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L’esonero da ritenuta nei finanziamenti back-to-back in alcuni recenti orientamenti dell’Agenzia delle Entrate

29 Aprile 2020

Luca Rossi, Marina Ampolilla, Federico Ymir Lissoni, Facchini Rossi Michelutti Studio Legale Tributario

1. Premessa

Con il presente contributo si intendono esprimere alcune considerazioni di carattere critico in merito alle conclusioni a cui l’Amministrazione finanziaria è pervenuta in alcune recenti prese di posizione per quanto attiene specificamente all’ambito soggettivo di applicazione del disposto di cui all’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600che, come noto, in deroga al generale disposto di cui al comma 5 della predetta norma[1], prevede un regime di esenzione da ritenuta con riferimento agli interessi e agli altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine “erogati” alle “imprese” da determinati soggetti esteri[2].

Ci si riferisce, in particolare alla Risoluzione n. 76/E del 12 agosto del 2019 e alla Risposta n. 423 del 24 ottobre 2019, in cui l’Agenzia delle Entrate, analogamente a quanto avvenuto anche nell’ambito di una risposta inedita resa in relazione ad un’istanza di interpello presentata ai sensi dell’art. 2, D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 (c.d. “Interpello Nuovi Investimenti), ha affermato che al fine di verificare la sussistenza del requisito soggettivo cui è subordinata l’applicazione del regime di esenzione da ritenuta di cui all’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973, occorre avere riguardo esclusivamente al primo prenditore degli interessi.

In particolare, la fattispecie esaminata nell’ambito dell’interpello Nuovi Investimenti aveva ad oggetto un finanziamento a medio-lungo termine erogato, nell’ambito di un’acquisizione societaria, a una holding italiana da parte di una società statunitense facente parte del medesimo gruppo (e quindi da un soggetto privo dei requisiti per essere ammesso a fruire del regime di esenzione da ritenuta previsto dalla norma di cui si discute). La particolarità della fattispecie posta al vaglio dell’Agenzia delle Entrate era, tuttavia, rappresentata dal fatto che la predetta società statunitense aveva reperito le risorse necessarie all’erogazione del finanziamento infragruppo mediante un finanziamento di pari importo dalla stessa contratto con la stabile organizzazione britannica di una banca americana e che tale ultimo finanziamento risultava essere del tutto speculare (in termini di tassi, tempi e condizioni di rimborso) rispetto al finanziamento erogato alla società italiana dalla società statunitense, circostanze – queste – che avevano indotto l’istante, del tutto correttamente, a ritenere che tale ultima società si configurasse come “struttura passante”.

Con riferimento alla fattispecie prima descritta, l’Amministrazione finanziaria ha rigettato la soluzione proposta dall’istante che riteneva applicabile l’esonero da ritenuta ai sensi dell’art. 26, comma 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 facendo riferimento alla società estera percettrice finale del reddito (i.e., la stabile organizzazione britannica di una banca americana), sostenendo che la disposizione in commento non consente “di individuarne l’ambito soggettivo di applicazione procedendo secondo la logica di “beneficiario effettivo””, dovendosi fare, viceversa, riferimento “al soggetto (materialmente) percettore degli interessi”[3]. In maggiore dettaglio, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate l’impossibilità di adottare un approccio c.d. look through al fine di verificare se una determinata fattispecie possa o meno essere ammessa a fruire della disciplina di cui all’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973, sarebbe preclusa sia dalla formulazione letterale della disposizione, la quale rivolgendosi ai “percettori” del reddito non consentirebbe di estendere l’esenzione ai beneficiari effettivi degli interessi che non siano “anche” i percettori diretti degli stessi sia dalla ratio della norma in parola. Né – a detta dell’Agenzia delle Entrate – si potrebbe attribuire portata generale nell’interpretazione ed applicazione della norma in esame ai chiarimenti forniti nell’ambito della Circolare n. 6/E, del 30 marzo 2016, posto che tali chiarimenti sarebbero stati “resi con riferimento a un contesto peculiare di operatività” avente ad oggetto le c.d. strutture IBLOR (Italian Bank Lender of Record).

