Nel caso in cui due coniugi abbiano la propria residenza o dimora abituale in due differenti immobili siti in diversi comuni, restando “unico” il nucleo familiare, tale sarà, pertanto, anche l’”abitazione principale” ad esso riferibile. In conseguenza di ciò, il coniuge che, singolarmente, dimori e risieda anagraficamente in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale) non avrà diritto all’esenzione dall’Imposta Municipale Propria (“IMU”) a meno che il citato immobile costituisca contestualmente la dimora abituale e residenza anche dei suoi familiari, qualificandosi, dunque, quale abitazione principale dell’intero nucleo familiare.
Su questo tema, fornendo ulteriori chiarimenti rispetto ad alcune pronunce emesse nell’arco dell’ultimo biennio, si è recentemente espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza in oggetto confermando, in particolare, come il principio richiamato trovi fondamento nella ratio dell’art. 13 del Decreto-Legge 6 dicembre 2011, n. 201 (di seguito “DL 201/2011”) – la cui formulazione risulta essere del tutto analoga a quella introdotta, con decorrenza 1° gennaio 2020, dall’art. 1, comma 741 della Legge 27 dicembre 2019, n. 160 con riferimento alla c.d. “Nuova IMU” – essendo questo finalizzato ad impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro comune da parte di uno dei coniugi crei la possibilità – per il medesimo nucleo familiare – di godere due volte dei benefici previsti per l’abitazione principale.
La nozione di abitazione principale, infatti, postulando l’unicità dell’immobile e richiedendo – ai fini della sua configurazione – la stabile dimora, in primo luogo, (i) del possessore e, in aggiunta, (ii) del suo nucleo familiare, non appare riscontrabile in caso di coesistenza di due abitazioni – in ognuna delle quali uno dei coniugi dimori stabilmente e risieda anagraficamente – sia (a) nell’ambito dello stesso comune che (b) in comuni diversi.
Richiamando sinteticamente i fatti di causa, il contribuente – residente in un immobile di sua proprietà – veniva raggiunto da una serie di avvisi di accertamento contenenti il disconoscimento dell’esenzione IMU da questo fruita per l’abitazione principale, motivati in ragione della circostanza che il relativo coniuge (non legalmente separato) nonché le figlie dimorassero e avessero residenza altrove.
Dopo un primo grado in cui risultava soccombente, il contribuente proponeva appello presso la competente Commissione Tributaria Regionale (“CTR”) lamentando, inter alia, l’omessa considerazione da parte dei giudici di prime cure della situazione familiare “di fatto” in essere nel periodo oggetto di contestazione, la quale, nello specifico, vedeva “la frattura del rapporto coniugale e della convivenza familiare a prescindere dalla sua formalizzazione legale”. La competente CTR, tuttavia, rigettava l’appello sulla base delle seguenti considerazioni:
1. ai fini della spettanza e della fruizione delle agevolazioni IMU per l’abitazione principale, deve riscontrarsi nell’unità immobiliare non solo la dimora abituale del contribuente, ma anche quella dei suoi familiari;
2. la legge pone la presunzione secondo cui la dimora abituale coincide con la residenza anagrafica, restando tuttavia ammessa la prova contraria nel caso in cui si dimostri che la dimora abituale sia collocata in un immobile diverso da quello di residenza;
3. ad ogni nucleo familiare spetta una sola agevolazione relativa all’abitazione principale, in considerazione dell’unicità della relativa dimora;
4. in caso di separazione o divorzio, i familiari del contribuente possono dimorare in un diverso immobile senza che ciò pregiudichi la spettanza delle agevolazioni IMU sull’abitazione principale purché la separazione o il divorzio siano comprovati legalmente.
A tale sentenza di secondo grado – lamentando la violazione ed errata applicazione del citato art. 13 del DL 201/2011, nonché degli articoli 143, 144 e 147 cod. civ. – faceva seguito il ricorso alla Corte di Cassazione proposto dal contribuente, il quale censurava l’operato della CTR per avere questa omesso di considerare che, ai fini della fruizione dell’esenzione IMU per l’abitazione principale, la circostanza che i due immobili siano situati in comuni diversi consentirebbe l’applicazione della menzionata agevolazione.
Nell’esaminare la censura proposta, i giudici ermellini hanno, in primo luogo, richiamato il dato letterale dell’art. 13, secondo comma del DL 201/2011 (come modificato dall’art. 4, comma 5 del Decreto-Legge 2 marzo 2012, n. 16) sottolineando – anche attraverso il richiamo alla giurisprudenza della stessa Suprema Corte formatasi nell’ultimo biennio sul tema (cfr. Cass. 19 febbraio 2020, n. 4166; Cass. 24 settembre 2020, n. 20130) – come, ai fini dell’applicazione dell’esenzione in commento, sia necessario, con riferimento alla stessa unità immobiliare, che tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare vi dimorino stabilmente e vi risiedano anagraficamente.
Nel proseguire la disamina del citato art. 13 DL 201/2011, i supremi giudici si sono poi soffermati poi sulla portata della “norma antielusiva” in esso contenuta, nella misura in cui, nel disciplinare il caso relativo ai componenti del nucleo familiare che abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi ma situati nello stesso territorio comunale, viene previsto che solamente uno degli immobili possa beneficiare della esenzione per l’abitazione principale.
