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Equo compenso e nuovo Codice dei Contratti

16 Novembre 2023

Filippo Brunetti, Partner, Chiomenti

Bernardo Antonio Masso, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo affronta il tema del difficile rapporto tra la disciplina della legge sull’equo compenso e quella del nuovo Codice dei Contratti pubblici, il cui coordinamento è fondamentale per definire il compenso delle prestazioni professionali nelle gare pubbliche.


1. Premessa

Tra le plurime novità determinate dalla recente novella normativa di cui al nuovo Codice dei contratti pubblici (Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36)[1], il Legislatore non ha mancato di includere, all’interno dei “Principi generali” di cui al Titolo I, della Parte I del Libro I del Codice, il principio di autonomia contrattuale stabilendo, contestualmente, il divieto di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito. Più in dettaglio, l’art. 8, comma 2, del Codice stabilisce che: “[l]e prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso[2]. Parafrasando la littera legis, il Codice introduce il divieto generale di prestazioni gratuite da parte dei professionisti ed impone alle Pubbliche amministrazioni il rispetto del principio dell’equo compenso delle prestazioni professionali, salvo poi introdurre un’eccezione di carattere discrezionale che, a fronte di un’adeguata motivazione sull’eccezionalità del singolo caso, giustifichi la gratuità della prestazione.

Inoltre, l’art. 41, comma 15, del Codice rinvia all’allegato I.13 del medesimo Codice per l’indicazione delle modalità di determinazione dei corrispettivi per le fasi progettuali da porre a base degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura, precisando però che devono essere commisurati al livello qualitativo delle prestazioni e delle attività.

Le disposizioni del Codice devono essere lette in combinato disposto con quanto statuito da un’ulteriore – e di poco successiva – novella legislativa, ovvero la Legge 21 aprile 2023, n. 49, recante “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali”.

La lettura coordinata dei due corpora normativi pone però rilevanti dubbi interpretativi sui quali si vuole qui svolgere una riflessione.

Come detto, il Codice consente in casi eccezionali (senza chiarire quali siano) la possibilità di prestazione professionale a titolo gratuito, che però la legge dell’equo compenso vieta.

L’art. 3, comma 1, lettera c) della Legge n. 49/2023 (applicabile alla Pubblica Amministrazione ed alle società a partecipazione pubblica ai sensi dell’art. 2, comma 3, della medesima legge) definisce nulle le clausole e le pattuizioni che “non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, per la professione forense, o ai parametri fissati con il decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), della presente legge.

La lettura coordinata delle due normative ora citate non è quindi operazione agevole. Il presidente ANAC con atto del 27 giugno 2023, pubblicato sul sito istituzionale il 4 agosto 2023[3], fa presente di avere ricevuto molte richieste di chiarimenti concernenti il coordinamento della disciplina legislativa dell’equo compenso (legge 21 aprile 2023, n. 49) con il Decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36, Codice dei Contratti, entrato in vigore in data 1 luglio 2023.

Osserva il Presidente ANAC che “sia la formulazione dell’articolo 41, comma 15, [del D.lgs. n. 36/2023] che l’articolato di cui alla legge n. 49 del 2023 pongono il dubbio di come debbano intendersi le previsioni dei parametri di riferimento delle prestazioni professionali di cui alle tabelle ministeriali contenute nel decreto del Ministro della giustizia 17 giugno 2016 e richiamate all’interno dell’Allegato I.13 al nuovo Codice dei contratti.

Precisa altresì l’ANAC che “si pone il problema di valutare se attraverso la legge n. 49 del 2023 il Legislatore abbia reintrodotto dei parametri professionali minimi. Deporrebbe, in questo senso anche il Parere della XIV Commissione Permanente (Politiche dell’Unione Europea) del 18.01.2023 sulla proposta di legge C. 338. Accogliendo tale impostazione, si porrebbe l’ulteriore difficoltà di comprendere quale possa essere il ribasso massimo che conduce a ritenere il compenso equo nell’ambito delle procedure di affidamento dei servizi di ingegneria e di architettura. (…)”.

Giova al riguardo evidenziare che il difficile connubio tra legge sull’equo compenso e codice dei contratti pubblici riguarda tutte le prestazioni professionali da affidare mediante procedure ad evidenza pubblica, non solo quelle legate alla progettazione, ma, ad esempio, anche ai servizi contabili e di rendicontazione, nonché ai servizi legali.

Per procedere al tentativo di un’interpretazione congiunta dei due plessi normativi di cui si è detto è opportuno ricordare come la legge n. 49 del 2023 sull’equo compenso costituisca il più recente intervento legislativo all’esito di uno sviluppo normativo e giurisprudenziale non privo di una certa complessità e che giova richiamare brevemente in questa sede.

2. Lo sviluppo normativo e giurisprudenziale sulla disciplina dell’equo compenso

Il Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 (c.d. “decreto Bersani”)[4] ha abolito le disposizioni normative e regolamentari che prevedevano l’obbligatorietà dei minimi tariffari, lasciando quindi piena libertà all’autonomia contrattuale tra cliente e professionista di quantificare il relativo onorario. Sussistevano comunque alcune eccezioni di rilievo, tra cui appunto la facoltà per le stazioni appaltanti di utilizzare le tariffe, ove motivatamente ritenute adeguate, quale criterio o base di riferimento per la determinazione dei compensi per i servizi professionali[5].

L’art. 9 del Decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1[6], ha poi abrogato le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico e, successivamente, l’emanazione di decreti ministeriali attuativi ha sancito il passaggio dalle “tariffe” ai “parametri”[7], ovvero a quei criteri idonei a stabilire l’equo compenso per le prestazioni fornite.

In seguito, con riferimento alle prestazioni professionali a favore delle Pubbliche amministrazioni, l’art. 19-quaterdecies, comma 3, del Decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148[8], stabiliva che la Pubblica amministrazione, in attuazione dei principi di trasparenza, buon andamento ed efficacia delle proprie attività, avrebbe garantito il principio dell’equo compenso in relazione alle prestazioni rese dai professionisti.

Con riferimento alle norme appena richiamate, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) si è più volte pronunciata nel corso degli anni salutando con favore l’abolizione dei minimi tariffari ed esprimendosi in senso fortemente critico verso l’introduzione di una normativa sull’equo compenso, idonea – a detta dell’AGCM – a vanificare gli effetti pro-concorrenziali dei menzionati interventi normativi. A titolo esemplificativo, l’AGCM si era espressa in termini critici[9] già con riferimento alla possibilità, prevista dalla Legge n. 247/2012, di liquidare il compenso professionale, in assenza di accordo tra professionista e cliente, attraverso i parametri ministeriali.

