione rispetto al test di appropriatezza che le banche e le imprese di investimento dovranno continuare a svolgere.

Il Regolamento così riformato è stato posto in consultazione dal 3 Dicembre 2015 all’11 Gennaio 2016[21].

La consultazione ha offerto, da una parte, l’occasione per evidenziare alcune richieste di chiarimento rispetto al tenore letterale delle disposizioni contenute nella bozza di Regolamento pubblicata e, dall’altra, la possibilità di considerare una ulteriore estensione del novero dei soggetti legittimati a sottoscrivere la quota del 5% ai fini del perfezionamento dell’offerta. Alla luce dei dati e delle opinioni prese in considerazione è stata valutata positivamente l’inclusione di una nuova categoria di soggetti, gli “investitori a supporto dell’innovazione”, identificati in base a criteri oggettivi, fondati sui requisiti MiFID per gli investitori professionali su richiesta, ma adattati allo specifico contesto di attività.

In conclusione, considerando l’intero percorso di monitoraggio e valutazione della regolamentazione, nonché l’intervento del legislatore primario, sono state apportate al Regolamento approvato nel Giugno del 2013 modifiche volte a riformare significativamente il quadro regolatorio e, in particolare, ad:

  • ampliare l’ambito soggettivo degli offerenti potenziali e quello oggettivo degli strumenti finanziari potenzialmente oggetto di offerta;
  • introdurre la possibilità, per i gestori che si dotino dei necessari requisiti organizzativi, di effettuare la valutazione di appropriatezza (opt-in), consentendo in tal caso che le banche e imprese di investimento curino esclusivamente l’esecuzione delle operazioni (senza necessità di stipulare un contratto quadro in forma scritta);
  • eliminare, per i gestori che non scelgano di effettuare la valutazione di appropriatezza, la necessità di somministrare un questionario comprovante la piena comprensione delle caratteristiche e dei rischi degli strumenti, valutata come una duplicazione delle attività che, in tali casi, le banche e le imprese di investimento dovranno continuare a svolgere nei confronti degli investitori in applicazione della “disciplina MiFID”;
  • estendere la valutazione di appropriatezza, in caso di opt-in, a tutte le operazioni di investimento, anche “sotto-soglia”;
  • ampliare l’ambito relativo ai soggetti legittimati a sottoscrivere la quota riservata agli investitori professionali e alle particolari categorie di investitori individuate dalla Consob ai fini del perfezionamento dell’offerta, dapprima (consultazione preliminare) ai “clienti professionali su richiesta” definiti dalla MiFID e, in seguito (consultazione sul testo regolamentare) alla nuova categoria degli “investitori a supporto dell’innovazione” definita sulla base di requisiti oggettivi identificati a seguito di analisi e approfondimenti basati (anche) sui contributi pervenuti in sede di consultazione.

Tali modifiche, nei confini dettati dalla legge delega, sono volte a migliorare la regolazione, a beneficio degli investitori, mediante una maggiore efficacia dell’informativa, l’estensione dei presidi connessi alla prestazione del servizio e la riduzione gli oneri determinati da alcuni elementi procedurali che si sono rivelati eccessivamente gravosi[22].

Il raggiungimento di tale obiettivo gioca un ruolo decisivo affinché l’equity crowdfunding possa rivelarsi uno strumento più efficace come fonte alternativa di raccolta per le imprese innovative, senza dimenticare le cause culturali che ne frenano lo sviluppo.

La realizzazione quantitativa dei benefici e dei costi attesi dipenderà, in termini aggregati, dall’effettiva volontà dei gestori di esercitare l’opt-in, oltre che dall’interesse che le imprese e gli investitori esprimeranno per lo strumento di finanziamento alternativo, alla luce delle nuove disposizioni e, più in generale, della progressiva presa di coscienza delle sue potenzialità (euristica della “familiarità”).

Non resta che continuare a monitorare, confidando nella maggiore consistenza dei benefici regolamentari e, di conseguenza, nella più significativa capacità dell’equity crowdfunding di costituire un valido canale alternativo per il finanziamento delle imprese innovative.

 

[1] In particolare l’articolo 30 del Decreto ha introdotto nel D. Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58, (Testo Unico della Finanza o TUF), i nuovi articoli 1, commi 5-novies e 5-decies (contenenti le definizioni di portale e di start-up innovativa), 50-quinquies (relativo alla gestione dei portali) e 100-ter (relativo alle offerte attraverso i portali per la raccolta di capitali).

