1.* Innovation matters:1 è proprio l’“imprenditore innovativo” che, operativamente gravato dal futuristico compito di distruggere,2 provoca la rigenerazione del sistema produttivo per l’effetto inducendo, in ultima analisi, l’ulteriore sviluppo di un dato sistema economico.3
L’Italia vive però un momento economicamente infelice, ed anche la nota capacità di portare sul mercato nuove idee ne risente: i dati statistici attualmente disponibili ci consegnano, infatti, un quadro impietoso. Ad esempio, nell’European Innovation Scoreboard 2014 – che ordina i Paesi dell’Unione Europea in base alla capacità di innovare – l’Italia si colloca in posizioni medio-basse, tra gli «innovatori moderati» – vale a dire tra quei paesi in cui si innova meno di quanto mediamente si faccia nell’Unione Europea.4 Ecco che, quindi, in questa speciale classifica, l’Italia risulta essere preceduta non soltanto dai Paesi dell’area Scandinava e dalla Germania, ma anche dal Regno Unito e dall’Austria.5
2. Sebbene un recente studio6 metta a nudo le debolezze metodologiche di certe statistiche e perciò induca a guardare ad esse con un legittimo occhio critico e doveroso scetticismo, l’esistenza di un vero e proprio “innovation gap” sembra comunque difficilmente contestabile: la complessiva deficienza del sistema Italia è un dato acquisito e ben documentato.7
A determinare tale situazione ha nel tempo concorso (e continua a concorrere) una molteplicità di fattori, alcuni dei quali meritano una speciale menzione perché qui di più immediata e diretta rilevanza.
Innanzitutto, finance matters.8 Tuttavia, l’approvvigionamento di risorse finanziarie da parte delle startups presenta – come noto – spiccati profili di problematicità.9
A tali imprese è per definizione inaccessibile il credito bancario, dacché incapaci di provare il proprio merito di credito od impossibilitate a prestare adeguate garanzie collaterali; e, diversamente da quanto accade in altri contesti, ove alle insufficienze del circuito bancario hanno nel tempo ovviato investitori specializzati come i venture capitalists ed i business angels, gli aspiranti imprenditori italiani sono costretti a fare i conti con un mercato “privato” del capitale di rischio che, un tempo asfittico, è oggi comunque tutt’altro che vitale e dinamico.
Inoltre, per quanto generosi possano essere, anche i business angels e venture capitalists sono inclini a finanziare solo progetti che risultino in grado di assicurare agli investitori che la sopportazione di un alto livello di rischio si traduca in ampi margini di profitto.10 Non è di conseguenza trascurabile il numero di imprenditori le cui idee, pur brillanti, non sono in grado di suscitare alcun interesse negli operatori specializzati in early stage financing, proprio in ragione della circostanza che il sottostante progetto di business non rispetta i prestabiliti parametri di selezione basati su un dato “risk/reward ratio”.
3. Neppure è detto – e con ciò si viene al secondo ordine di fattori rilevanti – che ove, anche con l’aiuto della sorte, il talento dell’inventore efficacemente si coniughi con le risorse del finanziatore, ogni problema sia risolto.
Institutions11 matter, too, infatti. In particolare, come gli studi di law & finance12 sembrano indicare,13 law matters. È però noto come le istituzioni giuridiche domestiche risultino essere tutt’altro che business-friendly – al punto da aver indotto uno studioso a denunciare l’esistenza di una vera e propria «gabbia delle regole»:14 carenti, per molti versi, sono tanto la cd. law on the books quanto la cd. law in action,15 di guisa che gli investitori non di rado non ottengono tutela delle proprie ragioni.16
Quanto al diritto scritto, anche a tacer d’altro,17 basti per esempio rammentare come, innanzitutto, la lunghezza dei procedimenti amministrativi renda l’avvio di una qualsiasi iniziativa imprenditoriale assai più complicata che altrove;18 come, inoltre, l’insieme delle regole giuridiche che governano le società chiuse sia ancora troppo rigido19 e non sia del tutto in grado di dare sistemazione agli interessi dei cd. “finanziatori dell’innovazione”;20 come, ancora, il diritto fallimentare, ancorché nel complesso oggi ispirato a finalità di “recupero” e non più di tipo “punitivo”, debba essere ulteriormente migliorato al fine di porre l’imprenditore sfortunato nella effettiva condizione di godere di un “fresh start” che, pur ferma l’esigenza di prevenire eventuali abusi dei nuovi istituti,21 consenta di mettere a frutto la lezione appresa dalla precedente esperienza imprenditoriale, piuttosto che stigmatizzarne l’insuccesso con l’estromissione dal mercato.22
Quanto, d’altra parte, al sistema di enforcement delle regole vigenti, è noto come la ormai proverbiale lentezza del sistema giudiziario italiano sia di per sé in grado di incidere significativamente sulla scelta degli imprenditori di “emigrare” verso ordinamenti in grado di assicurare una più celere e quindi più efficace amministrazione della giustizia.23 Né vi è alcun bisogno di ribadire come i giudici siano – oggi non meno di quindici anni fa, talune recenti vicende giurisprudenziali lo dimostrano24 – spesso incapaci di badare alla «sostanza economica» delle controversie societarie, più di frequente articolano deboli argomentazioni basate su sterili categorie formalistiche che lanciano messaggi assai poco seducenti al pubblico degli stakeholders coinvolti od anche solo interessati25. Senza dire che, quando poi si osservano nell’insieme le evoluzioni del diritto «vivente» dei servizi di investimento26, risulta difficile superare il timore che anche tale settore dell’ordinamento possa andare incontro a (o stia già subendo) preoccupanti derive sclerotizzanti27, spesso basate sull’inconcludente retorica della «protezione della parte debole a tutti i costi».