Aspra critica è stata altresì espressa con riguardo al predetto art. 19-quaterdecies del Decreto legge n. 148/2017, definendolo di fatto una reintroduzione sostanziale dei minimi tariffari con l’effetto di ostacolare la concorrenza di prezzo tra professionisti anche nei rapporti con la Pubblica amministrazione, alla quale sarebbe preclusa la possibilità di accettare prestazioni con compensi inferiori a quelli fissati nei decreti ministeriali. Per l’Autorità “il descritto intervento normativo, ove attuato nei termini proposti, determinerebbe quindi un’ingiustificata inversione di tendenza rispetto all’importante ed impegnativo processo di liberalizzazione delle professioni, in atto da oltre un decennio e a favore del quale l’Autorità si è costantemente pronunciata.[…] Secondo i consolidati principi antitrust nazionali e comunitari, infatti, le tariffe professionali fisse e minime costituiscono una grave restrizione della concorrenza, in quanto impediscono ai professionisti di adottare comportamenti economici indipendenti e, quindi, di utilizzare il più importante strumento concorrenziale, ossia il prezzo della prestazione”. Le richiamate disposizioni in tema di equo compenso “per quanto circoscritte a determinate tipologie di rapporti contrattuali (“clienti forti” e PA), non sono giustificate da un motivo imperativo di interesse generale, né rispondono al principio di proporzionalità, in quanto hanno l’effetto di eliminare in radice il confronto concorrenziale[10].

Il predetto quadro normativo è stato interpretato ed applicato dalla giurisprudenza in modo non sempre univoco, tuttavia emerge un certo favor per l’orientamento “pro-concorrenziale” sotteso agli interventi del Legislatore.

Più precisamente, da un punto di vista generale è possibile notare come, a seguito dell’abolizione dei minimi tariffari, la giurisprudenza amministrativa si sia dimostrata contraria ad una loro possibile reintroduzione surrettizia attraverso i principi deontologici dei singoli ordini professionali. In questi termini si è espresso il Consiglio di Stato, sez. VI, con la sentenza n. 238 del 2015[11], affermando che i concetti di dignità e decoro della professione non costituiscono parametri validi per la determinazione del compenso[12]. A detta del Consiglio di Stato, le regole deontologiche che commisurino il compenso al decoro professionale si rivelano restrittive della concorrenza e non possono essere considerate necessarie al perseguimento di legittimi obiettivi come la tutela del consumatore. È dirimente rammentare che detta sentenza è stata pronunciata all’esito del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea che, con sentenza C-136/12 del 18 luglio 2013, ha precisato che il riferimento alla dignità della professione, quale criterio di commisurazione delle parcelle per i professionisti, può avere effetti restrittivi della concorrenza nel mercato interno.

In una direzione sicuramente vicina alle intenzioni “liberalizzanti” del Legislatore, con riferimento alle prestazioni erogate nell’ambito di contratti pubblici, la giurisprudenza ha affermato la compatibilità dell’equo compenso anche con incarichi professionali gratuiti, pur non mancando sentenze in senso contrario.

Al riguardo vale la pena richiamare la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione V, n. 4614 del 2017[13], che, nel riformare la sentenza del giudice di primo grado[14], ha declinato il concetto di “onerosità” incluso nella definizione normativa di “appalto pubblico”[15] in un senso ampio, tale da ammettere un bando che preveda offerte gratuite (salvo il rimborso delle spese), ogniqualvolta dall’effettuazione della prestazione contrattuale il contraente possa figurare di trarre un’utilità economica lecita e autonoma, quand’anche non corrispostagli come scambio contrattuale dall’Amministrazione appaltante (ne è un tipico esempio l’effetto economicamente vantaggioso, seppur indiretto, di potenziale promozione esterna dell’appaltatore).

L’affermazione di tale indirizzo giurisprudenziale è stato tutt’altro che pacifico. La sentenza richiamata destò forti polemiche da parte delle categorie professionali, tanto da determinare, poco dopo, l’intervento del richiamato Decreto legge n. 148/2017 e quindi l’insorgenza di prese di posizione, da parte di Tribunali amministrativi regionali, diametralmente opposte a quella espressa dal Consiglio di Stato. Ci si riferisce, ad esempio, alla sentenza del Tar Catanzaro, sezione I, n. 1507 del 2018, che, con riguardo al medesimo bando nuovamente oggetto di sindacato, dichiarandosi consapevole della summenzionata pronuncia del Consiglio di Stato, ha esplicitamente dichiarato di ribadire la posizione già espressa con la sentenza n. 2435 del 2016, ovvero quella già riformata dai giudici di Palazzo Spada[16]. La sentenza è stata riformata dal Consiglio di Stato, sezione V, n. 5924 del 2019, senza però che il giudice di appello si pronunciasse nel merito, ma dichiarando il ricorso in primo grado inammissibile in rito[17].

Sotto un diverso punto di vista, altri giudici amministrativi, nel censurare la disciplina contenuta in avvisi pubblici nella parte in cui prevedevano onorari in contrasto con il principio dell’equo compenso, precisavano che tali previsioni non possono essere giustificate dall’esigenza di riequilibrio finanziario degli enti pubblici, la quale deve bensì armonizzarsi con altri principi fondamentali dell’azione amministrativa, tra cui quelli di ragionevolezza e di proporzionalità nonché, nella fattispecie, quello di equo compenso per le prestazioni professionali[18].

È significativo rilevare come la giurisprudenza abbia comunque riservato un certo grado di “particolarità” ai rapporti con le Pubbliche amministrazioni: su tutte lo testimonia la sentenza del Tar Lazio – Roma, sezione III quater, n. 9404 del 2021 che, nel rigettare il ricorso avverso la disciplina di un avviso pubblico che prevedeva compensi per professionisti avvocati inferiori ai parametri previsti nel decreto ministeriale n. 55/2014[19], affermava che il concetto di equo compenso deve per le Pubbliche amministrazioni ancorarsi a parametri di maggiore flessibilità legati da un lato, ad esigenze di contenimento della spesa pubblica e, dall’altro, alla natura ed alla complessità delle attività defensionali da svolgere in concreto. In proposito la sentenza cita la clausola di invarianza finanziaria ci cui al comma 4 dell’art. 19-quaterdecies del Decreto legge n. 148 del 2017[20].

La “flessibilità” riconosciuta nei confronti delle Pubbliche amministrazioni è confermata anche da altre pronunce del giudice amministrativo.

Con ulteriore sentenza, la n. 7442 del 2021, il Consiglio di Stato, sezione IV, ha affermato che “la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione l’ulteriore (e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto (a meno di non sostenere, anche in questo caso, che non vi possa essere alcuno spazio per la prestazione di attività gratuite o liberali da parte dei liberi professionisti)[21].

La sentenza arriva ad affermare che la legge sull’equo compenso non solo permette al professionista di rinunciare al compenso allo scopo di perseguire vantaggi economici indiretti, ma anche quello di non perseguire alcun vantaggio[22].