2. Considerazioni critiche circa le argomentazioni addotte dall’Amministrazione finanziaria nei suddetti documenti di prassi

Di seguito si illustrano le ragioni per cui si ritiene che la presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria volta ad escludere l’applicabilità di un approccio c.d. look through al fine di verificare la sussistenza del requisito soggettivo a cui è subordinata l’applicazione del regime di esenzione da ritenuta di cui all’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973, non sia condivisibile in quanto non rispondente alle finalità che il legislatore intendeva perseguire allorché ha introdotto il regime di esenzione da ritenuta di cui si discute, oltre che inspiegabilmente in contrasto con quanto dalla stessa Agenzia delle Entrate affermato nella Circolare n. 6/E, citata[4]. Peraltro, come sarà meglio illustrato di seguito, tale interpretazione risulta potenzialmente idonea a favorire l’adozione di strutture “abusive” che formalmente rispettano i requisiti previsti dall’art. 26, comma 5-bis del D.P.R. n. 600/1973, ma che nella sostanza, estendono il beneficio dell’esonero anche a soggetti esclusi dall’ambito di applicazione della norma.

2.1 L’asserita incompatibilità di un approccio c.d. look through con la letteralità della norma

Come già rilevato, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria il primo ostacolo ad un’interpretazione del requisito soggettivo di cui all’art. 26, comma 5-bis, fondata su un approccio c.d. look through e sull’applicazione del concetto di beneficiario effettivo deriverebbe dalla formulazione letterale della norma in parola.

In maggiore dettaglio, l’Amministrazione finanziaria nei documenti di prassi in commento ha posto in risalto il fatto che il comma 5-bis introduce una deroga alla disciplina generale di cui all’art. 26, comma 5, che prevede che siano assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta i redditi di capitale corrisposti da soggetti residenti e “percepiti” da soggetti non residenti e privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato. La predetta locuzione, ad avviso dell’Agenzia delle Entrate, indurrebbe a ritenere che, al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime di esenzione da ritenuta di cui si discute, si debba fare riferimento esclusivamente alle caratteristiche soggettive del “percettore diretto degli interessi”; e ciò anche laddove fosse accertato che tale soggetto non coincide con il reale possessore (beneficiario effettivo) del reddito, essendo contrattualmente obbligato, per effetto dell’implementazione di finanziamenti back to back, a retrocedere quanto incassato a favore di un soggetto terzo.

L’argomento squisitamente letterale utilizzato dall’Amministrazione finanziaria appare privo di pregio ove si consideri che la stessa espressione si rinviene anche nella generalità delle Convenzioni contro le doppie imposizioni conformi al modello OCSE[5] il cui obiettivo, analogamente a quello perseguito dal legislatore mediante l’introduzione del regime di esenzione da ritenuta di cui all’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973, è quello di pervenire ad una eliminazione della doppia imposizione giuridica sui flussi di interessi transfrontalieri. Ed infatti, sebbene il testo della Convenzione letteralmente si riferisca agli interessi “pagati” tra soggetti dei due Stati contraenti, al fine di prevenire possibili abusi, il riconoscimento dei benefici convenzionali è subordinato al fatto che il formale “percettore” del reddito ne sia anche l’effettivo beneficiario ossia che coincida con il soggetto che abbia la reale disponibilità del reddito e a cui tale reddito risulti fiscalmente imputabile[6]. In caso contrario, infatti, ossia laddove il percettore del reddito fosse contrattualmente obbligato a ritrasferire quanto percepito a favore di un terzo soggetto, non vi sarebbe l’esigenza di prevenire alcuna forma di doppia imposizione in capo al diretto percettore degli interessi, posto che gli interessi attivi sarebbero controbilanciati da uno speculare flusso di interessi passivi a favore del beneficiario ultimo con un effetto sostanzialmente neutro in capo al soggetto “interposto”[7].

Tale soluzione che privilegia il riferimento al beneficiario effettivo piuttosto che al semplice percettore del reddito, oltre che in linea con l’applicazione di analoghe forme di esonero da imposizione alla fonte di matrice convenzionale, è, peraltro, l’unica che consente di rispettare il generale principio di capacità contributiva che postula che la tassazione si verifichi in capo al soggetto effettivo possessore del reddito; e ciò in linea con quanto previsto dallo stesso art. 1 del T.U.I.R. che identifica, per l’appunto, nel possesso del reddito, inteso come materiale disponibilità del medesimo, il presupposto dell’imposizione.