Non si vogliono – sia chiaro – disconoscere le numerose azioni che il legislatore italiano ha da ultimo intrapreso per ovviare a questo stato di cose, di alcune delle quali va meritoriamente dato atto perché riflettono la volontà del legislatore di rendere più competitivo il “prodotto” normativo domestico nel contesto dell’ormai globale «mercato delle regole».28 Quanto, ad esempio, alla disciplina degli strumenti di superamento della crisi dell’impresa, è sufficiente richiamare gli sforzi diretti all’informatizzazione delle procedure fallimentari, con conseguente abbattimento dei correlati «costi morti». Analoghe considerazioni valgono con riferimento alla nuova disciplina del c.d. processo informatico, che ci si augura possa fornire, già ad una prima verifica, dati incoraggianti circa alla complessiva riduzione dei tempi del processo civile.
4. In verità, il legislatore aveva mostrato una notevole sensibilità rispetto a questi temi già tempo addietro. Era stato proprio al fine di rimediare alla complessiva inadeguatezza del quadro di regole giuridiche vigenti che, quasi due anni fa, l’allora Governo Monti aveva intrapreso un’azione di riforma volta, dapprima, a rimediare alla drammaticità dello stato di crisi in cui versava l’economia del Belpaese29; e poi, sulla scorta dei risultati del rapporto “Restart Italia” del luglio 201230 – a creare un sistema normativo capace di meglio supportare la ripresa, anche e soprattutto attraverso l’incentivazione di un olistico e strutturale processo di rinnovamento della corporate Italia.31
È, dunque, proprio nell’implicito giudizio di inadeguatezza formulato con riferimento alle allora vigenti – e nel conseguente svantaggio competitivo che ne derivava per gli operatori economici nazionali32 – che occorre ricercare le coordinate “ambientali” utili ad intendere la genesi di quel cd. “Decreto Crescita bis” con cui l’Esecutivo nazionale ha inteso dare attuazione sia alle strategie elaborate a Bruxelles per agevolare il superamento della crisi finanziaria globale attraverso un’opera di “rianimazione” dell’imprenditorialità continentale,33 sia alle raccomandazioni più specificamente rivolte dalle istituzioni comunitarie al solo Governo italiano.34
Ed infatti, come il tenore di talune previsioni legislative incluse lascia chiaramente intendere,35 uno degli obiettivi specifici delle «ulteriori misure [adottate] per la crescita del Paese» era proprio quello propiziare la transizione del sistema produttivo nostrano verso un modello autenticamente incentrato sulla conoscenza: un sistema che, a transizione avvenuta, fosse perciò capace di costantemente generare innovazione, in tal modo inducendo – come l’esperienza israeliana ha da ultimo dimostrato possibile36 – un significativo sviluppo economico37 e quindi, in ultima istanza, un apprezzabile e diffuso miglioramento delle generali condizioni di welfare.38
5. Non può però farsi a meno di osservare come le scelte effettuate dal legislatore italiano, nel momento in cui ha tradotto in concreti atti normativi le indicazioni ricavabili dal quadro di policy per sommi capi appena abbozzato pongano problemi di non poco momento. Anche in difetto di ogni indagine seriamente volta ad operare una vera e propria verifica quantitativa dell’impatto della nuove discipline,39 l’impressione che in concreto da subito si era avvertito ad una prima, fugace lettura del complessivo testo normativo era che il quadro di regole sull’imprenditorialità innovativa così introdotto fosse destinato a scontare le conseguenze della frettolosità che ne aveva caratterizzato l’elaborazione.