Non può pertanto stupire che, più in generale, con riferimento alla previsione in bandi di gara di compensi inferiori ai parametri minimi, si sia registrato un orientamento giurisprudenziale volto ad escludere la tesi secondo la quale le Pubbliche amministrazioni sarebbero sempre tenute a corrispondere al professionista un compenso non inferiore ai parametri ministeriali. A titolo esemplificativo si è espresso in tal senso il Tar Milano, sezione I, con sentenza n. 1071 del 2021[23], che, con riferimento ad una procedura comparativa da parte di un’Amministrazione comunale per il conferimento del patrocinio legale dell’ente coinvolto in un contenzioso, ha respinto il ricorso del terzo classificato che contestava la presa in considerazione delle offerte, inferiori ai parametri ministeriali minimi, del primo e del secondo classificato. Il giudice amministrativo ha precisato che “[q]uella dell’equo compenso è una disciplina speciale di protezione del professionista che ricopre la posizione di parte debole del rapporto con un cliente in grado di imporre il suo potere economico e di mercato mediante la proposta di convenzioni unilateralmente predisposte. […] La disciplina dell’equo compenso non trova pertanto applicazione ove la clausola contrattuale relativa al compenso per la prestazione professionale sia oggetto di trattativa tra le parti o, nelle fattispecie di formazione della volontà dell’amministrazione secondo i principi dell’evidenza pubblica, ove l’amministrazione non imponga al professionista il compenso per la prestazione dei servizi legali da affidare”. Il Tar Lombardia ha aggiunto che la disciplina dell’equo compenso è rivolta a tutelare la posizione del professionista debole e non l’indipendenza, la dignità e il decoro della categoria professionale, la quale è bensì presidiata dai precetti deontologici che impongono al professionista di non offrire la propria prestazione in cambio di compensi lesivi della dignità e del decoro professionale, e nel rispetto dei principi della corretta e leale concorrenza[24].

In via alquanto chiara il giudice amministrativo afferma che “imporre alle pubbliche amministrazioni l’applicazione di parametri minimi rigidi e inderogabili, anche in assenza della predisposizione unilaterale dei compensi e di un significativo squilibrio contrattuale a carico del professionista, comporterebbe un’irragionevole compressione della discrezionalità delle stesse nell’affidamento dei servizi legali, in assenza delle condizioni di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità che giustificano l’introduzione di requisiti restrittivi della libera concorrenza”.

Quanto premesso, tuttavia, non deve lasciare intendere che la Pubblica amministrazione, nello scegliere il professionista a cui assegnare un incarico professionale e nella valutazione delle rispettive offerte, possa prescindere da un meccanismo procedimentale che dia idonee garanzie circa il fatto che la concreta azione amministrativa sia ispirata a criteri, canoni e regole di assoluta imparzialità nella selezione e nella scelta dei professionisti: in questo senso si è espresso, nuovamente con riferimento a servizi professionali di carattere legale, il Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 2084 del 2023[25]. Nel caso di specie il giudice amministrativo ha ritenuto illegittima l’azione della Pubblica amministrazione poiché la scelta del professionista non era stata ancorata alla predeterminazione di alcun criterio, né preceduta da alcuna procedimentalizzazione in grado di assicurare nel contempo l’imparzialità, il buon andamento, la trasparenza ed il rispetto del principio di buona fede. Inoltre, pur essendo stata prevista la corresponsione di un compenso, la scelta del professionista era avvenuta avuto riguardo al criterio del prezzo più basso, senza previo accertamento del rispetto dell’equo compenso, atto a tutelare non solo la categoria professionale da fenomeni anticoncorrenziali, ma anche ad assicurare la qualità della prestazione.

La sentenza si rivela interessante anche per l’interpretazione ivi contenuta della giurisprudenza europea, che, a detta del Consiglio di Stato, non ha escluso a priori la possibilità di prevedere dei minimi tariffari, ma, sottolineando il rischio che la concorrenza nell’offerta di prestazioni al ribasso possa escludere dal mercato coloro che offrono prestazioni di qualità, ha in realtà ammesso che “l’imposizione di tariffe minime può essere idonea a limitare tale rischio [26].

Al riguardo, per una maggiore completezza del quadro, è utile richiamare le pronunce della Corte di Giustizia più volte citata dalla giurisprudenza. Si tratta delle sentenze C-427/2016, C-428/2016[27] e C-377/17, con cui la Corte, pur non escludendo a priori la possibilità di prevedere dei minimi tariffari, ha affermato chiaramente la necessità che detti minimi rispondano a motivi imperativi di interesse generale[28], quali appunto anche l’intento di rimediare ad una situazione di squilibrio contrattuale. Ne è un esempio la sentenza C-377/17, con cui la Corte di Giustizia non censurava di per sé la scelta della Germania di non abolire le tariffe minime di progettazione per architetti e ingegneri, ma riteneva che la determinazione di tali minimi non rispondesse ad un autentico interesse generale come quello di evitare, in un contesto come quello di un mercato caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente elevato di prestatori, a svolgere una concorrenza che potesse tradursi nell’offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti.

Per una trattazione completa del tema giova anche rilevare che, da un punto di vista civilistico, la giurisprudenza si è pronunciata con riguardo ad un’ulteriore questione, ovvero quella relativa alla rinuncia al diritto ad una remunerazione non inferiore ai parametri dell’equo compenso. Al riguardo è possibile richiamare le argomentazioni rinvenibili nella giurisprudenza afferente all’assetto normativo precedente e, in particolare, alla sentenza della Corte di Cassazione civile, sezione II, n. 25830 del 2019[29]. Nell’accogliere il ricorso di un professionista avvocato che lamentava la nullità del contratto stipulato con un’Amministrazione comunale per la violazione dei minimi tariffari – allora ancora vigenti – a fronte del chiaro tenore letterale dell’art. 24 della Legge n. 794 del 1942[30], la Corte di Cassazione affermava la pacifica disponibilità del diritto dell’avvocato al compenso in misura non inferiore ai minimi tariffari[31]. Tale rinuncia, tuttavia, non può essere automaticamente desunta dalla pattuizione che fissa un compenso inferiore ai minimi, ma deve bensì costituire oggetto di una volizione ulteriore e distinta che postuli una piena consapevolezza.

È quindi all’interno del contesto normativo e giurisprudenziale appena delineato che si inserisce la nuova disciplina sull’equo compenso di cui alla Legge 21 aprile 2023, n. 49. Giova richiamarne sinteticamente i contenuti.

3. Gli aspetti essenziali della legge n. 49 del 2023 sull’equo compenso: alcune osservazioni

Innanzitutto, la normativa in questione definisce l’equo compenso quale la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti per determinate categorie di professionisti, ovvero gli avvocati, i professionisti iscritti agli ordini e collegi e per le professioni non ordinistiche[32]. L’equo compenso trova applicazione, tra le altre, anche per le prestazioni professionali rese a favore di Pubbliche amministrazioni e società a partecipazione pubblica[33].

Rilevante novità del nuovo corpus normativo sull’equo compenso rispetto a quanto previsto dall’art. 13-bis (equo compenso e clausole vessatorie) della legge professionale forense n. 247/2012 (esteso, come rilevato sopra, anche alle altre professioni) è l’eliminazione dai presupposti di applicazione della disciplina la circostanza per cui le convenzioni siano unilateralmente predisposte dalle imprese clienti. Si manifesta pertanto l’intento del Legislatore di censurare ogni pattuizione non equa anche al di là delle ipotesi di negoziazione c.d. “standardizzata”.

Il rimedio che la legge garantisce al professionista è quello dell’azione per l’accertamento della nullità delle clausole contrattuali, tra cui è rilevante segnalare le clausole delle convenzioni che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata (tenendo conto anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera) e le pattuizioni di compensi inferiori a quelli stabiliti dai parametri di liquidazione dei compensi previsti con decreto ministeriale. Parimenti nulle sono anche le clausole che attribuiscano al cliente la facoltà di richiedere prestazioni aggiuntive gratuite[34].