La ratio di tale disposizione – continuano i giudici ermellini – è quella di evitare comportamenti elusivi in ordine all’applicazione delle agevolazioni per l’abitazione principale non essendo ipotizzabile che due coniugi, a meno che non siano separati di fatto, risiedano e dimorino abitualmente in due abitazioni situate nel medesimo comune; motivo per cui, al fine di raggiungere tale intento, la norma non può che essere interpretata in senso restrittivo.
Diversamente dalla fattispecie appena descritta, invece, non risulta normativamente disciplinato il caso (che coincide con quello esaminato dalla Corte) in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati in differenti comuni.
Tale circostanza, tuttavia – come espressamente rilevato nell’ordinanza in commento – non è rimasta scevra di chiarimenti, atteso che il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con la Circolare 18 maggio 2012, n. 3/DF, aveva preso posizione sul tema, in particolare affermando che l’ubicazione degli immobili in differenti comuni sterilizzava il rischio di elusione della norma agevolativa, il quale, venendo bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro territorio, produceva la possibilità di applicare, per entrambe le abitazioni, la menzionata esenzione.
In materia tributaria, tuttavia, la prassi dell’Amministrazione finanziaria – pur potendo contribuire, come dato fattuale concorrente con i dati linguistici del testo, ad orientare l’esegesi del dettato normativo nei limiti consentiti dalla stessa disposizione e dalle indicazioni della giurisprudenza – non costituisce fonte di diritti ed obblighi, posto che da essa non discende alcun vincolo neppure per la stessa autorità emanante (cfr. Cass. 30 settembre 2020, n. 20819).
Su questa premessa, i Supremi Giudici hanno rilevato come la già richiamata giurisprudenza della Corte di Cassazione avesse preso le distanze dalla citata posizione ministeriale, laddove, nello specifico, era stato evidenziato che:
(i) nel caso in cui due coniugi non separati legalmente fissino la propria dimora abituale e residenza in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile;
(ii) in conseguenza di ciò, il contribuente che dimori e risieda in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione qualora tale immobile non si ponga quale dimora abituale e residenza anche dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della abitazione principale del suo nucleo familiare. Ciò in applicazione della lettera e della ratio della norma, volta ad impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità, per il medesimo nucleo familiare, di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale;
(iii) la nozione di abitazione principale, in definitiva, postulando l’unicità dell’immobile e richiedendo la stabile dimora del possessore e del suo nucleo familiare, fa sì che non possano coesistere due abitazioni principali riferite ognuna a ciascun coniuge sia (a) nell’ambito dello stesso comune che (b) in comuni diversi.
Con l’ordinanza in commento, superando parzialmente i principi elencati, i giudici ermellini hanno fornito ulteriori elementi rispetto alle precedenti posizioni, arrivando a delineare maggiormente l’ambito applicativo del citato art. 13 DL 201/2011.
In particolare:
1. in primo luogo, vengono esaminati i possibili riflessi in tema di applicazione dell’esenzione in oggetto nel caso di “frattura del rapporto di convivenza fra coniugi, intesa quale separazione di fatto” ossia la “situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della convivenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale, con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra casa coniugale e abitazione principale” (cfr. Cass. 17 maggio 2018, n. 12050).
In tal caso – specificano i giudici della Suprema Corte – la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto, comporta una disgregazione del nucleo familiare tale che, conseguentemente, l’abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale (cfr. Cass. 7 giugno 2019, n. 15439), arrivando, in ragione di ciò, a ritenere che, in tale specifico caso, la citata esenzione possa trovare applicazione per entrambi gli immobili in cui ognuno dei coniugi – separati di fatto – dimori e risieda anagraficamente.
2. in secondo luogo, inoltre – adottando un’interpretazione conforme della richiamata norma antielusiva prevista con riferimento ai coniugi che stabiliscano la loro dimora e residenza anagrafica in immobili diversi siti nel medesimo comune – i giudici ermellini hanno ritenuto che, nel caso in cui i due coniugi fissino (e.g. per motivi di lavoro) in due differenti – “e magari distanti” – comuni la loro residenza e la loro dimora abituale in assenza della rottura del rapporto coniugale, occorrerà verificare in quale di questi immobili si realizzi l’abitazione principale del nucleo familiare (ancora integro), dovendosi quindi riconoscere la menzionata agevolazione solo con riferimento a tale ultimo immobile.
L’interpretazione adottata appare – a parere dei supremi giudici – costituzionalmente orientata, atteso che, diversamente opinando, si realizzerebbe il venir meno di principi costituzionali sia sotto il profilo dell’uguaglianza che della capacità contributiva, in particolare laddove – aderendo alle tesi giurisprudenziali esposte precedentemente rispetto all’ordinanza in oggetto – nel caso in cui i coniugi non legalmente separati fissino la propria dimora e residenza anagrafica presso immobili localizzati in comuni diversi – differentemente dal caso in cui i citati immobili siano siti nel medesimo comune – a nessuno dei due fosse concessa la possibilità di fruire dell’esenzione IMU prevista per l’abitazione principale.
Posto tutto quanto sopra e, in particolare, escludendo che i mezzi di prova addotti dal contribuente siano tali da ricondurre la fattispecie in esame ai casi di cui ai precedenti punti 1. e 2., la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.