In materia di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali previste dal d. lgs. n. 159/2011 (Codice Antimafia), deve escludersi la buona fede idonea a fare salvo il diritto di credito della banca mutuante, qualora quest’ultima, all’atto di concessione del finanziamento, quantunque assistito da garanzia reale, abbia omesso di valutare la congruità dei redditi del proposto beneficiario rispetto alle somme mutuate.
Con la pronuncia di rito in esame, la Suprema Corte- sezione penale- si è soffermata sulla nuova disciplina relativa alle condizioni cui soggiace la tutela dei diritti di credito dei terzi in materia di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali (e.g. la confisca) previste dal nuovo Codice Antimafia, con particolare riferimento all’art. 52, comma 1, lett. b) e comma 3, d. lgs. n. 159/2011.
Segnatamente, la Corte ha confermato la statuizione contenuta nel provvedimento impugnato dalla banca ricorrente, ribadendo il principio di diritto secondo il quale, in riferimento alla tutela del proprio diritto di credito nei confronti del proposto destinatario della misura di prevenzione, la banca mutuante è tenuta a provare non soltanto la mancanza del nesso di strumentalità del credito all’attività illecita ma anche l’occorsa valutazione circa la congruità dei redditi del mutuatario rispetto all’entità delle somme mutuate, quale condizione necessaria per la configurabilità della buona fede del creditore.
In particolare, nel caso di specie la banca mutuante impugnava il decreto con il quale il giudice di merito aveva respinto la domanda di ammissione al passivo relativa al procedimento concernente l’applicazione della misura di prevenzione patrimoniale nei confronti del soggetto mutuatario, ritenendo di aver integralmente assolto l’onere probatorio imposto dall’art. 52, comma 1, lett. b) e comma 3, d. lgs. n. 159/2011 al fine di conservare le ragioni creditizie verso il debitore destinatario della misura preventiva.
Ciononostante, il giudice di legittimità, nel rilevare l’inammissibilità del ricorso, coglie l’occasione per precisare la portata dell’apprezzamento richiesto alla banca creditrice al fine di soddisfare le condizioni imposte dalla disciplina in esame, con riferimento ai parametri valutativi indicati dal comma 3, art. 52, d. lgs. n. 159/2011.
In altri termini, in sede di valutazione della buona fede idonea a salvaguardare il credito della banca mutuante nell’ambito del procedimento di confisca a carico del mutuatario, gli indici valutativi normativamente indicati- ossia le specifiche condizioni delle parti, i particolari rapporti personali e patrimoniali tra le stesse e il tipo di attività svolta dal creditore- impongono la necessaria considerazione della congruità dei redditi del beneficiario del finanziamento rispetto all’importo delle somme mutuate, nonostante il credito sia assistito da garanzia reale- giudicata comunque irrilevante nel caso di specie.
In mancanza, deve ritenersi inconfigurabile la buona fede in capo alla banca creditrice, con conseguente esclusione del suo credito dallo stato passivo del procedimento derivante dalla confisca.
Inoltre, la Corte rileva come il ricorso della banca sia carente anche con riferimento alla prima delle condizioni imposte dalla suddetta disciplina ai fini della tutela del credito, vale a dire la prova dell’insussistenza del ritenuto nesso di strumentalità del mutuo all’attività illecita, il quale ha giustificato l’applicazione della misura preventiva.
In conclusione, la Corte ribadisce l’inammissibilità del ricorso in ragione della sua lacunosità e aspecificità.