La normativa precisa anche che la nullità delle singole clausole non comporta la nullità dell’intero contratto (che rimane invece valido ed efficace per il resto), inoltre questa opera solo a vantaggio del professionista ed è rilevabile d’ufficio[35]. La convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso non equo possono essere impugnati dal professionista innanzi al tribunale competente per il luogo ove egli ha la residenza o il domicilio, al fine di far valere la nullità della pattuizione e di chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata[36].

Una volta che il giudice abbia accertato il carattere non equo del compenso pattuito, procede con la condanna per il cliente al pagamento della differenza tra l’equo compenso determinato – anche con l’ausilio di un parere di congruità da parte dell’ordine o collegio di appartenenza – e quanto già versato al professionista. Il giudice può altresì condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista fino al doppio dell’appena menzionata differenza, fatto salvo il risarcimento dell’eventuale maggiore danno[37].

La nuova normativa denota anche il tentativo di valorizzare il ruolo degli ordini professionali. Tra le diverse disposizioni che coinvolgono gli ordini professionali, si segnalano l’art. 5, comma 4, che pone in capo ai Consigli nazionali degli ordini professionali la legittimazione ad adire l’autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso. Non solo, ai sensi dell’art. 9 gli ordini sono altresì legittimati ad esperire un’azione di classe per la tutela degli interessi omogenei dei professionisti. Interessante dal punto di vista deontologico è anche il richiamo all’art. 5, comma 5, che stabilisce che gli ordini adottino “disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell’obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti decreti ministeriali, nonché a sanzionare la violazione dell’obbligo di avvertire il cliente, nei soli rapporti in cui la convenzione, il contratto o comunque qualsiasi accordo con il cliente siano predisposti esclusivamente dal professionista, che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalle disposizioni della presente legge”. È altresì prevista la possibilità per le imprese di adottare, ai sensi dell’art. 6 della normativa, modelli standard di convenzione concordati con i Consigli nazionali degli ordini professionali.

Da un punto di vista processuale la legge n. 49/2023 avvantaggia il professionista prevedendo che il parere di congruità emesso dall’ordine o dal collegio professionale sul compenso o sugli onorari richiesti dal professionista possa costituire titolo esecutivo, purché (i) rilasciato nel rispetto della procedura e (ii) se il debitore non propone opposizione innanzi all’autorità giudiziaria entro quaranta giorni dalla notifica del parere stesso[38].

In generale, a detta delle categorie professionali, la normativa avrebbe il merito di fornire una riforma organica e renderebbe l’equo compenso un istituto di carattere generale nell’ambito delle professioni intellettuali[39] che non sarebbe configurabile alla stregua di una vera e propria reintroduzione delle tariffe, come lamentato dalla AGCM: mentre i minimi tariffari limitavano la volontà delle parti, così che le norme che ponevano minimi inderogabili si sostituivano imperativamente alle clausole difformi eventualmente concordate tra le parti, i meccanismi dell’equo compenso si limitano invece ad impedire condotte di abuso contrattuale, recuperando istituti di protezione del contraente debole già conosciuti dall’ordinamento (come la nullità di protezione già prevista nel Codice del consumo) e ha, peraltro, una applicazione soggettiva limitata, in quanto i rimedi forniti possono essere fatti valere solo nei confronti di determinati clienti, tra cui le Pubbliche amministrazioni[40].

Non mancano, tuttavia, alcuni dubbi interpretativi sulle disposizioni appena richiamate. Per esempio, per quanto concerne l’art. 5, comma 5 della normativa – oltre a destare un certo grado di perplessità il fatto che tale disposizione sembri aggravare la posizione del professionista da un punto disciplinare all’interno di un corpus normativo votato al presidio della posizione del professionista stesso – tenendo conto della giurisprudenza amministrativa ed europea citata supra sorgono alcune incertezze su possibili profili di frizione di tale disposizione con il diritto europeo. Già sulla base della sentenza della Corte di Giustizia C-136/12 del 18 luglio 2013[41], è possibile rilevare la possibilità che la previsione di profili deontologici per la commisurazione dell’equo compenso possa costituire una illegittima restrizione alla concorrenza in violazione dell’art. 101 TFUE.

Sorgono dubbi anche sulla disposizione di cui all’art. 5, comma 1 della normativa la quale statuisce che gli accordi tra i professionisti e i clienti a cui la normativa è applicabile “si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, salvo prova contraria”. Se, come rilevato in precedenza, elemento di novità rispetto alla normativa previgente sull’equo compenso è l’eliminazione della circostanza che l’accordo sia stato predisposto unilateralmente dal “cliente forte” per andare a censurare ogni tipo di pattuizione non equa, non è chiara la funzione della disposizione appena citata. L’interpretazione più ragionevole deve probabilmente essere svolta alla luce di quanto indicato nel citato art. 5, comma 5 della l. n. 49/2023, ovvero della possibilità di sanzionare a fini disciplinari il professionista che pattuisca un compenso non equo: ecco che la disposizione di cui al comma 1 avrebbe la funzione di fornire una sorta di presunzione di “non colpevolezza” del professionista.

Inoltre, se l’intento della nuova normativa è quello di censurare ogni tipo di convenzione che determini un compenso non equo a prescindere dalla predisposizione unilaterale da parte del “cliente forte”, non parrebbe residuare alcun margine per la facoltà del professionista di rinunciare all’equo compenso.

4. Possibili nuove prospettive

In attesa di un fisiologico intervento chiarificatore da parte della giurisprudenza, il nuovo assetto normativo presenta sicuramente alcune questioni applicative da risolvere: su tutte non è ancora dato sapere quali siano i “casi eccezionali” previsti dall’art. 8, comma II del nuovo Codice dei Contratti pubblici che ammettano prestazioni professionali gratuite e sulla base di quali parametri verrà valutata l’eventuale, effettiva eccezionalità posta alla base di una disciplina di gara che preveda prestazioni professionali gratuite.

Ad ogni modo, stante quanto premesso circa lo sviluppo normativo sull’equo compenso e la relativa interpretazione fornitane dalla giurisprudenza amministrativa, è possibile rassegnare alcune riflessioni sulle implicazioni che la disposizione del nuovo Codice dei Contratti pubblici e la recente disciplina sull’equo compenso potranno avere nei rapporti tra professionisti e Amministrazioni appaltanti.

Quanto all’apparente aporia tra la possibilità di prevedere, in casi eccezionali, prestazioni gratuite a favore della Pubblica amministrazione e la nullità delle clausole che prevedano un compenso inferiore ai parametri fissati dai decreti ministeriali, è possibile proporre un’interpretazione che, in applicazione del criterio della specialità, risolva l’anzidetta antinomia con la prevalenza della disposizione del nuovo Codice dei contratti pubblici, afferente ad uno specifico ambito applicativo, rispetto alla più generale norma inclusa nella nuova normativa sull’equo compenso. Non mancano però interpretazioni che risolvono la suddetta antinomia tramite l’applicazione dei principi di cui all’art. 15 delle Preleggi, ovvero con l’effetto abrogativo della norma contenuta nel Codice dei contratti pubblici alla luce delle incompatibili disposizioni della successiva legge sull’equo compenso[42].

