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Approfondimenti

ESG: impatti sulla gestione collettiva del risparmio

12 Maggio 2022

Donato Varani, Partner, Annunziata & Conso

Daniel Lunetta, Annunziata & Conso

Dalila Di Martino, Annunziata & Conso

Di cosa si parla in questo articolo

L’articolo illustra gli impatti organizzativi e di trasparenza informativa nell’ambito della gestione collettiva del risparmio derivanti dalla prossima entrata in vigore, in ambito AIMF, del Regolamento delegato 2021/1255 e dell’analogo provvedimento delegato in ambito OICVM, rappresentato dalla Direttiva delegata 2021/1270, che hanno introdotto le tematiche della sostenibilità, rispettivamente, nel Regolamento n. 231/2013 e nella Direttiva 2010/43/UE.

   

1. Le tappe del processo di integrazione dei fattori di sostenibilità

1.1 Premessa

L’Unione europea è da tempo impegnata a promuovere e implementare una serie di misure volte a orientare il mercato dei capitali verso un modello di sviluppo sostenibile, inclusivo e in linea con gli impegni assunti dalla stessa Unione nell’ambito dell’Accordo di Parigi sul clima[1].

Uno snodo fondamentale, come anche ribadito in altre occasioni, è rappresentato dall’adozione dell’Action Plan on Financing Sustainable Growth (nel seguito, per brevità, “Piano d’Azione”) pubblicato l’8 marzo 2018 dalla Commissione Europea e le cui misure puntano a:

  • orientare i flussi di capitale verso investimenti sostenibili;
  • gestire in modo più efficace i rischi finanziari che derivano dal cambiamento climatico, dal consumo di risorse, dal degrado ambientale e dalle disuguaglianze sociali;
  • migliorare la trasparenza e incoraggiare un approccio di lungo periodo delle attività economico-finanziarie;

introducendo un framework normativo nel settore finanziario comune a tutti gli Stati membri.

Dopo l’introduzione del Regolamento (UE) 2019/2088, pubblicato in data 9 dicembre 2019, relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (c.d. SFDRSustainable Finance Disclosure Regulation) e del Regolamento (UE) n. 852/2020 relativo all’istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (cd. Regolamento sulla Tassonomia), una delle tappe imprescindibili per l’attuazione degli obiettivi del Piano d’Azione è rappresentata dalle modifiche alla regolamentazione delegata di esecuzione delle Direttive MiFID II, AIFMD e IDD, nonché alle Direttive in tema di governance dei prodotti finanziari (POG) (i.e. la Direttiva delegata n. 2017/593) e in ambito OICVM (i.e. la Direttiva n. 2010/43/UE).

Come ricordato dagli scriventi in altro contributo[2], infatti, il SFDR, se apparentemente implica per i partecipanti ai mercati finanziari l’assunzione di “meri” obblighi di disclosure ESG, di fatto la stessa regolamentazione provoca delle inevitabili ricadute organizzative e procedurali per gli stessi soggetti passivi di detti obblighi, di cui la trasparenza c.d. “entity” e “product level” è quindi un mero riflesso. L’integrazione dei rischi di sostenibilità nel processo decisionale di investimento (art. 3) e nelle remunerations policies (art. 5), l’adozione di processi di dovuta diligenza ai fini della considerazione degli effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità (art. 4) e la stessa elaborazione delle politiche di investimento per i prodotti con caratteristiche ambientali o sociali (art. 8) o con obbiettivi di investimento sostenibile (art. 9) sono esempi evidenti di ciò.

In questo articolo ci si focalizzerà, pertanto, sugli impatti organizzativi e di trasparenza informativa di maggiore rilevanza con cui i gestori collettivi devono nell’immediato futuro[3] confrontarsi con particolare riguardo alle novità introdotte con il Regolamento delegato (UE) n. 1255/2021 e con la Direttiva delegata 2021/1270 (nel seguito, per brevità “Atti delegati”), entrambe emanate dalla Commissione europea il 21 aprile 2021. Si tratta di misure che prossimamente modificheranno il quadro degli obblighi organizzativi e di comportamento nell’ambito della gestione collettiva del risparmio, introducendo – anche[4] – in questo settore delle tematiche della sostenibilità. Inoltre, nell’ambito del presente contributo si tenterà una riflessione sull’assenza, ad oggi, di criteri e metodologie uniformi in materia di rating ESG e di rappresentazione dei dati sulla sostenibilità.

Che l’industria del risparmio gestito costituisca uno dei principali driver della penetrazione dei principi Enviromental, Social and Governance (di seguito “ESG”) nel settore finanziario è indiscutibilmente testimoniato dai ritmi sostenuti di crescita che si registrano, a livello planetario, europeo e nel mercato italiano, fra gli operatori che raccolgono capitali. Ciò sebbene lo stato di avanzamento della regolamentazione degli obblighi di comportamento e di trasparenze, e delle relative metriche tassonomiche, non abbia raggiunto nel resto del mondo (Stati Uniti compresi) lo stesso livello di profondità e complessità che si riscontra nell’ordinamento europeo.

Basti porre attenzione a quanto emerso dalla quinta edizione del report biennale “Global Sustainable Investment Review 2020” pubblicato dalla Global Sustainable Investment Alliance (“GSIA”)[5], che mappa lo stato degli investimenti sostenibili e responsabili dei principali mercati finanziari a livello globale (combinando i dati regionali di Stati Uniti, Canada, Giappone, Australasia ed Europa), risulta che nei mercati considerati da detto report gli investimenti sostenibili sono cresciuti del 55% tra il 2016 e il 2020, raggiungendo la ragguardevole cifra di 35,5 trilioni di dollari. In Area euro, il patrimonio gestito da fondi di investimento che si qualificano come ESG risulta cresciuto da 250 miliardi di euro nel 2015 a 660 miliardi di euro nel 2020.

Assogestioni, nell’ambito della propria “Mappa trimestrale del risparmio gestito”, ha rilevato come a fine 2021 lo stock di risparmio gestito (tra gestioni collettive e di portafoglio) risultava ammontare a 2.594 miliardi di euro, con 1.273 miliardi di euro costituiti da fondi aperti di cui 432 miliardi rappresentati da fondi aperti dichiaratamente “sostenibili”, in quanto connotati da una politica di investimento che promuove «caratteristiche ambientali, sociali o di governance» ex art. 8 SFDR o diretta a realizzare esplicitamente «investimenti sostenibili»[6] ex art. 9 SFDR.

Da questi pochi dati si può nettamente intravvedere come l’attenzione verso i fattori ESG nell’industria del risparmio gestito sia una pratica largamente diffusa, tanto da potersi affermare come questo settore abbia tutte le potenzialità per costituire un acceleratore dei cambiamenti necessari verso un’economia più sostenibile, inclusiva e responsabile. Di ciò ha mostrato di avere lucida consapevolezza il legislatore comunitario, nell’introdurre il complesso di norme che – limitandoci a quanto oggetto del presente scritto – hanno avuto di mira il settore del risparmio gestito. Tenuto conto che le modifiche apportate al regolamento delegato in materia “AIFM” e alla Direttiva delegata in materia “UCITS” sono sostanzialmente coincidenti, le considerazioni che verranno di seguito svolte saranno da considerarsi valide con riguardo ad entrambi i citati plessi normativi.