Ma ciò che maggiormente rileva in questa sede e che vale la pena di sottolineare è che, secondo quanto chiarito dallo stesso Commentario al Modello OCSE, i benefici convenzionali devono essere riconosciuti al beneficiario effettivo degli interessi anche laddove questi ne sia solo l’indiretto percettore, come accade in tutte le ipotesi in cui il pagamento avvenga per mezzo di un intermediario[8], con ciò confermando che l’utilizzo delle locuzioni “pagato” e “percettore” ricomprendono anche quei soggetti che “percepiscono” indirettamente i redditi di cui si discute.

Tale impostazione risulta perfettamente in linea con l’interpretazione già accolta, fin da epoca risalente e ribadita in più occasioni, dall’Amministrazione finanziaria con riferimento alla spettanza dei benefici convenzionali.

Sul punto, si richiama, a titolo esemplificativo, quanto affermato nella Risoluzione n. 12/431 del 7 maggio 1987 in cui con riferimento al caso di dividendi distribuiti da una società italiana a una banca inglese la quale deteneva le azioni della società pagatrice dei dividendi in qualità di nominee di un istituto bancario americano è stata disconosciuta l’applicabilità della Convenzione contro le doppie imposizioni in essere tra l’Italia e lo Stato di residenza del primo prenditore del reddito (i.e. il Regno Unito). Alla base di tale decisione vi era il fatto che il diretto percettore dei dividendi non poteva essere considerato beneficiario effettivo del flusso reddituale in parola “svolgendo una funzione di mera intermediazione” circostanza questa che era di per sé idonea a escludere il verificarsi di una doppia imposizione giuridica in capo alla predetta banca inglese, in quanto i redditi in parola non subivano alcuna imposizione nello Stato di residenza del diretto percettore. L’Amministrazione finanziaria ha, pertanto, concluso che nel caso di specie si dovesse applicare la Convenzione in essere tra l’Italia e gli Stati Uniti quale stato di residenza del beneficiario effettivo del flusso.

Ad analoghe conclusioni, l’Amministrazione finanziaria è poi pervenuta anche nella Risoluzione n. 86/E del 12 luglio 2006. In tale sede, con riferimento ad una fattispecie in cui una società statunitense operava come intermediaria ai fini della conclusione di contratti di sub-licenza aventi ad oggetto dei brevetti, provvedendo a retrocedere ai relativi proprietari (licensors) le royalties ad essa corrisposte dai sublicenziatari (tra cui rientravano soggetti residenti in Italia), è stata negata l’applicazione della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e gli Stati Uniti in considerazione del fatto che la società statunitense, pur essendo il diretto percettore delle royalties, in ragione della sua funzione di mero soggetto passante del reddito era sprovvista della qualifica di beneficiario effettivo del flusso reddituale che non era, quindi, assoggettato a tassazione in capo ad essa negli Stati Uniti; e ciò con la conseguenza che in capo alla società statunitense non poteva in alcun modo ritenersi verificata una doppia imposizione giuridica tale da giustificare l’applicazione del Trattato contro le doppie imposizioni in vigore tra il suo Stato di residenza e lo Stato della fonte.

Anche in quel caso, però, l’Amministrazione finanziaria dopo aver escluso l’applicabilità della Convenzione con lo Stato di residenza del soggetto che agiva in qualità di mero intermediario, ha ricordato la possibilità per i sostituti d’imposta di valutare – al ricorrere di tutti i requisiti – di riconoscere comunque l’esonero da imposizione in base alla Convenzione stipulata dall’Italia con i Paesi di residenza dei licensors che rivestivano la qualità di beneficiari effettivi dei redditi corrisposti dai sublicenziatari italiani.

2.2 L’asserita incompatibilità di un approccio c.d. look through con la ratio della norma

Parimenti non si comprende per quale ragione l’adozione di un approccio look through al fine di verificare l’avvenuta integrazione del presupposto soggettivo da cui dipende l’applicabilità del regime di esenzione da ritenuta di cui all’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973, sarebbe preclusa dalla ratio sottesa alla norma in esame.

