L’assunzione di una delibera di raggruppamento delle azioni di risparmio, in un numero tale da impedirne la successiva quotazione, non abilita all’esercizio del recesso, ai sensi dell’art. 2437-quinquiesc.c., ove la decisione sociale consenta di evitare un simile esito: permettendo la conversione dei titoli in azioni ordinarie, in base ad un coefficiente che incrementi il possesso azionario in modo sufficiente da accedere alla negoziazione.
Il Tribunale di Genova, nel decreto in esame, si trova e decidere della sospensione cautelare della delibera assembleare con la quale Banca Carige S.p.a. aveva deciso la conversione facoltativa delle azioni di risparmio in azioni ordinarie e il raggruppamento di tutti i titoli emessi dalla società, in modo da ridurne drasticamente il quantitativo sul mercato. Il giudizio era stato promosso dal Rappresentante Comune delle azioni di risparmio che ne aveva contestato la legittimità sotto molteplici profili, tutti compiutamente esaminati dall’organo giudicante, il quale, però, a prescindere dall’esame del fumus boni iuris si determina per il rigetto del ricorso, in considerazione dell’assenza del periculum in mora, nel caso di specie. Viene, infatti, ricordato come per decidere della sospensione delle delibere impugnate è necessario confrontare il danno che il ricorrente subirebbe dall’esecuzione della decisione, con il pregiudizio patito dalla società in caso di accoglimento della domanda. Ebbene, nel caso di specie, la mancata esecuzione della delibera di raggruppamento provocherebbe un ingente danno per la società, in termini di efficienza interna, date le difficoltà operative generate dall’eccessivo numero di azioni in cui era suddiviso il capitale sociale, ed in considerazione dell’impossibilità per i titoli della banca stessa di essere riammessi alla quotazione borsistica, per via dell’esiguità del loro valore nominale. Molto più contenuto sarebbe, invece, il pregiudizio eventualmente provocato agli azionisti di risparmio, rappresentanti una percentuale minimale del capitale sociale, pregiudizio che, in ogni caso, la società sarebbe in grado di risarcire.
Per quanto attiene, invece, sommariamente il merito, il Giudice ha modo di rilevare come sia infondata la questione relativa al mancato intervento in assemblea del Rappresentante Comune degli azionisti di risparmio, in spregio a quanto previsto dall’art. 147, comma 3, del T.U.F., là dove al Rappresentante spetta un diritto di assistere e non anche di intervenire all’adunanza.
Quanto alla spettanza del diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437-quinquies c.c. in favore degli azionisti di risparmio, in ragione dell’impossibilità di accedere alla quotazione a causa del limitato numero di titoli rimasti in circolazione dopo il raggruppamento, l’organo giudicante osserva come la delibera impugnata tenti di scongiurare un simile esito, concedendo ai titolari di tale categoria di azioni il diritto di conversione dei titoli in un numero molto elevato di azioni ordinarie ed organizzando anche un mercato dei resti per il trattamento delle frazioni di azioni non raggruppabili. Il mancato accesso alla negoziazione costituisce, in definitiva, a parere del Giudice, la conseguenza del mancato esercizio del diritto di conversione, da parte degli azionisti di risparmio, e non l’effetto diretto della delibera.
Infine, con riferimento alla pretesa violazione dell’art. 146 del T.U.F. da parte della società, addotta nel ricorso, il Tribunale di Genova rileva come non sia necessaria alcuna delibera dell’assemblea speciale in vista di una decisione sociale come il raggruppamento, che investe l’intera compagine sociale e non soltanto gli azionisti di risparmio.