1.2. I riflessi della sostenibilità per i gestori collettivi: impatti organizzativi e procedurali  

 Quello in corso, dunque, è un epocale momento di passaggio da un modello – quello cui abbiamo assistito fino al 2020 – di tipo “autoregolamentato” e nel quale (non tutti) i gestori collettivi hanno definito e propugnato la propria idea di sostenibilità, a uno scenario – quello introdotto dal SFDR e dal Regolamento Tassonomia – in cui l’intero settore del risparmio gestito è chiamato (volente o nolente) a misurarsi con le tematiche della sostenibilità, attraverso un corredo di definizioni, terminologie e strumenti tassonomici di comune riferimento e standardizzati. I nuovi concetti chiave in materia di finanzia sostenibile quali «rischio di sostenibilità»[7] e «fattori di sostenibilità»[8] entrano a far parte del corredo delle definizioni rilevanti previste, in ambito AIFM, dal Regolamento n. 231/2013 e, in ambito OICVM, dalla Direttiva delegata 2010/43/UE.

Gli Atti delegati in commento raccolgono e disciplinano le ricadute organizzative degli obblighi di disclousure previsti dal SFDR. In primo luogo, vi è quello connesso alla considerazione dei rischi di sostenibilità nell’ambito dei processi decisionali di investimento e – più in generale – nella mappatura dei rischi in grado di incidere sul valore dell’investimento stesso. Il rischio di sostenibilità, infatti, secondo la definizione contenuta nel SFDR è un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance di carattere avverso in grado di comportare (anche solo potenzialmente) impatti negativi sul “valore” dell’investimento.

Occorre ricordare in proposito che già nel dodicesimo considerando del SFDR (così come nei consideranda degli Atti delegati in commento) si specifica la necessità che i gestori collettivi valutino: “non solo tutti i pertinenti rischi finanziari su base continuativa ma anche tutti i pertinenti rischi di sostenibilità di cui al regolamento (UE) 2019/2088 del Parlamento europeo e del Consiglio che, laddove si verifichino, potrebbero comportare un significativo impatto negativo effettivo o potenziale sul valore di un investimento”.

In ragione di quanto esposto, gli organi di amministrazione e controllo e le strutture interne dei gestori collettivi sono inevitabilmente chiamati a confrontarsi con le sfide derivanti da dette nuove fonti di rischio per l’investimento, valutando come integrarli nel modello di business e nelle strategie dell’intermediario, oltre che nell’ambito dei processi decisionali e negli assetti organizzativi e operativi. Ciò richiederà, anzitutto, una chiara conoscenza (e coscienza) da parte degli esponenti del gestore collettivo dei rischi di sostenibilità – al pari dei più tradizionali rischi finanziari[9] – cui è (o potrebbe essere) esposto l’intermediario, nonché dei riflessi negativi (potenziali o reali) sul modello di business adottato, sulle strategie di investimento e sulle performance del portafoglio gestito, per una loro efficace selezione e gestione (o mitigazione).

Quanto precede deve essere attuato, come già evidenziato dagli scriventi in un precedente contributo[10], a prescindere dal fatto che i gestori collettivi abbiano istituito e/o commercializzino fondi “light green” e/o “dark green” ai sensi degli articoli 8 e 9 del SFDR[11], diversamente da quanto si vedrà più avanti a proposito della considerazione dei cc.dd. “effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità”.

Non a caso, gli Atti delegati in commento estendono alle tematiche di sostenibilità gli obblighi di knowledge and competence del personale del gestore collettivo, al fine di assicurare che quest’ultimo si doti delle risorse e delle competenze necessarie per permettere un’efficace integrazione dei pertinenti rischi al proprio interno[12]. Un ruolo fondamentale assumeranno, a supporto dell’irrobustimento delle competenze del personale di cui il gestore collettivo si avvale, le specifiche iniziative che saranno assunte nell’ambito dei programmi di formazione dei medesimi gestori.

Una volta individuati i rischi di sostenibilità pertinenti (ove esistenti), spetta agli organi di amministrazione comprenderne e misurarne gli impatti sul contesto aziendale, nel breve, medio e lungo termine, anche al fine di orientare le scelte strategiche, assicurando così robustezza e resilienza al modello di business.[13] L’allocazione di detta responsabilità in capo alle strutture responsabili della governance del gestore collettivo emerge dalla lettura degli Atti delegati in commento, dove ai consigli di amministrazione e all’Alta dirigenza viene attribuito[14] il compito di assicurare la presa in considerazione dei rischi di sostenibilità nell’ambito dei più generali obblighi descritti agli artt. 57 e 60 del Regolamento 231/2013.

Pertanto, l’organo di amministrazione assicura che sia conferito al gestore collettivo un assetto organizzativo e dei controlli interni, nonché di strategie e processi decisionali di investimento e di valutazione del rischio non solo effettivi, adeguati ed efficaci, ma anche in grado di includere l’identificazione di detti rischi nel breve e nel lungo periodo. A tal fine, l’organo di amministrazione individua in modo esplicito le strutture interne all’uopo preposte, descrive con chiarezza il mandato delle stesse e, di conseguenza, adegua le policy e le procedure rilevanti, in coerenza con il diverso grado di materialità che sarà stato attribuito ai rischi di sostenibilità considerati e nel rispetto del principio di proporzionalità.

Tra dette policy e procedure rilevanti che il gestore collettivo dovrà sotto – il profilo in commento – integrare vi è anzitutto quella concernente la remunerazione del personale, che dovrà essere conformata in modo da stimolare e favorire l’adozione di comportamenti coerenti con l’approccio al rischio di sostenibilità adottato dal gestore collettivo. Si tratterà, più precisamente, di fare in modo che la componente variabile della remunerazione del personale dei gestori collettivi che hanno definito obiettivi in questo ambito sia:

  • ancorata alla realizzazione degli obiettivi stessi, che devono essere specificamente individuati e descritti;
  • misurata sulla base di specifici meccanismi presenti nel piano di incentivazione del personale (ad es. indicazione di appositi KPI ESG ecc…);
  • soggetta a sistemi di controllo delle performance

Su tutto ciò, i gestori collettivi sono poi chiamati a fornire disclousure al mercato, in conformità a quanto stabilito dall’art. 5 del SFDR.

La governance dei gestori collettivi, dunque, dovrà ricomprendere anche la governance dei rischi di sostenibilità, sia che ciò avvenga in maniera “accentrata” su di una struttura apposita, atta a governare la tematica dei rischi di sostenibilità, sia che ciò si realizzi attraverso una responsabilità diffusa e “decentralizzata” tra molteplici strutture aziendali, tramite l’assegnazione di specifici ruoli e competenze in ciascuna di esse[15].

Compito delle strutture di governance del gestore collettivo è indubbiamente anche quello di assicurare che i processi istruttori (“processi decisionali di investimento”) a supporto delle scelte di investimento tengano conto – in modo documentato e coerente – degli associati rischi di sostenibilità, quale che sia l’approccio da seguire fra quelli più comunemente impiegati[16] (Selezione negativa/esclusione, Selezione positiva/best in class, Selezione su base normativa, Investimenti tematici, Impact / community investing, Corporate engagement e attivismo azionario, analisi degli “indici di sostenibilità”) filtrando indici tradizionali in base ai rating/criteri di sostenibilità definiti dalle rating agencies[17].

