Il Tribunale di Roma, (sezione specializzata in materia di impresa) con l’ordinanza adottata il 13 agosto 2016, ha stabilito la non configurabilità della simulazione di un conferimento effettuato in una società di capitali sulla base di una delibera di aumento della partecipazione sociale adottata dall’assemblea.
Il provvedimento in commento conclude il giudizio cautelare nel quale parte ricorrente, in qualità di esercente la potestà sul figlio minore, aveva sollevato la richiesta di sequestro giudiziario ai sensi dell’art. 607 c.p.p. delle quote di una S.r.l., al fine di sentir dichiarare, in sede di futuro giudizio di merito, la nullità dell’aumento di capitale (pur deliberato dall’assemblea della società) nonché della conseguente cessione delle quote avvenuta in favore della convenuta.
Secondo la ricorrente, entrambi i nonni del minore, soci della S.r.l. al 50%, avrebbero operato tale aumento – mediante conversione di finanziamenti soci in capitale sociale – per poi donare la nuda proprietà delle quote così create alla parte convenuta. Mancando tuttavia nel bilancio qualsiasi riscontro relativo al finanziamento soci da riconvertire in capitale, il conferimento – sebbene deliberato – non si sarebbe mai materialmente realizzato. La parte convenuta avrebbe così ricevuto la titolarità di quote non compensate dal versamento del corrispettivo ad esse equivalente, e quindi mai uscite dal patrimonio e dunque dall’asse ereditario del nonno – ormai deceduto – del minore.
Con riferimento a quanto sopra riportato, il Tribunale ha ripreso un recente orientamento della Suprema Corte di Cassazione (il riferimento è alla sentenza n. 17467 del 17 luglio 2013) osservando preliminarmente come “il conferimento in una società capitalistica [sia] un atto con il quale il socio o il terzo, sul presupposto di una deliberazione di aumento del capitale sociale, approvata dall’organo competente della società, realizza la sua volontà di partecipare o, se già socio, di aumentare il valore della sua partecipazione alla medesima società”. Tale operazione troverebbe così“nel collegamento essenziale con quella deliberazione la sua causa negoziale, sicché le condizioni di validità del conferimento sotto il profilo della sussistenza della volontà non possono essere esaminate indipendentemente da quelle della deliberazione medesima”.
Sulla base di tali considerazioni, al fine di far valere l’invalidità del conferimento, la ricorrente avrebbe dovuto procedere ad impugnare la delibera di approvazione dell’operazione di aumento del capitale sociale entro il termine stabilito dall’art. 2479-ter c.c. (dettato in tema di invalidità delle decisioni dei soci), dunque entro tre anni dalla trascrizione nel libro delle decisioni dei soci. Essendo pacifico che tale impugnazione non fosse avvenuta nel termine codicisticamente previsto, la delibera era dunque ormai da considerarsi pienamente produttiva di effetti.
In via subordinata, la ricorrente aveva aggiuntivamente argomentato che aumento di capitale e successiva cessione costituissero negozi simulati, dissimulanti, in concreto, una donazione effettuata senza rispettare il requisito legale della presenza di testimoni.
Sul punto, il Tribunale svolge un’ulteriore considerazione e, sulla base dell’orientamento espresso dalla Suprema Corte con la medesima sentenza riportata poc’anzi, giunge a ritenere che, anche astrattamente, l’aumento di capitale non possa comunque considerarsi simulato.
Ai fini di accertare la simulazione di un atto di conferimento sarebbe difatti necessario che tanto l’accordo simulato, riguardante l’aumento e la conseguente cessione delle quote alla convenuta, quanto l’accordo dissimulato, contenente la volontà di addivenire ad una donazione, siano effettuati a seguito dell’incontro della volontà della convenuta con la volontà della S.r.l.
In tale contesto, tuttavia, non sarebbe mai configurabile la simulazione del conferimento in forza di “un accordo simulatorio concluso fra il conferente e l’amministratore della società” (nel caso di specie, dunque, fra la convenuta e il nonno legale rappresentante ed amministratore della S.r.l.), posto che il predetto amministratore “non ha poteri legali di rappresentanza della società medesima negli atti di gestione attinenti all’organizzazione della società, e non è legittimato a rappresentarla nella stipulazione di accordi diretti a simulare i conferimenti”.
In altri termini, il Tribunale riprende l’orientamento della Suprema Corte in base al quale i membri dell’organo amministrativo di una società di capitali non sono investiti del potere di concludere negozi allo scopo di simulare conferimenti, essendo sprovvisti (anche qualora siano stati delegati dall’assemblea al compimento delle operazioni necessarie per dare esecuzione alla delibera di aumento) dei poteri decisionali riguardanti l’aumento di capitale che di tale conferimento costituisce il necessario presupposto.
Di conseguenza, agli amministratori di società di capitali spetterebbe il compimento di tutti gli atti inerenti la “gestione dell’impresa”, ma non anche la conclusione di quegli atti organizzativi di “gestione della società”, tra i quali rientrerebbe il potere di concludere accordi simulatori in ordine all’aumento o alla riduzione del capitale sociale.
In base alle suddette considerazioni, il giudice ha così determinato di rigettare la domanda cautelare sollevata dalla ricorrente, non concedendo il sequestro giudiziario delle quote sociali in esame.