[2] In generale per tutti si rimanda a A. Lerro, Equity crowdfunding. Investire e finanziare l’impresa tramite internet, Milano, 2013; U. Piattelli, Il crowdfunding in Italia. Una regolamentazione all’avanguardia o un’occasione mancata?, Torino, 2013, T. D’Onofrio, Crowd investment. Il crowdfunding per le imprese innovative, Milano, 2015.

[3] Un esempio classico è il finanziamento di un gruppo musicale emergente: in tale caso la “ricompensa” potrebbe essere rappresentata da un biglietto in prima fila ai futuri concerti di tale gruppo ovvero da gadget personalizzati.

[4] Dati “il crowdfunding in Italia – Report 2015” redatta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

[5] Dati “Osservatorio del crowdfunding” del Politecnico di Milano.

[6] Si richiamano in tal senso gli interventi al convegno tenutosi a Bruxelles il 3 giugno 2013: “Crowdfunding: Untapping its potential, reducing the risks”.

[7] La consistenza dell’intero fenomeno del crowdfunding è di tutt’altro rilievo. Al 30 ottobre 2015 il valore complessivo dei progetti finanziati attraverso piattaforme di crowdfunding è pari a quasi 56,8 milioni di euro. Il 40% di tale cifra è riferibile a piattaforme basate sul debito, il 36% al sistema misto donazioni+debito, il 13% a piattaforme reward-based, il 6% a piattaforme ibride reward+donation, per il 2% a quelle basate sulle donazioni e solo il 3% è riferibile all’equity crowdfunding (cfr. “Il crowdfunding in Italia – Report 2015” redatta dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano).

[8] Tra i capisaldi sui quali si fonda la normativa statunitense vi sono: (i) l’esenzione dall’autorizzazione per l’esercizio di attività di intermediazione, a condizione che le attività di crowdfunding siano svolte attraverso appositi funding portals registrati presso la Securities and Exchange Commission (SEC); (ii) la possibilità per la società interessata di raccogliere fino a un massimo di un milione di dollari annui nei confronti di soggetti privati, i quali però sono soggetti ad un limite massimo di investimento, rapportato al proprio reddito: 2 mila dollari o il 5 % se il reddito è inferiore ai 100 mila dollari annui o 10 % nel caso il reddito sia superiore a questa soglia; (iii) tramite il portale dovranno essere svolte tutta una serie di attività di investor education, volte a rendere consapevole l’investitore dei rischi che può fronteggiare.

[9] Questo è stato lo scopo del rapporto “Restart Italia” presentato dalla citata task force. Con specifico riferimento all’equity crowdfunding, al fine di rendere tale strumento operativo in Italia, è stato ritenuto essenziale “prevedere una procedura di autorizzazione snella e semplice, basata però su chiare garanzie offerte da parte di chi voglia aprire queste piattaforme on-line dedicate alla raccolta di capitale, creando meccanismi di trasparenza e informazione per rendere chiaro ai cittadini che – come in ogni investimento – corrono sempre il rischio di perdere il capitale investito”. Infatti, solo assicurando un adeguato livello adeguato di informazione e trasparenza, sarà auspicabile una diffusione di tale strumento di finanziamento per le imprese. Intervenendo sulla semplificazione per l’iscrizione al Registro delle Imprese , riducendo gli oneri e prevedendo una disciplina specifica dei rapporti di lavoro nonché deroghe al diritto societario e fallimentare, si è mirato a creare condizioni e strumenti favorevoli per la nascita di nuove start-up. Inoltre, con la predisposizione di incentivi fiscali per gli investimenti in start-up e per gli incubatori , l’obiettivo del decreto – emanato successivamente al rapporto della task force del Ministero – è stato quello di favorire la progressiva crescita delle start-up innovative.

[10] Mediante la creazione di un “ecosistema” favorevole alle start-up innovative, il citato decreto intende favorire la crescita, la creazione di occupazione, in particolare quella giovanile, l’attrazione di talenti e capitali dall’estero, e a rendere più dinamico il tessuto produttivo e tutta la società italiana. In particolare con il decreto si è inteso “creare, per la prima volta nel panorama legislativo italiano, un quadro di riferimento nazionale coerente per le start-up. Questo quadro dovrebbe anche ispirare e sostenere lo sforzo che negli ultimi anni le regioni e altri attori pubblici e privati hanno profuso a favore delle nuove imprese innovative” (Relazione illustrativa al decreto).

[11] Per la definizione di start-up innovativa, si veda l’articolo 25, commi 2 e 4, del decreto crescita-bis; per la start-up turismo prevista dall’articolo 11-bis del decreto legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014 n. 106.