Per i gestori collettivi (come per ogni altro partecipante ai mercati finanziari cui si rivolge la regolamentazione SFDR) si renderà quindi necessario raccogliere ed analizzare un insieme di dati e informazioni sui prodotti e sugli investimenti che non attengono alla sfera strettamente finanziaria.

Appare indispensabile quindi, da un lato, integrare le fonti informative, tramite l’individuazione di fornitori qualificati di dati e di competenze (eventualmente) esterne all’intermediario (ad es. agenzie di rating ESG, fintech, enti certificatori, infoprovider ecc.) e, dall’altro, individuare gli strumenti informatici per agevolare la raccolta e l’elaborazione dei dati nonché la verifica della qualità degli stessi.

 In tale ambito non è difficile intravedere taluni rischi di carattere reputazionale che potrebbero ingenerarsi a carico del gestore collettivo, almeno sotto un duplice aspetto.

Da un lato, infatti, la mancata adozione da parte del gestore collettivo di sistemi informatici aziendali adeguati, potrebbe compromettere la capacità dell’intermediario di raccogliere e aggregare – necessariamente in modo sistematico e su larga scala – i dati che gli occorrono per la valutazione dell’esposizione ai rischi di sostenibilità dell’intermediario, con la conseguente compromissione delle scelte strategiche e di business nel breve e nel lungo periodo.

Per altro verso, vi è il rischio che, ad esempio, nella scelta dei providers di servizi di analisi degli “indici di sostenibilità” (rating agencies ecc..) il gestore collettivo sia fortemente condizionato da ragioni di conflitto di interesse che, se non adeguatamente intercettati, gestiti, monitorati e comunicati, possono inquinare fortemente la qualità del risultato finale delle analisi condotte, così potendo dar luogo a fenomeni di greenwashing.

Si pensi in proposito ai rischi di conflitto di interesse derivanti dall’utilizzo da parte del gestore collettivo di indici o punteggi ESG o rating elaborati “in house” (i.e. anche nell’ambito di società del gruppo di appartenenza), senza l’impiego di presidi atti a prevenire le interferenze nella qualità e attendibilità dell’elaborazione dei dati derivanti dalla sussistenza di ragioni di conflitto di interessi derivanti, ad esempio, dal gruppo di appartenenza del gestore oppure dalla percezione da parte del medesimo di inducements. In tal caso, l’intermediario sarebbe coinvolto in un rischio di un conflitto di interesse non gestito con un elevato rischio di greenwashing.

Si ponga attenzione, per esempio, all’ipotesi (peraltro non remote, guardando alla realtà dei fatti) della sussistenza di stretti legami di carattere societario tra il fornitore di un rating ESG relativamente ad un OICVM o ad un FIA e il gestore collettivo di detti OICR in favore del quale il predetto fornitore svolge servizi di consulenza. Le ricadute di una simile fattispecie di conflitto di interesse (ove non gestito e risolto, o almeno dichiarato al pubblico), difatti, sotto il profilo dei rischi di greenwashing sull’adempimento degli obblighi di disclousure da parte del gestore collettivo in forza del SFDR sono facilmente immaginabili.

L’integrazione dei rischi di sostenibilità nei processi decisionali dell’intermediario, dunque, passa anche per la politica di gestione dei conflitti di interesse. Ciò è ben noto al legislatore comunitario, che, fra i consideranda e poi anche nell’articolato degli Atti delegati, fa esplicito riferimento alla necessità che, quando il gestore individua i tipi di conflitti di interesse la cui esistenza può ledere gli interessi dello stesso, quest’ultimo includa “quelli che possono insorgere a seguito dell’integrazione dei rischi di sostenibilità nei (…) processi, sistemi e controlli interni, al fine di mantenere un livello elevato di tutela degli investitori. Tra di essi rientrano i conflitti di interesse (…)  che potrebbero dar luogo a greenwashing[18].

Questa indubbia accresciuta importanza delle questioni legate alla sostenibilità porta inevitabilmente con sé la necessità di una maggiore supervisione dei processi di valutazione e gestione dei rischi legati alla sostenibilità.

Non a caso, gli Atti delegati in commento integrano i plessi normativi di riferimento (AIMFD e UCITS) con la previsione della necessità che gli asset manager si dotino di una politica di gestione del rischio che includa tutte le procedure necessarie per permettere di valutare l’esposizione dei fondi gestiti “al rischio di mercato, di liquidità, di sostenibilità e di controparte, nonché l’esposizione a qualsiasi altro rischio pertinente, compreso il rischio operativo[19]. Compito dell’organo amministrativo – del resto – è anche quello di garantire che il gestore collettivo istituisca, attui e mantenga idonei meccanismi di controllo interno, per garantire il rispetto delle decisioni e delle procedure a tutti i livelli (art. 57 Regolamento 231/2013). La traduzione di detto obbligo in chiave di integrazione dei rischi di sostenibilità nel sistema dei controlli interni implica la necessità che l’organo di amministrazione assicuri che:

  • la funzione di Risk Management incorpori i rischi di sostenibilità nella valutazione dell’esposizione ai vari rischi e nel loro monitoraggio, elaborando report esaustivi sul tipo e sul livello di materialità dei rischi di sostenibilità a cui sono esposti l’intermediario e i portafogli, individuali e collettivi, che questo eventualmente gestisce;
  • la funzione di Compliance assicuri che i rischi di conformità derivanti dai rischi di sostenibilità siano presi in debita considerazione in tutti i processi rilevanti;
  • la funzione di Internal Audit verifichi l’adeguatezza dei presidi e delle iniziative di mitigazione (anche) dei rischi in questione.

In disparte rispetto alla questione dell’integrazione dei rischi di sostenibilità nel processo decisionale di investimento, vi è quella connessa all’adeguamento alle disposizioni di cui all’art 4 SFDR, a norma del quale i gestori collettivi che, per obbligo[20] o per scelta, prendono in considerazione i principali effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità sono tenuti a comunicare le loro politiche di dovuta diligenza riguardanti tali effetti. Si tratta di quella parte della regolamentazione in commento a carattere “facoltativo” ovvero caratterizzata dall’approccio “comply or explain” per i quali i gestori decidono (dovendone motivare espressamente le ragioni) di non prendere in considerazione i cc.dd. effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità (“principal adverse impact” o “PAI”).

Di converso, la scelta del gestore collettivo di prendere in considerazione i PAI comporta la necessità di a) individuarli; b) mettere in atto una serie di azioni di mitigazione degli stessi (anche adeguando i propri processi aziendali) e, infine, di c) rendicontarne i risultati al mercato. Senza voler scendere troppo nel dettaglio sulla individuazione dei PAI[21], qui ci si sofferma brevemente sulle ricadute organizzative dell’assunzione di tale scelta da parte dell’intermediario (che, naturalmente, non sia tenuto a farlo).