Le novità normative non mancano di stimolare anche altri rilevanti interrogativi. Per esempio, posta l’impugnabilità del bando che preveda basi d’asta con compensi inferiori a quelli equamente remunerativi[43], si presenta come un’interessante questione quella relativa alla possibile configurazione di una eterointegrazione precettiva degli atti di gara ai sensi degli artt. 1339 e 1374 del codice civile. Il tenore della disposizione normativa del nuovo Codice – con la previsione eccezionale di prestazioni professionali a titolo gratuito – e la stessa giurisprudenza sul punto, che ha comunque adottato un approccio alquanto restrittivo, potrebbero portare ad escludere tale ipotesi nel caso di assenza della previsione di un compenso equo nella lex specialis di gara. Tuttavia nel caso di previsione nel bando di compensi al di sotto dei parametri individuati per l’equo compenso e la conseguente induzione a formulare offerte al di sotto di detta soglia, è possibile domandarsi se la giurisprudenza, sulla base della ratio di tutela del contraente debole sottesa alla disciplina dell’eterointegrazione, possa imporre la ripetizione della gara riconoscendo in capo alla stazione appaltante il dovere di eliminare tutti i pregiudizi derivanti dalla mancata osservanza della disciplina precettiva e nel rispetto della par condicio dei concorrenti[44].

La stessa modalità di formulazione del bando non è immune da incertezze: posto che il bando di gara dovrà indicare una base d’asta quanto meno pari al compenso minimo identificato attraverso i parametri dell’equo compenso – possedendo questi una natura vincolante, come ribadito recentemente dall’ANAC con la delibera n. 343 del 20 luglio 2023[45] – sorge spontaneamente l’interrogativo se siano ammissibili offerte al ribasso rispetto ai parametri minimi ministeriali. In passato la giurisprudenza aveva statuito la possibilità di utilizzare i parametri quali indicazione iniziale del calcolo del compenso da porre a base di gara, con possibilità di apportare riduzioni percentuali[46]. Sulla base del nuovo corpus normativo, non mancano interpretazioni che escludono che il compenso del professionista possa essere soggetto a ribasso e che – vista l’inapplicabilità del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso – il criterio dell’offerta più vantaggiosa dovrà essere applicato sulla base dei soli criteri qualitativi e a prezzo fisso[47].

L’ammissibilità di offerte al ribasso in tema di compenso, d’altra parte, fornirebbe l’abbrivio a nuovi interrogativi. Nel caso di offerte al ribasso al di sotto delle soglie dell’equo compenso, ci si potrebbe chiedere, a livello teorico, se lo stesso aggiudicatario della gara, successivamente alla stipula del contratto di opera professionale, possa contestare il ribasso da lui proposto (e sulla base del quale è risultato aggiudicatario) chiedendo un allineamento all’equo compenso in conformità al decreto parametri[48]. Tale scenario parrebbe poco praticabile: una interpretazione affermativa infatti arrecherebbe un chiaro vulnus al principio della concorrenza e alla par condicio dei concorrenti (i quali, si rammenta, potrebbero comunque, ai sensi del summenzionato art. 5, comma 5, della l. n. 49/2023 segnalare all’ordine di appartenenza il professionista che si sia aggiudicato la gara con un compenso inferiore ai parametri dell’equo compenso).

Secondo alcuni interpreti, una lettura sistematica della nuova normativa sull’equo compenso e del principio di concorrenzialità che informa la disciplina degli appalti e quella europea, dovrebbe determinare l’inapplicabilità di tale disciplina alle prestazioni professionali oggetto di contratti pubblici[49].

È altresì naturale che le novelle normative non possono che procurare ulteriori argomenti al professionista il quale, non risultando vincitore della procedura selettiva, intenda impugnare gli atti di gara nella parte in cui abbiano preso in considerazione offerte che violino la normativa sull’equo compenso ponendosi al di sotto dei parametri dei decreti ministeriali richiamati dalla legge n. 49/2023.

È altamente probabile che i giudici amministrativi dovranno misurarsi con le tematiche appena menzionate e fornire un risposta ai numerosi interrogativi che sorgono dalle novelle normative. Certamente, più in generale, pur a fronte di una giurisprudenza amministrativa che riconosce la possibilità di assegnare un incarico professionale anche a titolo gratuito, l’esplicito richiamo all’equo compenso e la previsione di incarichi gratuiti solo in casi eccezionali previamente motivati potrebbe determinare un cambiamento dell’orientamento giurisprudenziale. Se infatti – come sopra esposto – è stato possibile identificare nella giurisprudenza un atteggiamento confacente alle intenzioni “liberalizzanti” del Legislatore, ora pare ragionevole prevedere che la scelta legislativa di garantire un’esplicita tutela all’equo compenso si possa riflettere su un orientamento della giurisprudenza più incline alla corretta quantificazione degli onorari professionali e meno disponibile ad ammettere incarichi gratuiti, in particolar modo se non adeguatamente motivati.

È altresì logico che, nella fase esecutiva del contratto, il professionista potrà usufruire delle summenzionate tutele processuali garantite dalla legge n. 49/2023, agendo dinanzi al giudice ordinario per l’accertamento della nullità delle clausole in violazione dei crismi indicati in detta normativa.

Tale circostanza ha potenzialmente conseguenze rilevanti e dovrebbe determinare un’attenzione maggiore nell’assegnazione degli incarichi professionali da parte delle Amministrazioni appaltanti che, come richiamato sopra, ben potrebbero essere chiamate in giudizio e condannate ad adeguare il compenso da riconoscere al professionista rispetto a quanto già previsto dal contratto, oltre che essere potenzialmente condannate al risarcimento del danno, con tutte le annesse implicazioni in termini di responsabilità amministrativa per i dipendenti e funzionari pubblici.

Un’ulteriore interessante riflessione conclusiva in tema di nuova normativa sull’equo compenso e contratti pubblici riguarda l’applicabilità temporale di tale legge. Dal momento che il dato normativo – precisamente all’art. 11 – esclude che le disposizioni della legge possano applicarsi retroattivamente alle convenzioni sottoscritte prima della data di entrata in vigore delle medesime, ci si chiede se la legge sia applicabile a quei contratti stipulati durante la sua vigenza, ma in relazione a procedure di gara indette prima della sua entrata in vigore.

A tale proposito, tenendo conto della consolidata giurisprudenza amministrativa secondo cui nelle gare pubbliche la procedura di affidamento di un contratto pubblico è soggetta alla normativa vigente alla data di pubblicazione del bando – in conformità al principio tempus regit actum ed alla natura del bando di gara, quale norma speciale della procedura che regola le imprese partecipanti e la pubblica amministrazione[50]parrebbe corretto escludere non solo che lo ius superveniens possa avere effetti diretti sul procedimento di gara, ma anche che la stipulazione del contratto possa essere soggetta alla nuova normativa in tema di equo compenso entrata in vigore nelle more del procedimento. Difatti, se la lex di gara non teneva conto dei parametri fissati dalla nuova l. n. 49/2023, quindi consentendo offerte al ribasso rispetto alle soglie richiamate dalla stessa normativa, l’adeguamento successivo del contratto ai nuovi parametri sull’equo compenso rischierebbe di minare i principi di certezza e buon andamento dell’azione amministrativa.

