La Corte di Cassazione, Prima Sezione Civile, con la sentenza n. 13875 del 27 marzo 2017, ha stabilito che al socio dissenziente non possa essere riconosciuto il diritto di recesso, qualora l’assemblea straordinaria della S.p.A. abbia adottato un nuovo statuto che preveda, a differenza del passato, quorum deliberativi per l’assemblea ordinaria e straordinaria in linea con le previsioni degli articoli 2368 c.c. e 2369 c.c
In particolare, nel caso di specie, due soci hanno convenuto in giudizio la società della quale detenevano partecipazioni al capitale affinché venisse dal Tribunale riconosciuta la legittimità del proprio recesso, a seguito dell’adozione di un nuovo statuto che riduceva i quorum deliberativi per le assemblee sociali. Mentre in primo grado il Tribunale aveva ritenuto di accogliere la domanda attorea, la corte territoriale aveva accolto le impugnazioni sollevate dalla società e dunque negato la sussistenza del diritto di recesso. Ciò sul duplice assunto che, da un lato, la modifica dei quorum non avesse direttamente pregiudicato il peso delle azioni degli attori e, dall’altro, le ipotesi di recesso andassero valutate restrittivamente.
Al riguardo, la Suprema Corte osserva preliminarmente come l’art. 2437 c.c., lett. g), riconosca il diritto di recedere a quei soci che non abbiano concorso alla formazione di deliberazione relative alle “modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto o di partecipazione”. In tale contesto, la Cassazione ritiene che con la locuzione “diritti di partecipazione” il legislatore si riferisca ai diritti di natura economica, quale il diritto al percepimento degli utili; di conseguenza, ciò escluderebbe che la modifica statutaria adottata nel caso in esame possa essere considerata ai fini del diritto di recesso, posto che la modificazione dei quorum deliberativi delle assemblee non parrebbe in sé configurare una modifica dei diritti economici dell’azionista.
In relazione invece alla questione se i nuovi quorum deliberativi adottati dalla società possano configurarsi quali modificazioni dello statuto concernenti i diritti di voto, la Corte rileva sul piano letterale come, in primo luogo, tali modifiche siano quelle che intervengono su limitazioni del voto attribuito ad ogni azione (quali, a titolo esemplificativo, le azioni senza diritto di voto, o con voto limitato a particolari argomenti). In quest’ottica, le modificazioni statutarie che giustificherebbero il recesso andrebbero individuate nell’ambito delle deliberazioni che istituiscano o intervengano su tali categorie di limitazioni e non tanto nella riconduzione al livello legale dei quorum deliberativi
In aggiunta, la Suprema Corte ritiene che anche una interpretazione sistematica conduca a prediligere una lettura restrittiva dell’art. 2347 c.c. In proposito, considerato che tale stessa previsione normativa consente ora agli statuti di ampliare le ipotesi nelle quali è possibile recedere dalla compagine sociale (attribuendo all’assemblea un ruolo non contemplato dal codice civile pre-riforma), non avrebbe fondamento patrocinare una applicazione eccessivamente estensiva dell’art. 2347, lett. g) c.c.
Esigenze di certezza del precetto normativo, e la necessità di evitare che una lettura eccessivamente ampia della lett. g) dell’art. 2347 c.c. possano estendere la portata della norma a un numero indeterminato di combinazioni, tali da pregiudicare necessità di garantire il buon andamento delle operazioni sociali, renderebbero dunque preferibile l’adozione di una interpretazione restrittiva.
Tale soluzione, nell’ottica della Suprema Corte, consentirebbe così di bilanciare l’esigenza di tutela del socio con l’interesse della società e dei creditori alla conservazione del patrimonio sociale, circoscrivendo l’ambito nel quale diventerebbe operativo un istituto (quale il recesso) potenzialmente dannoso per il prosieguo delle operazioni sociali.
Qualora venisse infatti adottata una interpretazione estensiva, le potenziali ipotesi nelle quali potrebbero verificarsi eventi disgregativi del capitale sociale si estenderebbero in misura tale da ricomprendere ogni modificazione statutaria che possa anche indirettamente ed in via estensiva pregiudicare i diritti di voto o partecipazione del socio.
Alla luce di quanto precede, la Cassazione ribadisce come, nel caso in esame, i diritti di voto dei soci non vengano modificati dal mutato assetto statutario. Al riguardo, pur potendosi registrare un impatto sul “peso” del voto dalle adottate modifiche, il diritto di recesso non si configurerebbe necessariamente come conseguenza di un pregiudizio subito dal socio, piuttosto discenderebbe “dal dato oggettivo dell’intervenuta modificazione”.
Di conseguenza, la Suprema Corte rigetta il ricorso presentato dagli attori, ribadendo come, al fine del proficuo esercizio del recesso ex art. 2437, lett. g), occorra che la delibera vada ad incidere sicuramente in via diretta, e forse anche indiretta, sul diritto di voto o di partecipazione, e non già “che genericamente nuoccia all’azionista”, senza che detti diritti siano in nessuna misura toccati dalla delibera stessa.