La bozza del Regolamento delegato emanata lo scorso 6 aprile dalla Commissione Europea[22], al fine di recepire gli standard tecnici emanati dalle ESA’s nel corso del 2021, prevede all’art. 7 la necessità che i partecipanti ai mercati finanziari si dotino di apposite “Politiche per identificare e dare priorità ai principali impatti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità”; si tratta delle politiche in relazione alle quali si incentrerà poi l’obbligo di disclousure a livello di sito web (ex art. 4, paragrafo 1, lett. a), SFDR) e a livello di documento d’offerta / prospetto informativo ex art. 7 SFDR).

In tal caso si pone la necessità per i gestori collettivi di stabilire un ordine di priorità delle esternalità negative delle proprie decisioni di investimento, sulla base della probabilità che si verifichino, della relativa portata (ad es. il numero di individui che potrebbero essere colpiti, come l’aumento della disoccupazione e dei prestiti in sofferenza), della gravità degli effetti (l’entità del danno ambientale, come il volume di acqua inquinata, il degrado del suolo, ecc..) nonché del loro carattere potenzialmente irrimediabile sui fattori di sostenibilità.

Ancora una volta spetta all’organo di amministrazione del gestore collettivo assicurare che l’organizzazione aziendale sia in grado di gestire efficacemente la responsabilità derivante dalla scelta di considerare i “PAI” quale parte della propria strategia e modello di business.

Ciò comporta dunque:

  • una chiara ripartizione delle responsabilità fra i diversi ambiti aziendali per l’attuazione delle “Politiche per identificare e dare priorità ai principali impatti negativi”;
  • l’eventuale adozione di apposite politiche di engagment e di impegno, quale parte della strategia utilizzata dal gestore per mitigare gli effetti negativi delle proprie decisioni di investimento[23];
  • l’adozione di un’apposita metodologia per selezionare gli indicatori “PAI” e, in particolare, per “prioritizzarli” sulla base della probabilità che si verifichino e della gravità degli impatti negativi che ne deriverebbero sui fattori di sostenibilità, compreso il loro carattere potenzialmente irrimediabile;
  • la considerazione (e la gestione) dei possibili margini di errore associati a tali metodologie.

Si tratta di un cambiamento radicale che – non è difficile prevedere – richiederà tempo per essere assorbito e implementato.

2. La trasparenza a livello di documenti informativi

Dopo aver analizzato le ricadute e gli impatti organizzativi di maggiore rilevanza a cui i gestori collettivi dovranno far fronte nei prossimi mesi, merita soffermarsi brevemente sulla trasparenza informativa a livello di prodotto[24] e ricordare, per quanto qui di interesse, che la disciplina europea impone i seguenti obblighi, in parte già richiamati nella presente analisi:

  • trasparenza dell’integrazione dei rischi di sostenibilità (art. 6) e della scelta del partecipante al mercato finanziario di non considerare effetti negativi per la sostenibilità (“PAI”) a livello di prodotto finanziario (art. 7 paragrafo 2)[25];
  • trasparenza della scelta operate dal partecipante al mercato finanziario circa la considerazione degli effetti negativi per la sostenibilità (“PAI”) a livello di prodotto finanziario (art. 7, paragrafo 1)[26];
  • trasparenza nell’informativa precontrattuale relativamente alla promozione delle caratteristiche ambientali o sociali per i cd prodotti light green[27] (art. 8) e degli investimenti sostenibili per i cd prodotti dark green[28] (art. 9);
  • trasparenza della promozione delle caratteristiche ambientali o sociali e degli investimenti sostenibili sui siti web (art. 10) e nelle relazioni periodiche (art. 11).

Com’è noto, alcuni dei citati obblighi sono entrati in vigore già a far data dal 10 marzo 2021; per altri, invece, l’applicazione è stata posticipata tra il 1° gennaio 2022 e il 1° gennaio 2023.

Sul punto merita di essere, innanzitutto, rilevato il recente intervento da parte delle Joint Commitee of the European Supervisory Authorities[29] che, con dichiarazione del 24 marzo 2022, sono intervenute con l’asserito obiettivo di mitigare il rischio di un’applicazione divergente dei Regolamenti SFDR e Tassonomia nel periodo compreso tra il 10 marzo 2021 e la data di applicazione degli RTS (obiettivo che, considerando il disordine esplicativo della citata dichiarazione, a parere di chi scrive, non sembra essere stato del tutto raggiunto).

Il contributo, seppur minimo, apportato dalle JC ESAs è individuabile nel tentativo di illustrare i termini di applicazione della nuova normativa, con riferimento ai quali, anche a causa dei diversi rinvii, vi è ancora una generale confusione.

In particolare, con riferimento alle informazioni periodiche concernenti la trasparenza della promozione delle caratteristiche ambientali o sociali degli investimenti sostenibili, di cui all’art. 11 del SFDR, le predette Autorità congiunte, nell’ambito del comunicato in commento, hanno ricordato ai partecipanti ai mercati finanziari l’immediata efficacia dell’obbligo in parola già nel corrente anno. Sempre nell’ambito del medesimo comunicato, tuttavia, le stesse ESA’s hanno dovuto prendere atto della circostanza che gli RTS sui dettagli aggiuntivi concernenti detta informativa[30] si applicheranno solo a partire dal 1° gennaio 2023, e che, dunque, nonostante i gestori collettivi vi possano fare riferimento quale paradigma fin d’ora, gli stessi “dettagli aggiuntivi” dovrebbero essere contenuti nell’informativa periodica che sarà resa disponibile alla clientela solo a partire dalla predetta data.

Oltre alle divulgazioni periodiche, come supra accennato, sussistono poi in capo ai gestori (e, più in generale, a tutti i destinatari della disciplina) una serie di obblighi informativi a livello precontrattuale sul prodotto, principalmente finalizzati a ridurre le asimmetrie informative nelle relazioni principale-agente riguardanti la promozione delle caratteristiche ambientali o sociali e gli obiettivi di investimento sostenibile.

Con specifico riguardo in questa sede agli obblighi di informativa precontrattuale applicabili ai gestori collettivi e riferibili alla documentazione d’offerta, il SFDR impone (cfr art. 6 par. 1) di descrivere:

a) il modo in cui i gestori collettivi integrano i rischi di sostenibilità nelle loro decisioni in materia di investimenti;

b) i risultati della valutazione dei probabili impatti dei rischi di sostenibilità sul rendimento dei prodotti finanziari;

c) la scelta di non considerare effetti negativi per la sostenibilità (“PAI”) a livello di prodotto finanziario (cfr. art. 7, par. 2, che richiama l’art. 6)

Se la valutazione di tali rischi porta a ritenere che non sussistono rischi di sostenibilità giudicati rilevanti per il prodotto finanziario, deve essere fornita una spiegazione chiara e concisa al riguardo.

L’informativa precontrattuale in esame deve essere fornita a) dai GEFIA, nelle informazioni agli investitori di cui all’art. 23 par. 1 dell’AIFMD; b) dalle società di gestione di OICVM, nel prospetto previsto dalla Direttiva UCITS (cfr art. 6 par. 3).