5. Conclusioni

A fronte di uno sviluppo normativo della disciplina dell’equo compenso non sempre lineare ed in considerazione delle esigenze riformatrici sottese al nuovo codice appalti, pare legittimo affermare che la giurisprudenza, nonché le stesse autorità indipendenti, rivestiranno un ruolo cruciale nel dirimere i dubbi applicativi della nuova legge sull’equo compenso rispetto ai rapporti tra i liberi professionisti e le Pubbliche amministrazioni.

Sembra corretto notare che gli interventi normativi analizzati prendono le mosse dalla necessità di trovare un corretto bilanciamento tra l’intenzione di tutelare maggiormente il professionista e lo speciale ruolo della Pubblica amministrazione che, pur essendo compresa dalla legge n. 49/2023 tra quei “clienti forti” nel disequilibrio contrattuale rispetto ai professionisti, mantiene una particolarità esclusiva rispetto a tutti gli altri operatori, ovvero il perseguimento dell’interesse pubblico. Proprio in questa ineliminabile e fisiologica inassimilabilità tra dinamica privata e pubblica, appare ragionevole leggere la possibilità fornita dall’art. 8, comma 2 del D.lgs. n. 36/2023, di richiedere eccezionalmente anche prestazioni professionali gratuite.

Rileva, tuttavia, che il dato letterale delle disposizioni normative e quanto già espresso dall’ANAC – in particolare con la summenzionata delibera n. 343 del 20 luglio 2023 – non possono lasciare dubitare che i nuovi plessi normativi abbiano un impatto rilevante sulla disciplina delle gare pubbliche che abbiano ad oggetto servizi professionali, dal momento che i parametri ministeriali costituirebbero ora misure vincolanti e inderogabili per la determinazione dei corrispettivi delle prestazioni professionali e dovrebbe pertanto considerarsi definitivamente superata quella giurisprudenza che non riteneva i parametri ministeriali quali minimi tariffari inderogabili[51].

Ne deriva logicamente il corollario che le gare per la prestazione di servizi professionali debbano svolgersi a “prezzo fisso”, senza l’applicazione del criterio del prezzo più basso e con un confronto limitato alla componente qualitativa delle offerte.

 

[1] Come noto, il nuovo Codice, entrato in vigore in data 1 aprile 2023, è applicato alle procedure le cui gare siano state indette dal 1° luglio 2023.

[2] Nella sua completezza, l’art. 8 del nuovo Codice prevede che: “1. Nel perseguire le proprie finalità istituzionali le pubbliche amministrazioni sono dotate di autonomia contrattuale e possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e da altre disposizioni di legge. 2. Le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso. 3. Le pubbliche amministrazioni possono ricevere per donazione beni o prestazioni rispondenti all’interesse pubblico senza obbligo di gara. Restano ferme le disposizioni del codice civile in materia di forma, revocazione e azione di riduzione delle donazioni”.

[3] https://www.fiscoetasse.com/files/16845/anac-atto27-giugno-2023.pdf

[4] Convertito con Legge 4 agosto 2006, n. 248. Tale provvedimento normativo è stato adottato sulla base dell’asserita esigenza di dare completa attuazione al principio di libera concorrenza di cui alla Direttiva 2006/123/CE.

[5] Ai sensi dell’art. 2, comma 2 del D.L. 223/2006.

[6] Convertito con modificazioni dalla Legge 24 marzo 2012, n. 27.

[7] Il c.d. “Decreto parametri” per i professionisti iscritti agli ordini e collegi è stato introdotto con il Decreto del Ministero della Giustizia 20 luglio 2012, n. 140. A titolo esemplificativo, per le diverse categorie professionali, con il Decreto ministeriale 31 ottobre 2013, n. 143, è stato introdotto il “Regolamento recante determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura ed all’ingegneria”; per gli avvocati è stato emanato il Decreto ministeriale 10 marzo, 2014 poi aggiornato dal 13 agosto 2022, n. 147; con il decreto ministeriale 17 giugno 2016 è stata data “Approvazione delle tabelle dei corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione adottato ai sensi dell’art. 24, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016”.

[8] Convertito dalla Legge 4 dicembre 2017, n. 172. La disposizione citata è stata abrogata dalla legge n. 49/2023.

[9] Cfr. segnalazione AS 1137 del 4 luglio 2014 “Proposte di riforma concorrenziale ai fini della legge annuale per il mercato e la concorrenza anno 2014”.

[10] Cfr. segnalazione approvata il 24 novembre 2017 ai sensi dell’articolo 22 della legge istitutiva (legge 287/1990) AS 1452 – “Misure contenute nel testo di conversione del decreto legge 148/2017”.

[11] In banca dati De Jure; in commento cfr. S. Vasta, Concorrenza, norme deontologiche e decoro della professione. Note a margine di Consiglio di Stato, sez. VI, 22 gennaio 2015 n. 238, in Rivista della Regolazione dei Mercati, n. 2/2015, pp. 261 ss.

[12] La controversia in oggetto prende le mosse dall’impugnazione da parte dell’Ordine nazionale dei Geologi della delibera dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato adottata nell’adunanza del 23 giugno 2010, con la quale è stato ritenuto che l’Ordine Nazionale dei Geologi ha posto in essere un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’articolo 101 del TFUE, irrogando una sanzione amministrativa pecuniaria nella misura di euro 14.254.

[13] Pubblicata in Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, LXXVII, 1, II, pp. 3-22, 2018. In commento alla sentenza cfr. M. Alesio, Prestazioni tecnicamente complesse, da effettuare gratuitamente in favore della PA? Il CdS (poco convincentemente) dice di sì!, in Diritto e Giustizia, 9 ottobre 2017; M. Clarich, I rischi sotto traccia di un rapporto di scambio, in Il Sole 24 Ore, 5 ottobre 2017; L. Marzano, Affidamento di incarico professionale senza corrispettivo: il potenziale ritorno di immagine per il professionista quale utilità economicamente apprezzabile in sostituzione del compenso, in Giurisprudenza italiana, Gennaio 2018, pp. 168-173; A. Massari, La concezione “debole” dell’onerosità degli appalti pubblici, in diritto.it, 29 novembre 2017; G. Pizzonia, Prestazioni gratuite e compensi virtuali. Criticità fiscali a margine di una sentenza del Consiglio di Stato, in Rivista di diritto finanziario, cit., pp. 9-21; R. Ricciardi, Il Consiglio di Stato legittima gli Enti a chiedere consulenze gratis. Professionisti sulle barricate, in la Repubblica, 5 ottobre 2017; S. Trignano, Nota a Consiglio di Stato – Sezione Quinta sentenza 3 ottobre 2017, n. 4614, in ildirittoamministrativo.it.