In realtà, sembrerebbe vero piuttosto il contrario. A tale riguardo si rileva che, come chiaritonella relazione illustrativa all’art. 22 del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, a mezzo del quale è stato introdotto il regime di esenzione di cui si discute, con tale disposizione “si intende eliminare il rischio di doppia imposizione giuridica, che economicamente risulta di norma traslato sul debitore, favorendo l’accesso delle imprese italiane a costi competitivi anche a fonti di finanziamento estere”. Come evidenziato in precedenza, tuttavia, laddove l’immediato percettore degli interessi sia tenuto – in virtù di un separato accordo – a retrocedere quanto incassato a favore di un terzo, in capo al soggetto interposto non può verificarsi per definizione nessun fenomeno di doppia imposizione che necessiti di essere eliminato per effetto del riconoscimento dell’applicazione del regime di esenzione da ritenuta in parola, mentre è evidente che la doppia imposizione (che la norma intende prevenire) è destinata a verificarsi in capo al beneficiario effettivo che subisce la tassazione sui relativi interessi[9].

Ma v’è di più. L’interpretazione avallata dall’Amministrazione finanziaria nelle pronunce in commento non solo non appare in linea con la ratio della disposizione che – come innanzi rilevato – era quella di evitare fenomeni di doppia imposizione, ma rischia addirittura di incentivare il ricorso (rectius: ritorno) a strutture fronted potenzialmente suscettibili di dare luogo a fenomeni abusivi. Ed infatti, ove si seguisse l’impostazione accolta dall’Amministrazione finanziaria, secondo cui ai fini del riconoscimento del regime di esenzione occorre fare riferimento unicamente al “percettore diretto” degli interessi, si potrebbe giungere a sostenere che laddove il percettore si qualifichi sotto il profilo soggettivo per l’esonero ai sensi dell’art. 26, comma 5-bis, rientrando in una delle categorie ivi menzionate, lo stesso dovrebbe continuare a beneficiare dell’esonero da ritenuta benché retroceda gli interessi incassati a favore di un terzo soggetto che – nell’ipotesi in cui avesse percepito direttamente i suddetti interessi – non avrebbe avuto i requisiti per beneficiare dell’esonero[10].

È evidente la pericolosità di un simile ragionamento, a meno che non si voglia sostenere (ma su quali basi?) che l’identità del beneficiario effettivo del reddito debba venire in rilievo per negare l’applicazione dell’esonero laddove gli interessi vengano ritrasferiti dal percettore a favore di un soggetto privo dei requisiti per godere dell’esenzione, ma che non possa viceversa essere valorizzata per riconoscere l’esonero da imposizione al beneficiario effettivo del reddito che non ne sia anche il diretto percettore.

3. Incompatibilità della posizione espressa dall’Amministrazione finanziaria con i chiarimenti forniti nella Circolare n. 6/E del 30 marzo 2016 in relazione alle c.d. “strutture IBLOR”

Come già rilevato, l’Agenzia delle Entrate nei documenti di prassi in commento nega la possibilità di estendere alla fattispecie in esame i chiarimenti forniti nell’ambito della Circolare n. 6/E, citata, in quanto gli stessi sarebbero stati resi con riguardo ad un “contesto peculiare di operatività” e, in particolare nell’ottica di verificare la sostenibilità delle contestazioni formulate dall’Amministrazione finanziaria e aventi ad oggetto la violazione degli obblighi di sostituzione tributaria con riferimento, tra l’altro, al caso dei finanziamenti c.d. “IBLOR opachi”.

Per verificare se sussista realmente una differenza sostanziale tra le fattispecie analizzate nella menzionata Circolare (i.e., le strutture IBLOR) e i contratti di sub-participation utilizzati nei casi oggetto delle successive pronunce si ritiene opportuno descrivere sinteticamente le forme, importate in Italia dalla prassi internazionale, attraverso cui di norma avviene la sindacazione e la successiva circolazione del prestito.

Innanzitutto, si osserva che il ricorso a forme di sub-participation agreement può avvenire fin dal momento dell’erogazione del prestito oppure in un momento successivo al fine di consentire alla banca finanziatrice di smobilizzare il proprio credito. Nel primo caso, la società finanziata (borrower) stipula un contratto di finanziamento con un unico intermediario che agisce in qualità di banca “fronter” la quale a sua volta stipula un separato accordo (participation agreement) con uno o più soggetti (participant) i quali si impegnano a mettere a disposizione della banca fronter le somme necessarie per l’erogazione del prestito a condizioni speculari rispetto a quelle concordate dalla banca fronter con il borrower. Nel secondo caso, l’accordo di sub-participation è utilizzato come alternativa sostanzialmente equivalente ad altre forme di circolazione del credito quali l’assignment e la novation. La principale differenza tra l’accordo di sub-participation e le altre forme di circolazione del credito consiste nel fatto che la prima ha una rilevanza meramente interna destinata a produrre effetti solo fra banca cedente e cessionaria, mentre la seconda ha una rilevanza esterna, destinata a produrre effetti anche nei confronti del debitore.