Eloquenti, in proposito, sono le considerazioni della dottrina societaria in merito alle confondenti evoluzioni della disciplina delle varie tipologie di società a responsabilità limitata, che in un assai breve torno di tempo sono state introdotte, modificate e poi abrogate.40 Emblematica era apparsa, però, soprattutto la scelta del legislatore italiano di consentire anche alle start-up innovative di offrire in sottoscrizione al pubblico dei risparmiatori titoli rappresentativi del proprio capitale di rischio: in spregio alla logica che – in linea con taluni modelli ideali di close corporation41 – tipicamente informava (e nel complesso ancora informa) la disciplina della società a responsabilità limitata italiana42 (come anche delle corrispondenti forme societarie di altri paesi),43 e senza che a tale scelta si sia accompagnata una rimodulazione – anche tramite un mero contratto standard – della logica organizzativa del tipo,44 il diritto positivo vigente consente (ora) che le quote di start-up innovative organizzate in forma società a responsabilità limitata possano essere offerte in sottoscrizione al pubblico indistinto dei risparmiatori45 – sia attraverso più tradizionali canali di comunicazione di massa, sia mediante quei cd. «portali per la raccolta di capitali di rischio on line», la cui disciplina rappresenta senz’altro una delle più importanti novità introdotte dal detto “Decreto Sviluppo bis”.46
6. Proprio nell’intento di agevolare la raccolta di capitale di rischio da parte delle startup innovative, ed in tal modo attenuare le difficoltà con cui – come accennato – le startup sono normalmente costrette a misurarsi quando si tratta di reperire le risorse finanziarie necessarie allo svolgimento dell’attività di impresa, il legislatore italiano ha introdotto una specifica disciplina per il cd. equity crowdfunding.
Anche tale disciplina, tuttavia, obbliga il giurista – sia accademico, sia pratico – a confrontarsi con problematiche importanti, che vanno oltre mere questioni interpretative ed investono la più intima logica di un sistema di regole “concepito” accidentalmente, “nato” estemporaneamente e “cresciuto” selvaggiamente. Così egli è costretto alfine a dare atto della superficialità del regolatore domestico: basterebbe a questo proposito ricordare che – piuttosto sorprendentemente – il diritto scritto attualmente non prevede alcuna sanzione per l’emittente che abbia trasmesso al pubblico informazioni non veritiere.47
Non è questa però la sede per indagare, ed invero neppure per elencare, le numerose criticità di quell’articolato sistema di regole; basti invece qualche considerazione di carattere più generale e volutamente preliminare. È da dire, innanzitutto, che i dubbi emersi in merito alla bontà delle scelte regolatorie erano da subito stati numerosi e notevoli: preoccupazione aveva immediatamente destato la complessiva “pesantezza” del regime italiano48.
Ciò vale senz’altro per le linee fondamentali della regolamentazione tracciate dal legislatore primario, che – similmente a quanto del resto accaduto anche negli Stati Uniti49 – erano da subito sembrate inadeguate; eccessiva, in particolare, era sembrata la sensibilità verso le istanze di tutela della “folla”, che il regolatore si è sforzato di proteggere a tutti i costi senza considerare i costi in tal modo generati a carico di emittenti e portali e, oltretutto, spingendosi fino al punto di introdurre strumenti di tutela di assai dubbia utilità pratica50.
Ma ciò vale altresì per le regole successivamente introdotte dalla Consob, l’autorità di settore deputata a provvedere all’implementazione della scarna disciplina primaria, che erano apparse assai poco capaci di riflettere la peculiarità delle dinamiche di questo settore della finanza per l’innovazione, nel complesso atteggiandosi, invece, come il “frutto” di un neppure troppo sapiente esercizio di “copia-e-incolla” del regime continentale in materia di servizi di investimento con l’aggiunta di un minimale pizzico di originalità, peraltro proprio dove meno serviva.51
Certo, riuscire nel pioneristico tentativo di regolare efficacemente un fenomeno così nuovo era difficile,52 ma regolarlo in modo peggiore era però quasi impossibile o comunque missione ardita.