[14] Ovvero la sentenza del Tar Catanzaro, sezione I, n. 2435 del 2016, in banca dati De Jure, che aveva accolto il ricorso dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggistici e Conservatori, dell’Ordine degli Ingegneri, dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Catanzaro, dell’Ordine dei Geologi della Calabria, del Collegio dei Geometri e del Collegio dei Periti Industriali della Provincia di Catanzaro avverso i provvedimenti dirigenziali comunali dell’ottobre 2016 di approvazione del bando e del disciplinare di gara della “procedura aperta per l’affidamento dell’incarico per la redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro e relativo regolamento urbanistico”, i quali prevedevano incarichi professionali da affidare a titolo gratuito.

[15] Di cui all’art. 3 del d.lgs. 12 aprile 2016, n. 50 e oggi compresa all’art. 2 dell’Allegato I.1 del nuovo Codice.

[16] In banca dati De Jure; in commento cfr. A. Borella, Incarichi professionali gratuiti ed equo compenso, in amministrativistiveneti.it, 21 gennaio 2019.

[17] In banca dati De Jure; nel caso di specie la natura non immediatamente escludente del bando determinava il difetto delle condizioni dell’azione per il soggetto ricorrente in primo grado, che non aveva partecipato alla procedura di gara.

[18] Il riferimento è in particolare all’ordinanza del Tar Napoli, sezione I, n. 1541 del 2018, in banca dati One Legale, o il Tar Marche, sezione I, n. 761 del 2019, in banca dati De Jure; con riferimento alla pronuncia del Tar Marche vedasi M. Chiarelli, Equo compenso e professionisti: il Tar Marche ritorna sul tema, in Amministrazione in Cammino, 21 Aprile 2020.

[19] Pubblicata in Il Foglio del Consiglio, 27 agosto 2021. Il caso di specie riguardava l’impugnazione da parte del Consiglio degli Avvocati di Roma e un’associazione professionale dell’avviso pubblico dell’INPS per l’acquisizione della disponibilità di n. 77 professionisti avvocati per svolgere incarichi di domiciliazione e/o sostituzione in udienza presso gli Uffici giudiziari del circondario del Tribunale di Roma.

[20] Precisamente: “[d]all’attuazione delle disposizioni del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”.

[21] Pubblicata in il Lavoro nella Giurisprudenza, n. 3/2022, pp. 291-293. In commento cfr. G. Impellizzieri, Sulla controversa questione della legittimità del lavoro gratuito per la Pubblica Amministrazione, in il Lavoro, cit., pp. 294-299; F. Valerini, AAA cercasi collaboratori gratis: l’avvocato non può invocare l’equo compenso, in Diritto e Giustizia, 12 novembre 2021. La vicenda prendeva le mosse dal ricorso da parte dell’Ordine degli Avvocati di Roma e dell’Ordine degli Avvocati di Napoli dell’avviso pubblico di manifestazione di interesse per il conferimento di incarichi di consulenza a titolo gratuito, attraverso il quale il Ministero dell’economia e delle finanze aveva reso noto di volersi avvalere della consulenza di professionalità altamente qualificate al fine di avere supporto ad elevato contenuto specialistico nelle materie di competenza. A detta dei ricorrenti la prestazione a titolo gratuito avrebbe, tra le altre, violato l’art. 13-bis, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (ovvero la legge professionale forense), rubricato “Equo compenso e clausole vessatorie”, inserito dal già menzionato art. 19-quaterdecies, comma 1, del d.l. 148/2017.

[22] Precisamente: “La disposizione [n.d.a. l’art. 13, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247] non esclude il (e nemmeno implica la rinuncia al) potere di disposizione dell’interessato, che resta libero di rinunciare al compenso – qualunque esso sia, anche indipendentemente dalla equità dello stesso – allo scopo di perseguire od ottenere vantaggi indiretti (come nel caso che ci occupa) o addirittura senza vantaggio alcuno, nemmeno indiretto, come tipicamente accade nelle prestazioni liberali (donazioni o liberalità indirette)”. Giova sottolineare che la sentenza in esame non rappresenta una pronuncia isolata, in proposito vedasi anche la sentenze del Tar Lazio, Roma, sezione I, n. 11411 del 2019.

[23] Pubblicata in Giustamm, n. 6/2021 e in Urbanistica e appalti, n. 4/2021, pp. 535-536; cfr. A.E. Basilico, Equo compenso degli avvocati e Pubblica Amministrazione, in Urbanistica, cit., n. 4/2021, pp. 536-545; P. Otranto, Gli incarichi legali della p.A. e le “mobili frontiere” dell’equo compenso (nota a TAR Lombardia , Milano 29 04 2021 n. 1071), in Giustizia Insieme, 20 luglio 2021.

[24] Nel rispetto, nel caso della professione forense degli artt. 9 e 19, comma 1, del Codice deontologico forense.

[25] Pubblicata in Ceridap, n. 2/2023 cfr., ibidem, la nota di F. Finazzi, Consiglio di Stato, Sez. V, 28 febbraio 2023, n. 2084. La sentenza si pone peraltro in completa continuità con la summenzionata sentenza n. 7442/2021. La vicenda prende le mosse dall’impugnazione della determina di un’Amministrazione comunale con cui veniva conferito l’incarico per il patrocinio e l’assistenza legale di un’Amministrazione comunale in un giudizio proposto dinanzi al giudice amministrativo. Il Tar Brescia, sezione I, con sentenza n. 1088 del 2021, aveva respinto il ricorso, mentre il Consiglio di Stato, con la pronuncia in esame, ha riformato detta sentenza e accolto il ricorso di primo grado.

[26] La giurisprudenza europea citata è quella della Corte di Giustizia, sentenze C-427/2016, C-428/2016 e C-377/17, che, a detta del Consiglio di Stato sono state erroneamente interpretate dal giudice di prime cure. In particolare, il Consiglio di Stato, con specifico riferimento alla sentenza C-377/17, precisa che la Corte di Giustizia non condannava la Germania per non aver abolito le tariffe minime di progettazione per architetti ed ingegneri, ma riteneva che la determinazione delle tariffe minime effettuata dalla Germania non fosse idonea ad evitare che i prestatori di servizi non siano indotti, in un contesto come quello di un mercato caratterizzato dalla presenza di un numero estremamente elevato di prestatori, a svolgere una concorrenza che possa tradursi nell’offerta di prestazioni al ribasso, con il rischio di un peggioramento della qualità dei servizi forniti.

[27] In banca dati eur-lex.europa.eu; per le sentenze C-427/2016 e C-428/2016 cfr. la nota di G. DONZELLI, La legittimità delle tariffe minime nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 5/2018, pp. 626 e ss.

[28] In armonia con quanto previsto dall’art. 15, comma 3 della Direttiva 123/2006 CE relativa ai servizi nel mercato interno.

[29] In banca dati De Jure.

[30] Precisamente: “Gli onorari e i diritti stabiliti per le prestazioni dei procuratori e gli onorari minimi stabiliti per le prestazioni degli avvocati sono inderogabili. Ogni convenzione contraria è nulla”.

[31] In tale senso cfr. Corte di Cassazione civile, sezione II, n. 8539 del 2018.

[32] Ai sensi dell’art. 1, l. 49/2023. Per le prime due categorie vedasi supra nota n. 6; quanto alle professioni non ordinistiche la norma rimanda ad un decreto ministeriale che dovrà essere adottato entro sessanta giorni dal Ministero delle imprese e del made in Italy.

[33] Ai sensi dell’art. 2, l. 49/2023.