Nell’informativa precontrattuale prevista dal SFDR sono altresì incluse le informazioni relative agli effetti negativi per la sostenibilità a livello di prodotto finanziario (cfr art. 7 SFDR), le informazioni relative alla circostanza che un prodotto finanziario promuove caratteristiche ambientali o sociali o una combinazione di esse (cfr art. 8 SFDR) e le informazioni relative alla circostanza che un prodotto finanziario ha come obiettivo investimenti sostenibili (cfr art 9 SFDR).

In particolare, coloro che prendono in considerazione gli effetti negativi delle decisioni di investimento sui fattori di sostenibilità, devono pubblicare, entro il 30 dicembre 2022, informazioni precontrattuali contenenti: a) una spiegazione chiara e motivata che indichi se e, in caso affermativo, in che modo un prodotto finanziario prende in considerazione i principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità e b) una dichiarazione attestante che le informazioni relative ai principali effetti negativi sui fattori di sostenibilità sono disponibili tra le informazioni periodiche da pubblicare ex art. 11. Nel caso in cui, invece, non vengono presi in considerazione gli effetti negativi delle decisioni di investimento, una dichiarazione in tal senso che specifichi altresì i motivi alla base di tale scelta[31] (cfr art. 7 SFDR).

In presenza di un OICVM o FIA qualificabile come ex art. 8 SFDR (c.d. “light green”), è opportuno chiarire in cosa debba sussistere detto obbligo di disclousure per il gestore collettivo. Ed infatti si può ritenere che nella diversa gradazione dal punto di vista dell’integrazione dei fattori ESG a livello di politica di investimento di un prodotto finanziario (dal gradino più basso dato dai prodotti “pale green” ex art. 6 SFDR ai prodotti “dark green” ex art. 9 SFDR) la via di mezzo, rappresentata appunto dai prodotti light green è sempre la più grigia e, per questo, maggiormente insidiosa.

Cosa debba essere comunicato agli investitori ai quali venga proposto un investimento in un determinato OICVM o in un FIA? Si tratta di un problema non da poco per i gestori collettivi ai quali fin dalle bozze di RTS emanate (e adesso anche da quella di Regolamento delegato della Commissione) è stato detto che la sola integrazione dei rischi di sostenibilità non è sufficiente per considerare un prodotto come rientrante nella categoria dell’art. 8 – essendo necessario il riscontro della “promozione”di specifiche caratteristiche ambientali e/o sociali nella politica di investimento relativo al prodotto .

Si pone la necessità per i gestori collettivi (come per qualsiasi altro partecipante ai mercati finanziari) di operare una scelta delle caratteristiche ambientali o sociali (o una combinazione di entrambe) che dovranno connotare il singolo prodotto di investimento. In merito a ciò, difatti, sussiste un preciso obbligo di disclousure a livello di documentazione precontrattuale circa le caratteristiche ambientali e/o sociali promosse dal prodotto finanziario e se è stato designato un benchmark di riferimento per il raggiungimento delle medesime caratteristiche.[32]

In proposito, vengono in soccorso, da un lato, gli stessi consideranda degli RTS e, dall’altro, la prassi applicativa dei gestori fin qui riscontratasi.

L’analisi conforta nel sostenere che affinché un prodotto di investimento (nel caso che qui ci occupa, OICVM o FIA) possa considerarsi “light green”, il gestore dovrebbe chiarire anzitutto la strategia di investimento impiegata. Al riguardo, nella concreta operatività dei gestori collettivi, ciò si traduce nella pubblicazione di una variegata serie di informazioni circa i molteplici approcci e strategie di investimento adottate a tal fine, a partire (più spesso) dall’adozione di criteri di selezione negativa/esclusione, volti a chiarire tutti gli ambiti commerciali / imprenditoriali esclusi dall’orizzonte degli investimenti eligibles dai prodotti del gestore (ad es. armi, tabacco, pornografia, genetica umana ecc..). Quale che sia l’approccio perseguito dal gestore, un dato che emerge chiaramente dagli RTS è la necessità di garantire che le informazioni che rendono disponibili prodotti “light green” dovrebbero “coprire la più ampia gamma possibile di approcci[33].

Questo implica dunque che l’adozione di un criterio di screening negativo da solo non è sufficiente, essendo necessaria anche l’adozione (insieme a quello) di uno di tipo “positivo” (ad es. best in class, selezione su base normativa, ecc…).

Per un OICVM, ad esempio, un possibile approccio di tipo “positivo” potrebbe essere dato dall’adozione di analisi degli “indici di sostenibilità” relativi ai titoli in portafoglio, utilizzando i criteri definiti dalle rating agencies, filtrando indici tradizionali in base ai rating/criteri di sostenibilità (sebbene con i limiti che si cercherà di mettere in luce nel prossimo paragrafo)[34].

Del resto, come già messo in luce in un precedente contributo dagli scriventi[35], la mera adozione di criteri di selezione degli investimenti esclusivamente di tipo “negativo” (oltre a rappresentare un grado di attenzione e di conformità alle tematiche ESG “minimo” da parte del gestore collettivo) priverebbe quei settori di attività esclusi dalla strategia di investimento da importanti driver economici per riconvertire la loro attività in modo più sostenibile.

Non a caso, costituiscono ulteriori modalità per promuovere le caratteristiche ambientali o sociali di un prodotto sia la considerazione degli effetti negativi delle decisioni di investimento (“PAI”) sui fattori di sostenibilità, nel caso in cui il gestore collettivo opti per la facoltà prevista dalla lettera a) dell’art. 4 SFDR, sia l’adozione di politiche di engagment o comunque di analisi delle “pratiche di buon governo” adottate dalle società partecipate, come emerge chiaramente sempre dall’analisi degli RTS emanati dalle ESA’s.

Non a caso, fra gli obblighi di disclousure previsti dagli RTS[36] a livello di informativa precontrattuale vi è anche quello di specificare come sono allineati gli investimenti sostenibili con le “Linee guida dell’OCSE per le imprese multinazionali” del 25 maggio 2011, con i “Principi guida delle Nazioni Unite su affari e diritti umani[37], con i principi e i diritti enunciati nelle otto “Convenzioni fondamentali” OIL sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro e nella “Carta internazionale dei diritti umani”[38].

Vi è poi un ulteriore aspetto che emerge chiaramente dall’analisi della regolamentazione tecnica di attuazione degli obblighi del SFDR: i prodotti ex art. 8 debbono includere una percentuale (più o meno significativa) del portafoglio dedicata ad “investimenti sostenibili”.  Ciò con l’ulteriore vincolo derivante in capo alla restante parte degli investimenti del prodotto finanziario di non causare “danni significativi” a nessuno dei predetti investimenti sostenibili (marginali) di tipo ambientale o sociale.

Quale che sia la scelta operata, il rischio di greenwashing è sempre latente. Per questo motivo gli RTS invitano i partecipanti ai mercati finanziari a “non divulgare eccessivamente la sostenibilitàin presenza di una natura non vincolante dei criteri di selezione (negativi/positivi) degli investimenti facenti parte della strategia di investimento adottata (quando gli stessi gestori possano, in definitiva, disapplicare liberamente gli stessi).

Vale la pena notare che il su richiamato rischio di greenwashing potrebbe essere anche il risultato di una cattiva gestione delle risorse, comprese le pratiche di conformità da parte delle strutture di governance del gestore.