* Nel presente contributo sono state rielaborate le idee espresse nell’editoriale predisposto (da Casimiro Antonio Nigro e Vittorio Santoro) in lingua inglese, per la rivista internazionale European Company Law (edita dalla Wolters Kluwer International) ed è frutto delle attività di ricerca svolte nel contesto del PRIN n. 20107A8N8C. Il PRIN n. 20107A8N8C, intitolato alla Governance dei mercati europei, è un progetto di ricerca di interesse nazionale diretto da Vittorio Santoro e co-finanziato dal MIUR – Ministero per l’Istruzione, l’Università e la Ricerca e dall’Università di Siena, l’Università di Perugia, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, l’Università Federico II di Napoli, la Seconda Università di Napoli e l’Università Roma Tre. Presso tali università sono state istituite altrettante unità di ricerca, dirette, rispettivamente, da Vittorio Santoro, Enrico Tonelli, Antonella Sciarrone Alibrandi, Marilena Rispoli Farina, Andrea Paciello e Paolo Valensise. Per ulteriori dettagli, v. <http://cercauniversita.cineca.it>.
1 In prospettiva storica (pur se con limitato riferimento agli Stati Uniti), v. Munro, The Roots of Modern Capitalist Entrepreneurship; Cain, Entrepreneurship in the Antebellum United States; Lamoreaux, Entrepreneurship in the United States 1865-1920; Graham, Entrepreneurship in the United States 1920-2000, tutti in Landes-Mokyr-Baumol, The Invention of Enterprise, Princeton, 2010, rispettivamente alle pp. 331 ss., 367 ss. e 401 ss. V., però, Gordon, Why Innovation Won’t Save Us, in The Wall Street Journal – on line edition, December 21st, 2012, accessibile all’indirizzo <www.online.wsj.com> (del quale Autore si veda pure, amplius, Is U.S. Economic Growth Over? Faltering Innovation Confronts The Six Headwinds – NBER Working Paper no. 18315, disponibile sul sito istituzionale del National Bureau of Economic Research, all’indirizzo www.nber.org).
2 V. Schumpeter, The Creative Response in Economic History (1947), in The Journal of Economic History 7, pp. 149-159, spec. p. 150.
3 V., per ogni approfondimento, Acs-Audretsch, Innovation in Large and Small Firms: an Empirical Analysis (1988), in American Economic Review 78, pp. 678-690.
4 V. Eu Commission, Innovation Union Scoreboard 2014 (2014), available at <www.ec.europa.eu>, spec. p. 11, Tabella 3 (ove anche la notazione secondo cui «[t]he third group of Moderate innovators includes Member States where the innovation performance is below that of the EU average at relative performance rates between 50% and 90% of the EU average. Croatia, Czech Republic, Greece, Hungary, Italy, Lithuania, Malta, Poland, Portugal, Slovakia and Spain belong to the group of Moderate innovators»).
5 V. Eu Commission, Innovation Union Scoreboard 2014, cit., ibidem (ove si sottolinea che «[t]he first group of Innovation leaders includes Member States in which the innovation performance is well above that of the EU, i.e. more than 20% above the EU average. These are Denmark, Finland, Germany and Sweden, which confirms the top position of these countries as compared with last year’s edition of the Innovation Union Scoreboard»; e che «[t]he second group of Innovation followers includes Member States with a performance close to that of the EU average i.e. less than 20% above, or more than 90% of the EU average. Austria, Belgium, Cyprus, Estonia, France, Ireland, Luxembourg, Netherlands, Slovenia and the UK are the Innovation followers»).
6 V. Enriques-Gargantini, Form and Function in Doing Business Rankings: Is Investor Protection in Italy Still So Bad? Max Planck Institute Luxembourg Working Paper No. 1 (2014), disponibile all’indirizzo <www.mpi.lu>.
7 Per una dettagliata analisi ‘multidimensionale’ dell’‘innovation gap’ che affligge l’Italia, v. il recente lavoro di Benvenuti-Casolaro-Gennari, Metrics of Innovation: Measuring the Italian Gap – Occasional Paper Series no. 168 (2013), liberamente accessibile all’indirizzo <www.bancaditalia.it>. Contra, v. invece Rullani, Economia della conoscenza, Carocci, 2004, il quale una articola una peculiare teorizzazione intorno alla presunta inesistenza del detto ‘ritardo’ rispetto ad altri paesi.
8 Lo ribadisce da tempo la Commissione Europea: v., da ultimo, Communication from the Commission ‘Guidelines on State Aid to Promote Risk Finance Investments’ C (2014) 34/2 [SWD(2014) 6] [SWD(2014)7] (2104), accessibile all’indirizzo <www.ec.europa.eu>.