[34] Vedasi l’art. 3, l. 49/2023. Tra le diverse tipologie di clausole nulle, si segnalano anche le clausole o pattuizioni che riservino al cliente la facoltà di modifica unilaterale del contratto, la facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto, la facoltà di richiedere prestazioni aggiuntive gratuite, l’anticipazione delle spese al professionista o la rinuncia al rimborso, la previsione di termini di pagamento sopra i sessanta giorni dalla fattura, la previsione in caso di nuovo accordo sostitutivo di applicazione dell’eventuale compenso inferiore pattuito anche agli incarichi perdenti, non ancora definiti o fatturati. D’interesse, con specifico riferimento all’attività forense, è la nullità prevista per la clausola che riconosce all’avvocato il solo minor importo previsto dalla convenzione, quando il giudice liquida al cliente le spese legali, in misura superiore al detto importo.

[35] Ai sensi dell’art. 3, comma IV, l. 49/2023.

[36] Ai sensi dell’art. 3, comma V, l. 49/2023. Da notare come l’uso della espressione generica “affidamento” permetta di comprendere anche quelle procedure quali gli affidamenti diretti, ovvero procedure che non consistono propriamente in gare.

[37] Ai sensi dell’art. 4, l. 49/2023. Sempre sa un punto di vista processuale, è rilevante anche tenere conto che, ai sensi dell’art. 5, comma II, la prescrizione del diritto del professionista al pagamento dell’onorario decorre dal momento in cui, per qualsiasi causa, cessa il rapporto con l’impresa, e, in caso di una pluralità di prestazioni rese a seguito di un unico incarico, convenzione, contratto, esito di gara, predisposizione di un elenco di fiduciari o affidamento e non aventi carattere periodico, la prescrizione decorre dal giorno del compimento dell’ultima prestazione.

[38] Ai sensi dell’art. 7, l. 49/2023.

[39] Da ultimo cfr. le “Osservazioni a prima lettura sulla legge 21 aprile 2023, n. 49” da parte del Servizio Studi del Consiglio Nazionale Forense.

[40] La limitata applicazione soggettiva della normativa sull’equo compenso rispetto alle tariffe è un elemento già sottolineato, con riferimento alla previgente disciplina, dalla Corte di Cassazione civile, sezione I, con ordinanza n. 7904 del 2020, in Rivista del Notariato, LXXIV, Novembre-Dicembre 2020, pp. 1200-1203; in commento cfr. M. Summa, Compenso avvocati: le pattuizioni con la parte assistita hanno “carattere preferenziale” tra i criteri di determinazione, in Diritto e Giustizia, 20 aprile 2020.

[41] In banca dati eur-lex.europa.eu.

[42] Tale è peraltro la ricostruzione proposta dal Servizio Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri, La disciplina dell’equo compenso e gli affidamento dei servizi di ingegneria e architettura secondo il D.Lgs. 36/2023, luglio 2023, consultabile in https://www.cni.it/images/News/2023/PFTE_REV_finale.pdf.

[43] Secondo quanto stabilito dalla nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018, che individua tra le clausole “immediatamente escludenti” anche l’insufficienza della base d’asta.

[44] Sul punto cfr. già la risalente giurisprudenza, Consiglio di Stato, sezione III, n. 5069 del 2013. In Giustamm, n. 20/2013. Si aggiunge che secondo la giurisprudenza, l’eterointegrazione precettiva dei bandi di gara “opera in presenza di una (obiettiva) “lacuna” delle regole di gara (….), ovvero nel caso in cui la stazione appaltante abbia omesso di inserire nella disciplina di gara elementi previsti come necessari ed obbligatori dall’ordinamento giuridico nel suo complesso (ad instar di quanto, nell’ambito dei rapporti civili, accade in forza degli artt. 1374 e 1339 c.c.): sicché il bando, nella sua portata precettiva di lex specialis della procedura, debba essere integrato, in via suppletiva, da una vincolante (e non derogabile) previsione della lex generalis” Così Cons. Stato, sez. V, 21.08.2023 n. 7870, in Giustamm, n. 9/2023. Merita però al riguardo segnalare che se l’eterointegrazione precettiva può operare, ad esempio, con riferimento ai requisiti di partecipazione, più difficilmente essa può essere chiamata ad operare con riferimento a clausole della disciplina di gara che sono il frutto di valutazioni discrezionali dell’Amministrazione. Invero, ipotizzando l’eterointegrazione precettiva della disciplina di gara rispetto a profili squisitamente economici del rapporto, potrebbero determinarsi, ad esempio, difficoltà di copertura finanziaria dell’intervento. Se ne potrebbe quindi dedurre che la violazione della normativa dell’equo compenso possa implicare l’annullamento della gara, ma non anche l’eterointegrazione precettiva della relativa disciplina perché, in questo modo, il giudice amministrativo rischierebbe di sconfinare nello spazio di discrezionalità riservato alla PA.

[45] La delibera si riferisce precisamente ai servizi di ingegneria e architettura. La vicenda prende le mosse dalla contestazione da parte dell’organizzazione di categoria OICE (Organizzazione di ingegneria e consulenza) della procedura di gara di realizzazione di un parcheggio multipiano, laddove gli atti della procedura fissavano un importo a base di gara ribassato del 20% rispetto ai parametri ministeriali recati dal DM 17 giugno 2016. L’ANAC precisa che “dal complesso delle disposizioni citate [Legge n. 49/2023] si desume che le tariffe stabilite dal D.M. 17 giugno 2016 non possono più costituire un mero “criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara dell’affidamento”.

[46] Cfr. la pronuncia del Consiglio di Stato, sez. V, n. 2094 del 2019, in banca dati De Jure.

[47] Di tale avviso è il Servizio Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri, La disciplina dell’equo compenso, cit., il quale, all’interno dell’offerta, ammette astrattamente solo un possibile ribasso della componente del corrispettivo relativa alla voce “spese”, purché questo non intacchi l’equità del compenso.

[48] L’art. 2, comma V, della l. n. 49/2023 prevede infatti che anche all’esito della gara il professionista possa impugnare la pattuizione relativa al compenso e chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso.

[49] Cfr. R. Mangani, “Professionisti, le norme sull’equo compenso non si applicano ai contratti pubblici”, in Enti locali e Edilizia, il Sole 24 ore, 4 settembre 2023. In particolare, a detta dell’autore, la differenze tra contratto di prestazione professionale e appalto di servizi, nonché l’applicabilità della normativa sull’equo compenso solo a quelle “convenzioni” caratterizzate da una non equilibrata contrattazione tra le parti (come invece avviene in una procedura ad evidenza pubblica), determinerebbe l’inapplicabilità di tale normativa ai contratti pubblici.

[50] Cfr., ex multis, Consiglio di Stato n. 2521/2021; n. 2433/2016; n. 2222/2017, in banca dati giustizia-amministrativa.it.

[51] Vedasi supra nota 47.

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Il contributo analizza il tema della parità di tutela che deve essere garantita ex art. 11 Dlgs 36/2023 (nuovo Codice dei contratti pubblici) tra il CCNL indicato dalla stazione appaltante e quello indicato in offerta dall’operatore economico.
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