In tema di omologazione della proposta di concordato preventivo ex art. 180 LF, l’esclusione dal diritto di voto di un creditore (nella specie, perché titolare di un credito che era contestato ma che si riveli essere stato fondatamente fatto valere) non comporta di per sé stessa l’invalidità della deliberazione di approvazione della proposta adottata senza che il creditore abbia espresso il suo voto, essendo necessario verificare – secondo quanto affermato dall’art. 176, 2° co., LF – se, escluso un tale credito, a suo tempo, dal computo della maggioranza di voto deliberativo, residui una somma di consensi necessaria per la validità della decisione, calcolata sugli effettivi aventi diritto al voto, sicché va negato il carattere determinante del voto del creditore che si opponga all’omologazione della proposta concordataria e che, una volta respinta tale sua opposizione, proponga reclamo ex art. 183,1° co. LF per la revoca dell’omologazione già deliberata dal Tribunale.
Nel caso in esame la Suprema Corte ha applicato in materia di concordato preventivo il principio della cd. prova di resistenza della deliberazione, più volte espresso a proposito delle deliberazioni assembleari di società, ma richiamato anche dall’art. 176 l. fall., sancendo la rilevanza dei crediti ingiustamente esclusi dal voto solo se essi avrebbero potuto pesare in modo determinante sulla formazione delle maggioranze deliberative.