Il fallito può beneficiare dell’istituto dell’esdebitazione, ai sensi dell’art. 142, comma secondo, L.F., a condizione che vi sia stato il soddisfacimento, almeno parziale, dei creditori concorsuali. All’interno di detta fattispecie è da ricomprendersi anche l’ipotesi in cui alcuni dei creditori non siano stati pagati affatto; spetta, infatti, al giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, dar luogo ad una valutazione comparativa della consistenza dei riparti eseguiti rispetto a quanto complessivamente dovuto, al fine di ritenere applicabile il suddetto beneficio (interpretazione espressa dalle S.U. 24214/2011 e successivamente confermata da Cass. 9767/2012).
Nel caso di specie, la Cassazione ha accolto – sulla base del principio sopra esposto – il ricorso del fallito che aveva contestato il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 142 L.F. e ha, inoltre, ritenuto soddisfatta l’integrazione del contraddittorio ordinata al comparente nei confronti di una società, creditrice del fallito e scioltasi nelle more della di lui procedura concorsuale, alla quale costui aveva ottemperato indirizzando il ricorso ad uno dei due ex soci amministratori. A tal proposito, il Collegio ha precisato che, sebbene i diritti e i beni non ricompresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci (Cass. 6070/2013), nell’ambito delle procedure concorsuali il suddetto effetto non opera automaticamente. Infatti, ai sensi dell’art. 101 L.F. ante riforma (o 115 L.F. post riforma), la successione di un soggetto ad un altro nella titolarità di un credito concorsuale, già ammesso al passivo, non si attua tout court, ma richiede l’insinuazione del cessionario al passivo fallimentare.
Nell’ipotesi esaminata, pertanto, poiché i soci della società estinta non si erano attivati, in conformità al principio sopra enunciato, non erano da ritenersi contraddittori necessari nel giudizio di esdebitazione.