9 V.J. Lener, The Governance of New Firms, in Lamoreaux-Sokoloff, Financing Innovation in the United States: 1870 to the present, MIT Press Scholarship, 2007, pp. 405-432, spec. p. 406.
10 V. Collins-Pierrakis, The Venture Crowd. Crowdfunding Equity Investment into Business (2012), disponibile all’indirizzo <www.nesta.org.uk>, spec. p. 17.
11 Per una esaustiva discussione intorno al significato del termine ‘instituzione’ v. Greif, Institutions and the Path to the Modern Economy. Lessons From Medieval Trade, Cambridge, 2006, spec. pp. 29 ss.
12 A partire dallo studio di La Porta-Lopez-De-Silanes-Shleifer-Vishny, Legal Determinants of External Finance (1997), in Journal of Finance 52, pp. 1131–1150.
13 Ferme restando le criticità delle metodologie utilizzate negli studi di law & finance (v. ), vi è un dato su cui gli studiosi convergono quasi unanimemente: e cioè che si è in tal modo evidenziata l’importanza della correlazione tra diritto e, appunto, finanza: v., per un sommario, Aguilera-Williams, ‘Law and Finance’: Inaccurate, Incomplete, and Important, U Illinois Law & Economics Research Paper No. LE10-002 (2009), disponibile all’indirizzo <www.ssrn.com>.
14 Mosco, The ‘Cage of Rules’ in Italy: Proposals to ‘Unlock’ It (2013), disponibile all’indirizzo <ssrn.com>.
15 Pound, Law in Books and Law in Action (1910), in 44 Am. L. Rev., pp.12-36.
16 V. infra, nt. 24.
17 Segnatamente, dei problemi determinati dalla rigidità delle discipline giuslavoristiche e dalle regole fiscali.
18 Per un’aggiornata analisi della questione, v. (tuttavia in Italiano) Occhilupo, La riduzione di tempi e costi di avvio dell’attività d’impresa in Italia Ancora (vani) tentativi di riforma (2012), in XIV Mercato Concorrenza Regole, pp. 39-68.
19 In tema, v. il ‘manifesto’ predisposto da Enriques, Diritto societario: come riformarlo in 20 mosse, in First online, 12 aprile 2014, liberamente accessibile all’indirizzo <www.firstonline.info>, il quale – tra l’altro – propone, con specifico riferimento alla disciplina delle società a responsabilità limitata, di «[a]mpliare l’autonomia statutaria delle società a responsabilità limitata fino ai limiti consentiti dal diritto europeo. Tutte le norme non imposte da quest’ultimo dovrebbero essere suppletive, salvo eccezioni ben circoscritte che coinvolgono i terzi (come ad es. gli art. 2471 e 2471-bis, c.c.).»; e più in generale di «[e]splicitare che la disciplina delle società di capitali è inderogabile solo quando sia così espressamente stabilito, che le relative norme sono di stretta interpretazione e che ne è vietata l’applicazione analogica, inserendo un principio generale per cui tutte le clausole statutarie e parasociali che non sono espressamente vietate sono valide» (e[p]iù in generale, ossia oltre l’ambito societario, sarebbe utile prevedere, attraverso una modifica dell’art. 1418, che le norme da considerare imperative ai fini della nullità dei contratti siano solo quelle espressamente individuate come tali dalla legge», notando che «[p]er rendere più facilmente approvabile una simile modifica, essa potrebbe farsi accompagnare da una ricognizione delle norme oggi vigenti che si ritenga di dover ritenere inderogabili anche in futuro (prevedendo una delega al governo a ‘salvare’ entro sei mesi, con decreto legislativo, le nullità virtuali che si ritenessero essenziali per la tutela degli interessi protetti dalle norme medesime)». A dire dell’Autore, oltretutto, sarebbe anche efficace e perciò auspicabile «[c]onsentire la creazione di società di persone a responsabilità limitata, secondo il modello della limited liability partnership».
20 V., infra, nt. 21, 24 e 25.
21 Occorre infatti predisporre presidi utili ad evitare che i nuovi istituti – innanzitutto il concordato preventivo – si trasformino in espedienti per sottrarsi al pagamento dei debiti senza poi ripartire, innescando una serie di fallimenti a catena che minano alla radice la stessa stabilità del sistema imprenditoriale.