Del resto, questi rischi sono stati messi in evidenza anche dall’International Organization of securities commissions (“IOSCO”)[39] nell’ambito del report in cui ha evidenziato le pratiche più diffuse di greenwashing nel settore della gestione collettiva collegate alla divulgazione delle caratteristiche di sostenibilità di un prodotto, e, fra queste:

  • la mancanza di allineamento tra il nome del prodotto legato alla sostenibilità e i suoi obiettivi e/o strategie di investimento[40];
  • la commercializzazione del prodotto come focalizzato su tutte e tre le componenti ESG, ma essendo focalizzato in realtà solo su una di esse;
  • l’uso effettivo delle strategie di investimento pubblicizzate;
  • l’incapacità di un prodotto di seguire i suoi obiettivi e/o strategie di investimento legate alla sostenibilità.[41]

Qualora, invece, il prodotto abbia obiettivi di investimento sostenibile (c.d. prodotto dark green) gli obblighi informativi sono ulteriormente rafforzati. Per tali prodotti, infatti, viene richiesto di dimostrare chiaramente che la progettazione dell’indice designato è appropriata per raggiungere l’obiettivo di investimento sostenibile dichiarato e che la strategia del prodotto finanziario assicura che il prodotto stesso sia costantemente allineato con tale indice.

Vale la pena ricordare brevemente che la Consob, in data 11 febbraio 2022, ha posto in pubblica consultazione alcune modifiche al Regolamento Emittenti[42] chiarendo le modalità pratiche della disclousure di cui agli artt. 6, 7, 8 e 9 del SFDR e 5, 6 e 7 del Regolamento Tassonomia. L’Autorità ha, infatti, specificato che le informazioni devono essere contenute:

  • per gli OICVM italiani e i FIA aperti non riservati, nel prospetto richiamato dagli artt. 17 e 27 del Regolamento Emittenti, redatto secondo lo schema 1 di cui all’allegato 1B al medesimo Regolamento;
  • per i FIA chiusi non riservati, sono fornite nel prospetto ai sensi del nuovo comma 5-bis dell’art. 13bis del Regolamento Emittenti;
  • per i FIA riservati gestiti da GEFIA italiani, nel documento di offerta di cui all’art. 28 del Regolamento Emittenti, contenente le informazioni di cui all’allegato 1D al medesimo regolamento.

L’obiettivo di chiarezza perseguito dall’Autorità di Vigilanza, tuttavia, non può dirsi pienamente raggiunto stante che residuano ancora alcuni aspetti di incertezza. Invero, nell’ambito della consultazione pubblica è stata segnalata da taluno: “l’opportunità di chiarire se le discosures richieste dalla normativa SFDR e TR debbano essere integrate all’interno del Prospetto (e in tal caso dove o come) o debbano costituirne un allegato, come sembrerebbe dalla lettura del primo paragrafo degli articoli 13 e 20 della bozza di testo consolidato di RTS dello scorso 21 ottobre[43].

D’altro canto, nei consideranda della bozza di Regolamento delegato emanato lo scorso 6 aprile dalla Commissione Europea, viene detto che includere le informazioni relative alla sostenibilità direttamente sotto forma di allegati alle informazioni precontrattuali può impedire all’investitore finale di ricevere un’informazione chiara e concisa poiché il prodotto finanziario può offrire una vasta gamma di opzioni di investimento sottostanti e un numero corrispondente di allegati informativi. In tali casi, secondo la Commissione, “dovrebbe essere consentito che tali informazioni siano fornite attraverso un riferimento ad altre informazioni fornite ai sensi di direttive, regolamenti o leggi nazionali[44].

Non resta, quindi, che aspettare la risposta che verrà fornita dall’Autorità, la quale ha già  ammonito gli operatori del mercato, dichiarando l’intenzione di implementare l’attività di vigilanza sugli investimenti sostenibili nel prossimo biennio 2022-2024, in particolare sulla documentazione d’offerta, sulla pubblicità e sull’attività dei consulenti, al fine di migliorare la disclosure dei fattori di sostenibilità da parte degli operatori[45].

Al tempo stesso, però, le azioni di vigilanza dichiarate dalla Consob nel proprio Piano Strategico 2022-2024, saranno mirate, oltre che a valutare la corretta disclosure degli “investimenti sostenibili”, anche ad esaminare le metodologie e i criteri utilizzati per l’emissione di giudizi di sostenibilità da parte dei soggetti che producono rating, delle agenzie di rating del credito, dei data provider e dei produttori di benchmark che, come si dirà meglio nel prosieguo, rappresentano uno degli aspetti maggiormente problematici della nuova regolamentazione.

3. Alcuni aspetti problematici: Informativa, Rating e Data providers ESG

 L’integrazione dei fattori di sostenibilità nell’ambito dei processi aziendali di investimento e di risk management, nonché nella disclosure che deve essere fatta a livello di product level agli investitori, come anticipato all’inizio di questo contributo, trova importanti ostacoli nella mancanza di metriche condivise a livello globale sulla rappresentazione dei fattori di sostenibilità nell’informativa societaria (peraltro non tutti i fattori ESG sono stati ancora considerati nell’ambito dello sviluppo degli standard informativi) e sulla difforme e variegata presenza di metodologie e modelli di rappresentazione dei fattori di sostenibilità adottati dalle agenzie di rating e dagli info provider.

Relativamente agli standard che permettono di poter avere delle metriche condivise ai fini della rappresentazione nelle informative delle imprese in materia di sostenibilità, dal 2017 all’indomani della crisi finanziaria, il Financial Stability Board (“FSB”) ha promosso la Task Force on Climate-Related Financial Disclosure (“TCFD”) che ha emanato, nel giugno del 2017, un documento[46] nell’ambito del quale vengono emanate raccomandazioni concernenti l’informativa finanziaria legata ai rischi climatici che viene prodotta dalle imprese, con focus su quattro aree tematiche (Governance, Strategia, Risk Management, Metriche e obiettivi) supportate da undici principi di maggior dettaglio che ne completano il quadro.

Tali informazioni dovrebbero permettere agli investitori e agli altri soggetti interessati di comprendere come le imprese che le applicano valutino i rischi e le opportunità legati al clima. Per il settore finanziario e per alcuni settori non finanziari è stata sviluppata una guida supplementare al fine di evidenziare importanti considerazioni specifiche.

Nell’ambito delle richiamate raccomandazioni della TCFD, particolare importanza è attribuita alla disclosure concernente la resilienza della strategia dell’impresa, prendendo in considerazione diversi scenari legati al clima, incluso uno scenario di un aumento della temperatura di 2° Celsius o inferiore. La TCFD ritiene, infatti, che la divulgazione da parte di un’organizzazione di come le sue strategie potrebbero cambiare per affrontare potenziali rischi e opportunità legati al clima rappresenta un passo fondamentale per comprendere meglio le potenziali implicazioni del cambiamento climatico sull’impresa.