[12] L’emanazione del regolamento è stata preceduta da una serie di attività in linea con le migliori prassi di better regulation volte ad acquisire il parere del mercato ed a creare un ambiente regolamentare idoneo a soddisfare i bisogni ed a tutelare tutti i soggetti interessati. In particolare, è stata predisposta un’indagine conoscitiva, comprendente la predisposizione di un apposito questionario, al fine di valutare la conoscenza del fenomeno del crowdfunding: tale questionario è stato indirizzato a tutti i soggetti potenzialmente interessati al tema dell’equity crowdfunding. È stato inoltre organizzato dalla Consob un apposito open-hearing volto a favorire un maggiore coinvolgimento dei soggetti interessati oltre che a consentire una migliore comprensione del fenomeno ai fini di una corretta regolamentazione dello stesso. Successivamente, il 29 marzo 2013 è stato pubblicato il documento di consultazione recante la proposta di Regolamento in tema di “Raccolta di Capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line” in attuazione dell’art. 30 del d.l. n. 179/2012. La consultazione si è chiusa il 30 aprile 2013 ed il testo definitivo del regolamento, modificato alla luce della consultazione espletata, è stato adottato dalla Consob con delibera n. 18592 del 26 giugno 2013 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 luglio 2013.

[13] Per un primo commento alle disposizioni del regolamento della Consob si rimanda a V. Mirra, Equity crowdfunding: la guida pratica, disponibile su www.filodiritto.com.

[14] Devono essere fornite informazioni su: il portale, l’investimento in start-up innovative (caratteristiche e rischiosità) e le specifiche offerte (per cui è stato previsto, ai fini di una migliore comparabilità, un modello standardizzato allegato al regolamento).

[15] Sulla base di quanto emerso in sede di consultazione, è stata rivista l’opzione regolatoria che prevedeva l’obbligo di sottoscrizione preventiva della quota da parte dei professionali, consentendo che ciò potesse avvenire anche nel corso dell’offerta pubblica.

[16] Al Regolamento sono inoltre allegati tre modelli rispettivamente per: i) la presentazione della domanda di iscrizione nel registro dei gestori e per la comunicazione ai fine dell’annotazione nella sezione speciale; ii) la predisposizione della relazione sull’attività d’impresa e sulla struttura organizzativa; iii) la presentazione delle informazioni sulla singola offerta.

[17] Sono nel frattempo intervenute regolamentazioni anche in altri Paesi (es. Francia, Spagna) e prese di posizione da altre autorità di settore (Australia, Germania, UK). In dottrina si rimanda per tutti a T. A. Martin, The Jobs Act of 2012: Balancing Fundamental Securities Law Principles with the Domands of the Crowd; B.J. Rubinton, Crowdfunding: Disintermediate Investment Banking, in http://ssrn.com/abstract=1807204.

[18] S. Estrin, S. Khavul, Equity crowdfunding: a new model for financing entrepreneurship?, CentrePiece, rivista edita dal Centre for Economic Performance (CEP) della London School of Economics, disponibile alla pagina web http://cep.lse.ac.uk/pubs/download/cp462.pdf

[19] Partendo da un database significativamente più consistente (150.000 investitori), i ricercatori Estrin e Khavul confermano un importo medio più elevato rispetto alle piattaforme di donation e reward crowdfunding, anche se inferiore a quello riscontrato in Italia, e un numero di investitori non necessariamente elevato, con riferimento alla singola offerta.

[20] In risposta sono pervenuti 35 contributi che, classificati secondo la tecnica dello stakeholder mapping, sono stati considerati espressione di un ventaglio sufficiente di punti di vista, nonostante la prevalenza di soggetti destinatari di oneri rispetto ai beneficiari delle norme.

[21] Circa il 70% degli intervenuti ha espresso una valutazione positiva sulla bozza di Regolamento pubblicata, oltre che sulla metodologia di consultazione utilizzata dalla Consob (nei rimanenti casi non sono state fatte valutazioni generali ma solamente su parti del testo). Si rimanda anche a Mirra, Revisione del regolamento sull’equity crowdfunding: la Consob mette in consultazione le proposte di modifica, disponibile alla pagina web http://www.dirittobancario.it/news/capital-markets/revisione-del-regolamento-sull-equity-crowdfunding-la-consob-mette-consultazione-le-proposte-di-modifica.

[22] Si rimanda anche a V. Mirra, Modifiche al regolamento Consob sull’equity crowdfunding: semplificazioni per sfruttare il potenziale di questo canale di finanziamento alternativo al canale bancario, disponibile alla pagina web http://www.dirittobancario.it/news/strumenti-di-finanziamento/modifiche-regolamento-consob-equity-crowdfunding-semplificazioni-canale-finanziamento.

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