22 L’importanza di un approccio benevolo nei confronti degli imprenditori insolventi è stato più volte sottolineato in ambito continentale: v. per esempio, Eu Commission, A Second Chance for Entrepreneurs – Prevention of Bankruptcy, Simplification of Bankruptcy Procedures, and Support for a Fresh Start. Final Report Of The Expert Group (2011), accessibile all’indirizzo <www.europa.eu>; e anche Eu Commisssion, Recommandation of the Commission of 12 March 2014 [C(2014) 1500 final] on a new approach to business failure and insolvency, [SWD(2014) 61 final] [SWD(2014) 62 final], liberamente accessibile all’indirizzo <www.ec.europa.eu>. in letteratura, su tutti Armour-Cumming, Bankruptcy Law and Entrepreneurship (2008), in American Law Economic Review 10, pp. 303-350.
23 V. Servizio Studi del Senato della Repubblica Italiana, Dati statistici relativi all’amministrazione della giustizia in Italia (2013), liberamente accessibile all’indirizzo , spec. p. 74 (ove i raccapriccianti dati estrapolati dal The Eu Justice Scoreboard – A Tool to Promote Effective Justice and growth della Commissione Europea con riferimento all’anno 2010 in relazione alla durata delle cause civili e commerciali di natura contenziosa nei Paesi Europei – tra i quali significativamente solo due altri Stati Membri recano indicatori di performance peggiori).
24 Si pensi, ad esempio, alle difficoltà di reperimento di una giustificazione plausibile alla scelta della giurisprudenza italiana (v. Trib. Milano 31 Marzo 2008, in Giur. comm., 2009, I, pp. 1233-1245) di dire, almeno per ora, invalide le clausole di trascinamento, che rivestono importanza notoriamente fondamentale per i venture capitalists ed i business angels in quanto strumenti di soluzione ex ante del conflitto di interessi tra imprenditore e finanziatore che potrebbe pregiudicare l’esito di un evento di disinvestimento altamente profittevole. Sultema, v. (tuttavia in italiano) C. Angelici, Between ‘Market’ and ‘Corporation’: On Venture Capital and Drag Along (2011), available at <www.ssrn.com>.
25 V. Enriques, Do Corporate Law Judges Matter? Some Evidence From Milan (2002), in European Business Organization Law Review 3, pp. 756-821.
26 V., per esempio, Cass., Sez. Un., 3 giugno 2013, n. 13905, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, pp.6-12; e, successivamente, la Cass., Sez. III, 3 aprile 2014, n. 7776. Ma v., anche, Trib. Torino, 22 dicembre 2010, in ivi, 2011, I, pp. 687-692; e, poi, Trib. Trapani, 3 aprile 2013, in ivi, 2013, I, pp.884-890.
27 V., tuttavia a proposito del diritto societario, Enriques, Diritto societario statunitense e diritto societario italiano: in weiter Ferne, so nah, in Giur. comm., 2007, I, 274-286.
28 V., ampiamente, O’Hara-Ribstein, The Law Market, Oxford University Press, 2009 (tuttavia con specifico riguardo al contesto statunitense). Per un ampio studio empirico sul tema, v., invece, Hornuf, Regulatory Competition in European Corporate and Capital Market Law: An Empirical Analysis, Berlin, 2011. Quanto al contesto italiano nell’ambito di un discorso concernente però la dimensione europea, v. invece Ventoruzzo, Experiments in Comparative Corporate Law: The Recent Italian Reform and the Dubious Virtues of a Market for Rules in the Absence of Effective Regulatory Competition (2005), in European Company and Financial Law 2, pp. 207–269. Resta comunque ancora molto da fare, innanzitutto per quanto attiene al diritto societario: v. Enriques, Diritto societario: come riformarlo, cit. [nt.19].
29 Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, recante ‘Misure urgenti per la crescita del Paese’, sì come convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che – vale appena la pena di ricordare – aveva introdotto (proprio per consentire alle piccole e medie imprese di far fronte alle conseguenze del cd. credit crunch) una nuova disciplina delle cambiali finanziarie e previsto la possibilità di procedere alla emissione dei cd. minibonds. Per un primo commento delle pertinenti disposizioni (art. 32, L. 7 agosto 2012, n. 134), v. Briolini, La nuova disciplina delle cambiali finanziarie, in Nuove leggi civili commentate, 2013, p. 895 ss.
30 V. Restart Italia – Rapporto della Task-force sulle Startup istituita dal Ministro dello Sviluppo Economico (2012), accessibile all’indirizzo <www.sviluppoeconomico.gov.it>.
31 D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, recante ‘Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese’, sì come convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.