In proposito, viene in aiuto il Network for Greening the Financial Systems (“NGFS”) formato dalle Banche Centrali e dai Supervisori e fondato nel corso del summit sul clima a Parigi nel dicembre 2017 che ha sviluppato un tooll’NGFS climate scenarios”[47]che permette di avere un punto di riferimento comune per capire come il cambiamento climatico (rischio fisico), la politica climatica e le tendenze tecnologiche (rischio di transizione) potrebbero evolvere nell’ambito dei diversi scenari futuri ipotizzati, collegando ogni scenario ad una gamma di risultati di rischio.

Sempre in tema di standard di disclosure, merita di essere qui citato l’International Sustainability Standards Board (ISSB), creato il 3 novembre 2021 dall’IFRS, la cui mission è legata alla creazione di uno standard setter di principi di disclosure relativi alla sostenibilità che forniscano agli investitori e agli altri partecipanti al mercato dei capitali informazioni sui rischi e le opportunità legati alla sostenibilità delle aziende. Al momento l’ISSB ha emanato due draft di principi[48] la cui consultazione si estende dal 31 marzo 2022 al 29 luglio 2022.

Venendo alla situazione in Europa, fin dal 2014 con l’emanazione della Direttiva 2014/95/UE (“NFRD”)[49] è presente una regolamentazione concernente l’informativa non finanziaria che stabilisce le regole sulla divulgazione di informazioni non finanziarie concernenti questioni ambientali, sociali e trattamento dei dipendenti, rispetto dei diritti umani, anticorruzione e corruzione, diversità nei consigli di amministrazione delle società (in termini di età, sesso, background educativo e professionale). Le regole dell’UE sulla rendicontazione non finanziaria si applicano attualmente alle grandi aziende di interesse pubblico con più di 500 dipendenti che, ad oggi si stimano in circa 11.700 grandi aziende e gruppi in tutta l’UE, tra le quali: società quotate in borsa, banche, compagnie di assicurazione e altre società designate dalle autorità nazionali come enti di interesse pubblico.

Con l’adozione, il 21 aprile 2021, della proposta di direttiva sulla Rendicontazione di sostenibilità delle imprese (“CSRD”), che modificherebbe gli attuali requisiti di rendicontazione della NFRD, la Commissione estende il campo di applicazione a tutte le grandi società e a tutte le società quotate sui mercati regolamentati (tranne le micro-imprese quotate), richiedendo l’audit (di garanzia) delle informazioni riportate, introducendo requisiti di rendicontazione più dettagliati e l’obbligo di rendicontazione secondo gli standard obbligatori di sostenibilità dell’UE nonchè richiedendo alle aziende di “etichettare” digitalmente le informazioni riportate, in modo che siano leggibili dalle macchine e alimentino il punto di accesso unico europeo previsto dal piano d’azione dell’Unione dei mercati dei capitali. La proposta di Direttiva prevede l’adozione di standard di rendicontazione sulla sostenibilità[50] nella UE che verrebbero sviluppati dallo European Financial Reporting Advisory Group (“EFRAG”), basandosi e contribuendo alle iniziative internazionali di standardizzazione.

La strada per arrivare all’individuazione di una metodologia uniforme per rappresentare nell’informativa delle imprese a livello globale la strategia legata ai fattori di sostenibilità e i rischi ad essa sottesi è ancora lunga. Gli effetti della frammentazione su questo settore comportano difficoltà legate alla comparabilità, alla misurazione, alla trasparenza, alla affidabilità dei dati, all’elusione normativa con rilevanti rischi di greewashing. In Europa è evidente lo sforzo che il legislatore comunitario sta compiendo in questo senso, ma a livello globale rimangono evidenti difficoltà nel raggiungere nel breve periodo metodologie uniformi. Questo naturalmente rende più difficile convogliare in modo adeguato le risorse del sistema finanziario a supporto dei progetti legati alla sostenibilità.

La mancanza di uniformità nelle regole sull’informativa non finanziaria, si riflette anche sulle valutazioni che provider specializzati nel rilascio di rating ESG o di informazioni legate alle sostenibilità si trovano ad affrontare. A ciò si aggiunge l’adozione da parte di questi operatori del mercato di metodologie disomogenee di valutazione o di aggregazione dei dati che portano a difficoltà di confrontabilità e di valutazione da parte degli operatori finanziari che ne fanno uso.

In un rapporto dello IOSCO del novembre 2021[51], vengono identificate diverse problematiche in questo settore quali:

  1.   mancanza di chiarezza e allineamento sulle definizioni, anche su ciò che i rating o i prodotti di dati intendono misurare;
  2.   mancanza di trasparenza sulle metodologie alla base di questi rating o prodotti di dati;
  3.   ampia divergenza all’interno dell’industria dei prodotti di rating e dati ESG;
  4.   copertura non uniforme dei prodotti offerti, con alcune industrie o aree geografiche che beneficiano di una maggiore copertura rispetto ad altre, portando così a lacune per gli investitori che cercano di seguire determinate strategie di investimento;
  5.  preoccupazioni sulla gestione dei conflitti di interesse quando il fornitore di rating ESG e di prodotti di dati o un’entità strettamente associata al fornitore svolge servizi di consulenza per le società che sono oggetto di questi rating ESG o prodotti di dati; e
  6.  la comunicazione con le aziende che sono oggetto di rating ESG o prodotti di dati, identificata come un’area che merita ulteriore attenzione, data l’importanza di garantire che i rating ESG o altri prodotti di dati siano basati su informazioni valide.

Dopo aver condotto un’ampia indagine, lo IOSCO fornisce 11 raccomandazioni[52] di alto livello che potrebbero essere adottate dai regolatori e dagli operatori del mercato (info provider ESG e agenzie di rating ESG) al fine di permetterne uno sviluppo equilibrato ed omogeneo di questo particolare settore così importante per l’adeguato impiego delle risorse a sostegno di uno sviluppo sostenibile.

 

 

[1] Firmato il 22 aprile 2016 e ratificato dall’Unione Europea il 5 ottobre 2016.

[2] Cfr. D. Varani, D. Lunetta, D. Di Martino “Regolamentazione ESG: stato dell’arte e prospettive future”, Marzo 2022, in questa rivista.

[3] L’entrata in vigore delle modifiche recate dalla normativa delegata in commento è prevista, in particolare, il 1° agosto 2022.

[4] Difatti, sono interessati anche i servizi di investimento, anche a carattere previdenziale / assicurativo, pure interessati dall’emanazione di altri provvedimenti delegati che saranno esaminati nell’ambito di successivi scritti.

[5] Reperibile sul sito internet http://www.gsi-alliance.org.

[6] Cfr. http://www.assogestioni.it/articolo/mappa-trimestrale-del-risparmio-gestito-4deg-trim-2021.

[7]Un evento o una condizione di tipo ambientale, sociale o di governance che, se si verifica, potrebbe provocare un significativo impatto negativo effettivo o potenziale sul valore dell’investimento”.

[8]le problematiche ambientali, sociali e concernenti il personale, il rispetto dei diritti umani e le questioni relative alla lotta alla corruzione attiva e passiva”.

[9] Ovviamente ciò non significa che per ogni tipologia di prodotto finanziario esiste necessariamente un rischio di investimento legato a fattori ESG. Tuttavia, l’indagine circa la potenziale esistenza di rischi ESG deve essere necessariamente condotta e, in caso di esito negativo, effettuare la disclousure prevista all’art. 6 SFDR, esponendo la motivazione sul perché non si sono ritenuti rilevanti detti rischi.

