Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, una società presentava domanda di rivendica e/o restituzione ai sensi dell’art. 103 L.F. dell’intera azienda, momentaneamente gestita dai curatori in esercizio provvisorio, da essa affittata alla società fallita. In via subordinata ne chiedeva la restituzione al netto dei beni oggetto di domande di rivendicazione o di restituzione da parte di terzi.
Il giudice delegato disponeva la restituzione del solo immobile ove si svolgeva parte dell’attività aziendale, per cui la società affittante proponeva opposizione avverso il relativo decreto insistendo in via principale per la restituzione delle ulteriori componenti dell’azienda e, in subordine, per la restituzione di dette componenti “al netto dei beni mobili oggetto di domanda di rivendicazione di terzi”. Il Tribunale accoglieva tale domanda.
La Suprema Corte ha cassato il provvedimento del Tribunale ritenendo che la generica formulazione dell’opposizione, in quanto fatta per semplice differenza con quanto chiesto da terzi in restituzione o in rivendica, fosse inidonea a fornire la certezza della coincidenza dei beni rivendicati con quelli costituenti l’azienda.
Pertanto, secondo la Corte di Cassazione, l’opposizione avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per indeterminatezza, posto che la domanda di rivendicazione di un’azienda sottostà al principio – più volte affermato dalla giurisprudenza della Corte (cfr. tra le tante Cass. n. 10206-05, Cass. n. 12718-01, Cass. n. 4262-90; da ultimo, sebbene per una peculiare applicazione, v. anche Cass. 1891-18) – secondo cui le domande di rivendicazione, restituzione o separazione previste dall’art. 103 L.F. sono ammissibili soltanto se la cosa è stata determinata nella sua specifica e precisa individualità.