32 V. Restart Italia, All. 1, spec. p. 146 ss. (ove si rinviene una comparazione, generica ma comunque utile, delle discipline giuridiche incidenti sulla nascita e sviluppo di startup in alcuni Paesi, considerati modelli di riferimento, da cui si evince, appunto, l’inadeguatezza complessiva di alcune fondamentali sistemi di regole giuridiche italiani, come, ad esempio, quello che prevede il capitale legale).
33 V. Eu Commission, Communication from the Commission Europe 2020 – A strategy for smart, sustainable and inclusive growth [COM (2010) 2020 final] del 3 marzo 2010, è il riferimento all’importanza della conoscenza e dell’innovazione, come pure il richiamo all’imprenditorialità quali drivers per il ripristino dei livelli di benessere rilevabili prima della propagazione della crisi finanziaria globale; nonché Eu Commission, Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions: Entrepreneurship 2020 action plan – Reigniting the Entrepreneurial Spirit in Europe’ [Com (2012) 795 final] del 9 gennaio 2013, entrambi accessibili all’indirizzo www.eur-lex.europa.eu).
34 Eu Council, Council Recommendation of 10 July 2012 on the National Reform Programme 2012 of Italy and delivering a Council opinion on the Stability Programme of Italy 2012-2015 (2012/C 219/14), spec. sub §5; Eu Council, Council Recommendation for a on Italy 2013 national reform programme and delivering a Council opinion on Italy’s stability programme for 2012-2017 [SWD(2013) 362 final] [COM(2013) 362 final] del 29 maggio 2013, spec. sub §3; e (per un giudizio di parziale insufficienza sulle riforme intraprese in Italia) Eu Commission, Commission Staff Working Document Assessment of the 2013 national reform programme and stability programme for Italy Accompanying the document Recommendation for a Council Recommendation on Italy’s 2013 national reform programme and delivering a Council Opinion on Italy’s stability programme for 2012-2017 [SWD(2013) 362 final] [COM(2013) 362 final] del 29 maggio 2013, , spec. p. 27 ss., tutti liberamente accessibili all’indirizzo www.eur-lex.europa.eu.
35 V. art. 25, L. 17 dicembre 2012, n. 221, inaugurante la Sezione IX (eloquentemente intitolata ‘Misure per la nascita e lo sviluppo di nuove imprese start-up innovative’) reca la disposizione secondo cui «le presenti disposizioni sono dirette a favorire la crescita sostenibile, lo sviluppo tecnologico, la nuova imprenditorialità e l’occupazione, in particolare giovanile […]».
36 Compiutamente sul tema, v. Senor-Singer, Start-up Nation: The Story of Israel’s Economic Miracle, New York, 2011.
37 Conferme sull’importanza dell’innovative entrepreneur ai fini dell’innesco di virtuosi processi di crescita economica provengono anche dalle indagini di tipo storico: al riguardo, v. Baumol-Strom, ‘Useful Knowledge’ of the Entrepreneurship: Some Implications of the History, in Landes-Mockyr-Baumol, cit, pp. 527 ss. V. anche sia Jovanovic-Rousseau, The Small Entrepreneur, sia Baumol, Toward Analysis of Capitalism’s Unparalleled Growth: Sources and Mechanism, entrambi in Sheshinski-Strom-Baumol, Entrepreneurship, Innovation, and the Growth Mechanism of the Free-Enterprise Economies, Princeton, 2007, rispettivamente alle pp. 140 e 158 ss.
38 V. Mokyr, The Gifts of Athena: Historical Origins of the Knowledge Economy, Princeton, 2004. La ‘Knowledge Assessment Methodology’ è la metodologia elaborata dalla Banca Mondiale per la enucleazione del cd. ‘Knowledge Economy Index’, un indice che misura la capacità di un dato Paese o di una data regione geografica a competere sul piano della Knowledge Economy: al riguardo, basti notare come attualmente l’Italia occupi, nel ranking relativo all’anno 2012, la trentesima posizione, e come rispetto al 2000 il nostro Paese abbia perso (ben) tre posizioni.
39 In un recente documento intitolato ‘Restart, Italia! Un anno dopo la normativa del ministero dello sviluppo economico per favorire l’ecosistema delle startup’, disponibile all’indirizzo <www.italiastartup.it>, si rinviene infatti un mero riepilogo statistico della corrente popolazione delle startup innovative, senza però provvedere ad alcuna valutazione di impatto della regolamentazione.
