All’indomani della pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2021 che ha dichiarato l’illegittimità della seconda proroga dell’art. 54 ter e che ha determinato la ripresa di tutte le procedure esecutive, è possibile fare un primo bilancio sugli effetti e sulle conseguenze che tale disposizione ha avuto in questo particolare e cruciale settore del recupero crediti.
Al fine di comprendere l’esatta portata della normativa d’urgenza è opportuno delineare il quadro generale degli impatti dell’emergenza sanitaria sul sistema giustizia, ripercorrendo le principali tappe e le criticità che hanno caratterizzato quello che può essere definito come un anno decisamente “tormentato” per le procedure esecutive.
La situazione di emergenza seguita al diffondersi del Covid 19, infatti, se, da un lato, ha fortemente accelerato e favorito in tutto il settore la spinta alla digitalizzazione ed alla semplificazione dell’iter burocratico processuale (agevolato soprattutto dallo svolgimento delle udienze da remoto e dai riparti per via telematica), dall’altro lato, ha inevitabilmente inciso sulle performance di recupero.
Ad oggi non è ancora possibile fare una stima concreta degli effetti della pandemia, ma sicuramente le misure d’urgenza adottate a partire dal mese di marzo 2020 hanno fatto registrare, soprattutto nella prima fase (marzo – maggio 2020), un forte rallentamento ed un calo della produttività dei tribunali.
La pandemia ha avuto un impatto diretto sulle vendite giudiziarie (la fissazione delle aste è crollata soprattutto nel periodo di lockdown totale fino al – 85% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), mentre il blocco delle procedure esecutive aventi ad oggetto l’abitazione principale introdotto con l’art. 54 ter ha sicuramente rallentato il successivo recupero di efficienza.
Questo scenario è andato peraltro ad inserirsi proprio in un periodo in cui i dati relativi alle procedure esecutive avevano raggiunto dei risultati particolarmente positivi e confortanti.
Si consideri che secondo gli ultimi rilievi eseguiti nel 2019 (e quindi prima del diffondersi del Covid 19) la capacità di gestione delle procedure da parte dei Tribunali, soprattutto in virtù degli effetti delle riforme adottate nel triennio 2014 – 2016, era migliorata in maniera significativa: da un lato vi era stato un aumento sensibile delle procedure smaltite ogni anno e, parallelamente, si erano ridotti i tempi medi di chiusura.
In particolare, la durata media complessiva dell’intera procedura di esecuzione aveva mostrato un miglioramento costante, passando dai 5,11 anni del 2016, ai 5 anni del 2017 ed ai 4,7 del 2019.
In questo quadro generale si è abbattuta la pandemia che, come anticipato, ha, tra le altre misure d’urgenza, portato all’emanazione dell’art. 54 ter, introdotto con la Legge di Conversione del Decreto Cura Italia entrata in vigore il 30 aprile 2020, che ha previsto la sospensione “per la durata di sei mesi a decorrere dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto” di ogni pignoramento immobiliare, avente ad oggetto l’abitazione principale del debitore.
Tale disposizione, in considerazione della contingente situazione di emergenza sanitaria, aveva la finalità di creare uno strumento di protezione temporanea a favore dei debitori che avevano subito il pignoramento della propria abitazione, ma, sin dalla sua pubblicazione, ha prestato il fianco a numerosi dubbi e questioni interpretative che nei mesi a seguire hanno determinato il proliferare di orientamenti e differenti indicazioni sulla modalità di applicazione della normativa, il tutto purtroppo a scapito di un celere ed efficace svolgimento delle procedure.
A seguito dell’evoluzione della pandemia e, con l’entrata in vigore del c.d. Decreto Ristori, la misura introdotta dall’art. 54 ter è stata poi prorogata sino al 31 dicembre 2020.
Il cd. Decreto Ristori non si è, però, limitato a novellare l’art. 54 ter nella parte in cui prorogava la sospensione dei pignoramenti immobiliari già pendenti, ma ha disposto anche in merito alle esecuzioni da incardinare.
In particolare, ha introdotto una previsione di inefficacia di “ogni procedura esecutiva per il pignoramento immobiliare, di cui all’articolo 555 del codice di procedura civile, che abbia ad oggetto l’abitazione principale del debitore, effettuata dal 25 ottobre 2020 alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.” e quindi sino al 25 dicembre 2020 (Legge n. 176 del 18 dicembre 2020 pubblicata in G.U. 24 dicembre 2020, n. 319).
Tale intervento, andando ad incidere sulla possibilità stessa di avviare le azioni esecutive, ha quindi avuto l’effetto di ampliare ulteriormente l’impatto dell’art. 54 ter, paralizzando di fatto tutto il settore di recupero crediti incentrato sul mercato degli immobili residenziali.
Si consideri infatti che il sottostante immobiliare incide notevolmente sulle aspettative di recupero. Sempre, secondo i dati registrati prima dell’insorgere della pandemia, le migliori performance, in termini di rapporto tra prezzo di aggiudicazione in asta e valore definito nella perizia, erano proprio quelle ottenute dagli immobili residenziali (aggiudicati nella maggior parte dei casi entro la seconda asta), rispetto a quanto realizzato da immobili commerciali e industriali, le cui performance nel biennio 2018 – 2020 erano risultate in netto peggioramento.
Ma gli interventi del legislatore d’urgenza non si sono conclusi con il Decreto Ristori.
Con il c.d. Decreto Milleproroghe, infatti, è stata disposta un’ulteriore proroga al periodo di sospensione che è stato quindi differito sino al 30 giugno 2021.
Proprio in merito all’illegittimità di tale seconda ed ultima proroga si è quindi pronunciata la Corte Costituzionale con la sentenza 128 depositata il 22 giugno scorso.
Nello specifico, i Giudici della Corte Costituzionale hanno evidenziato come il bilanciamento sotteso alla temporanea sospensione ex 54 ter fosse divenuto nel tempo irragionevole e sproporzionato, inficiando così la tenuta costituzionale della seconda proroga.
In altri termini, secondo la Corte, il protrarsi del sacrificio richiesto ai creditori (che di per sé non costituiscono una categoria privilegiata ed immune dai danni causati dalla pandemia) con l’evolversi della situazione avrebbe dovuto essere parametrato alle reali esigenze di protezione dei debitori esecutati, con l’individuazione di adeguati e specifici criteri di valutazione.
La pronuncia appare del tutto condivisibile anche in considerazione della perdurante sospensione dei processi esecutivi e considerando che, di fatto, l’art. 54 ter ha avuto, nel concreto, effetti anche in situazioni di insolvenza sorte ben prima e non a causa della pandemia.
La sospensione delle procedure esecutive ha avuto un forte impatto sulla libertà di iniziativa economica, sul legittimo affidamento nella sicurezza giuridica e sul mercato inerente alla cartolarizzazione dei crediti deteriorati; il tutto, senza alcuna previsione di indennizzo, né altra forma di ristoro del pregiudizio arrecato.
L’intervento della Corte è apparso sin da subito un decisivo e quanto mai significativo incentivo per tutto il settore che, come abbiamo visto, è risultato fortemente compromesso dalla generale situazione di emergenza sanitaria.
Bisognerà a questo punto monitorare l’effettiva e concreta risposta di tutti gli operatori del settore e dei vari uffici giudiziari nella ripresa delle attività per verificare se sarà possibile riprendere i risultati registrati nel 2019 e proseguire nel trend di miglioramento delle performance di recupero giudiziale avviato negli anni precedenti all’insorgere della pandemia.