[10] Cfr. D. Varani, D. Lunetta, D. Di Martino “Regolamentazione ESG: stato dell’arte e prospettive future”, Marzo 2022, in questa rivista.

[11] Prova ne sia il fatto che l’art. 6, paragrafo 1, del SFDR richiede ai partecipanti ai mercati finanziari che non ritengano rilevanti i rischi di sostenibilità per il prodotto finanziario di fornire nell’ambito della documentazione pre-contrattuale “una spiegazione chiara e concisa al riguardo”.

[12] Cfr. Regolamento delegato 1255/2021, art. 1, n. 3.

[13] Sul punto si veda IOSCO “Raccomandazioni su pratiche, politiche, procedure e informazioni relative alla sostenibilità nella gestione patrimoniale”, giugno 2021, “Le strutture di governance aiutano a identificare e valutare le opportunità e i rischi legati alla sostenibilità in modo coerente in tutta l’organizzazione. I consigli di amministrazione e l’alta dirigenza svolgono un ruolo fondamentale nel determinare le strategie, i piani aziendali e le offerte di prodotti di un asset manager. Questi includono l’identificazione dei rischi e delle opportunità legati alla sostenibilità nel breve e nel lungo periodo, la valutazione dell’impatto effettivo e potenziale di tali rischi e opportunità sulle strategie, sui piani aziendali e sui prodotti del gestore e la supervisione dei progressi dell’organizzazione verso gli obiettivi legati alla sostenibilità”, pag. 30 e ssg.

[14] Cfr. Regolamento delegato 1255/2021, art. 1, nn. 6 e 7.

[15] Cfr. anche il documento della Banca d’Italia dell’aprile 2022 “Aspettative di vigilanza sui rischi climatici e ambientali

[16] Anche attingendo ad un’amplissima e consolidata esperienza maturata da parte delle imprese che hanno aderito ai c.d. Sustainable Development Goals (“SDGs“) elaborati dall’ONU nell’ambito di “Agenda 2030”.

[17] Fra queste, si segnalano, MSCI ESG Research; Oekom Research; SAM; Vigeo Eiris, Moningstar – Sustainalytisc ecc…

[18] Grassetto aggiunto

[19] Grassetto aggiunto.

[20] Il riferimento è cioè ai partecipanti ai mercati finanziari che alla data di chiusura del bilancio superano i 500 dipendenti e le holding di grandi gruppi che alla data di chiusura del bilancio superano i 500 dipendenti.

[21] Tema sul quale si rimanda al precedente contributo degli scriventi su questa stessa rivista “Regolamentazione ESG: stato dell’arte e prospettive future” cit.

[22] La cui entrata in vigore è prevista, si ricorda, il prossimo 1° gennaio 2023.

[23] L’impegno diretto può essere particolarmente necessario in situazioni in cui il livello dei dati disponibili è insufficiente.

[24] Ricordiamo, infatti, che il regolamento SFDR introduce obblighi di trasparenza informativa su due livelli: entity level e product level.

[25] In vigore dal 31 dicembre 2022.

[26] Idem.

[27] Ovvero i prodotti che intendono promuovere, tra le altre, caratteristiche ambientali e/o sociali o una loro combinazione ex art. 8 SFDR.

[28] Ovvero i prodotti che hanno come obiettivi investimenti sostenibili ex art. 9 SFDR.

[29] ESMA, EBA e EIOPA

[30] Ora contenuti nell’ambito della bozza del Regolamento delgato emanato dalla Commissione Europea lo scorso 6 aprile 2022 ed in vigore dal prossimo 1° gennaio 2023.

[31] In tal caso l’obbligo di informativa decorre già dal 10 marzo 2021.

[32] Cfr. Allegato II RTS.

[33] Grassetto aggiunto.

[34] Sotto questo profilo le ESA’s chiariscono come: “i partecipanti ai mercati finanziari dovrebbero includere, come parte delle informazioni periodiche di reporting, un confronto tra le prestazioni del prodotto finanziario con quelle del benchmark di riferimento designato, per tutti gli indicatori di sostenibilità pertinenti per giustificare che il benchmark designato sia allineato alle caratteristiche ambientali o sociali del prodotto finanziario, o al suo obiettivo di investimento sostenibile”.

[35] Cfr. D. Varani, D. Lunetta, D. Di Martino cit.

[36] Ora recepiti dal Regolamento delegato della Commissione europea di cui si è detto.

[37] Adottati all’unanimità dal Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite nel 2011.

[38] Adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite svoltasi a Parigi il 10 dicembre 1948.

[39] Cfr. “Recommendations on Sustainability-Related Practices, Policies, Procedures and Disclosure in Asset Management”.

[40] Un prodotto include “fattori ESG” nel suo nome, ma i suoi obiettivi di investimento dichiarano solo che cerca di fornire un apprezzamento del capitale investendo principalmente in titoli azionari globali.

[41] Un prodotto sostiene di usare una strategia di investimento di screening negativo per escludere tutte le aziende che sono coinvolte nell’industria del petrolio e del gas, ma il portafoglio del prodotto di fatto detiene titoli di aziende dell’industria del petrolio e del gas.

[42] La consultazione si è chiusa l’11 marzo 2022 e la Consob ha già pubblicato le osservazioni pervenute.

[43] ASSOGESTIONI.

[44] Cfr. consideranda n. 32 della bozza di Regolamento delegato pubblicato dalla commissione europea il 6 aprile 2022

[45] Così nel Piano strategico 2022-2024

[46] Raccomendations of the TCFD (https://www.fsb-tcfd.org/recommendations/).

[47] https://www.ngfs.net/ngfs-scenarios-portal/.

[48] [Draft] IFRS S1 General Requirements for Disclosure of Sustainability – related Financial Information e [Draft] IFRS S2 Climate-related Disclosure.

[49]  Recepita in Italia con il D. Lgs. 254/2016, che introduce per imprese e gruppi di grandi dimensioni l’obbligo di presentare la dichiarazione non finanziaria. Essa riguarda le informazioni ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva. Il legislatore italiano attraverso l’emanazione del Decreto ha ampliato le fattispecie previste dalla Direttiva, dando la possibilità anche agli enti non obbligati, che predispongono volontariamente la dichiarazione non finanziaria, di apporre su detta dichiarazione la dicitura di conformità.

[50] La prima serie di standard dovrebbe essere adottata entro l’ottobre 2022.

[51] Environmental, Social and Governance (ESG) Ratings and Data Products Providers (FR/09-Novembre 2021)

[52] Le raccomandazioni, suddivise in 5 sezioni riguardano:

La sezione 1: possibili approcci normativi e di supervisione;

La sezione 2  i processi interni dei fornitori di rating ESG e di prodotti di dati;

La sezione 3: l’uso dei rating ESG e dei prodotti di dati;

Le sezioni 4 e 5: le interazioni dei fornitori di rating ESG e di prodotti di dati con le entità soggette a valutazione da parte dei fornitori di rating ESG e di prodotti di dati.

 

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