40 In tema, v. ampiamente Spolidoro, Una società a responsabilità limitata da tre soldi (o da un euro?), in Rivista delle Società, 2013, pp. 1085-1113.
41 In una prospettiva funzionale, v. più di recente Bachmann-Eidenmüller-Engert-Fleischer-Schön, Regulating the Close Corporation, De Gruyter, 2013, p. 179 ss., spec. p. 193 (ove si evidenzia come, nonostante l’importanza di favorire la trasferibilità dei titoli rappresentativi della partecipazione in una società chiusa attraverso la riduzione del relativi costi di transazione, «[it] isnowargued […] that there is no need for freely tradable GmbH shares or even their market ability on the stock exchange. Instead, it is argued that the legitimate aims in structuring the law of the closed corporation include keeping shares of a closed corporation away fromthe capital markets by suitable provisions»).
42 V., sul punto, Stella Richter, Antecedenti e vicende della società a responsabilità limitata, in Dolmetta-Presti-Maria (Eds.), S.r.l. commentario. Dedicato a Giuseppe Portale, Giuffrè, 2011, pp. 1-14; e Dolmetta, Sul ‘tipo’ Srl, in ivi, pp. 15-46.
43 V., succintamente, De Donno, From Simplified Companies to One-Man Limited Enterprises (2014), in European Company Law 11, pp. 155-156; e, più ampiamente, Andenas-Wooldridge, European Comparative Company Law, Cambridge University Press, 2009, pp. 99 ss., spec. p. 109-129.
44 V, infatti, Benazzo, La S.R.L. start-up innovativa, in Le Nuove Leggi Civili Commentate, 2014, pp. 101-130.
45 V. art. 2468, c.c.; ed art. 26, comma 5 del Decreto Sviluppo bis (secondo cui «[i]n deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, comma primo, del codice civile, le quote di partecipazione in start-up innovative costituite in forma di società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali di cui all’articolo 30 del presente decreto, nei limiti previsti dalle leggi speciali»).
46 V. artt. 50-quinquies e 100-ter D. Lgs. 24 Febbraio 1998 (Testo Unico dell’Intermediazione Finanziaria) – introdotti dall’art. 30, commi 2 e 3 del Decreto Sviluppo bis; e Delibera Consob 26 giugno 2013, n. 18592 (Regolamento sulla raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line’ ai sensi dell’articolo 50-quinquies e dell’articolo 100-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 e successive modificazioni).
47 V. Romano, The need for Competition in International Securities Regulation (2001), in 2 Theoretical Inq. L., pp. 387-562, spec. p. 402 (noting that «it is inconceivable that a securities regime would have no liability for fraud or no financial disclosure requirement when investors have even a modicum of sophistication, as such individual would not invest in securities under such circumstances (or they would pay a trivial sum for shares). More important, as no reputable issuer would register under such a regime, it would not be adopted in a nation with public or multinational corporations that desire domestic registration»).
48 V. Enriques, La disciplina italiana uccide il crowdfunding nella culla, in Mosco (Ed.), Aspetti giuridici del crowdfunding, Roma, 2014, disponibile all’indirizzo <www.crowdfuture.net>, pp. 72 ss., spec. p. 73-74.
49 V. Mac Leod Heminway, How Congress Killed Investment Crowdfunding: A Tale of Political Pressure, Hasty Decisions, and Inexpert Judgments that Begs for a Happy Ending (2014), in 102 Kentucky Law Journal, pp. 865-889.
50 Quali sono in effetti – ci si deve chiedere con riferimento alle disposizioni di cui, rispettivamente, agli artt. 30, comma 2, D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, cit. supra [nt. 34] ; e 24, comma 2, Delibera Consob 26 giugno 2013, cit. supra [nt. 49] – i vantaggi di una disciplina che di fatto espropria la ‘folla’ del potere di decidere quali progetti imprenditoriali finanziare?
51 Ci si riferisce alla disciplina del diritto di ripensamento: v. art. 13, comma 5, Delibera Consob 26 giugno 2013, cit. supra [nt. 49].
52 V. Mosco, La nuova regolamentazione dell’equity crowdfunding, in Id. (Ed.), Aspetti giuridici del crowdfunding, cit., p.6 ss., spec. pp. 9-10 che sottolinea la difficoltà di coniugare lo spontaneismo delle dimamiche tipiche del web. 2.0 e la rigidità della disciplina dei procedimenti di raccolta del risparmio presso il pubblico indotta da esigenze di ordine pubblico e, soprattutto, di tutela degli investitori.