All’interno del fenomeno degli accordi di sub-participation è possibile poi distinguere due diversi tipi di accordi: il risk sub-participation nel quale si prende parte solo alla ripartizione del rischio e il funded sub-participation, in virtù della presenza o meno del versamento di fondi da parte della nuova banca coinvolta. Nel primo caso prevale il profilo della garanzia, in quanto in caso di mancato pagamento da parte del borrower la banca (che rimane formalmente creditrice del borrower) può rivalersi sul participant sul quale ricade il rischio dell’operazione di finanziamento. Nel secondo caso, la garanzia è accompagnata anche da un cash collateral sicché l’operazione consente alla banca di monetizzare anticipatamente il credito[11]. In entrambi i casi, tuttavia, la banca (che pur mantiene il rapporto contrattuale diretto con il borrower) non sopporta più il rischio del finanziamento che viene spostato sul participant. Ciò in quanto, il contratto stipulato tra la banca ed il participant prevede che la banca sia tenuta a restituire la provvista ricevuta (nel caso di funded participation) e a pagare i relativi gli interessi solo nella misura di quanto ricevuto dal borrower.

Da quanto sopra evidenziato risulta evidente che gli schemi operativi prima descritti, limitatamente alle fattispecie funded[12], non sono affatto dissimili dalle strutture IBLOR analizzate dall’Agenzia delle Entrate nella citata Circolare n. 6/E. La stessa Agenzia, nel descrivere le fattispecie riconducibili allo schema dei cd. Italian Bank Lender of Record o IBLOR osserva che tale schema si sostanzia “in una struttura di fronting rappresentata da una banca residente o localizzata in Italia per mezzo di una stabile organizzazione (bilateral lender) che eroga un finanziamento a favore di una società italiana, mentre altri operatori (banche, società finanziarie, fondi specializzati, etc.) partecipano al rischio di credito, sottoscrivendo con il bilateral lender appositi accordi (“Credit Support Agreement”), in base ai quali forniscono garanzia e consegnano al bilateral lender una somma di denaro, il cui rimborso e la cui remunerazione è collegata (nei tempi e nella misura) al rimborso (capitale) e al pagamento di interessi (e commissioni) relativi al finanziamento (“Credit agreement”) erogato al soggetto finanziato”.

Per quanto attiene specificamente agli obblighi di sostituzione tributaria, si osserva che nel caso dei finanziamenti c.d “IBLOR opachi” il borrower non provvedeva ad applicare alcuna ritenuta in uscita sugli interessi relativi al contratto di finanziamento; e ciò in quanto veniva attribuita rilevanza solo al rapporto in essere con il bilateral lender residente[13]. Analogamente non erano assoggettate a ritenuta neanche le somme dovute dal bilateral lender ai CSP non residenti. Ed infatti, gli interessi sui depositi bancari godevano del regime di extra-territorialità di cui all’art. 23, comma 1, lett. b), del T.U.I.R., mentre le commissioni sulle garanziegodevano del regime di esenzione di cui all’art. 26-bis, comma 1, D.P.R. n. 600/1973[14].

Ebbene, l’Amministrazione finanziaria, provvedendo ad applicare in funzione antielusiva il disposto di cui all’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973[15], in sede di accertamento, ha contestato la violazione degli obblighi di sostituzione tributaria da parte dei soggetti finanziati residenti. In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che il bilateral lender, essendo obbligato contrattualmente a retrocedere ai credit support providers esteri le somme ad esso corrisposte dal borrower a titolo di interessi, dovesse essere considerato come un “mero intermediario sostanziale” preposto all’incasso del flusso reddituale la cui materiale disponibilità era da ascrivere ai CSP; e ciò con la conseguenza che ilborrower avrebbe dovuto applicare le disposizioni in materia di ritenute sugli interessi come se gli stessi fossero pagati direttamente a favore dei CSP i quali rappresentano, dunque, gli effettivi beneficiari degli interessi corrisposti in base al finanziamento IBLOR. A sostegno della tesi secondo cui il bilateral lender agiva come “mero intermediario” (senza, quindi, assumere il rischio dell’operazione che era viceversa trasferito ai CSP), l’Amministrazione finanziaria evidenziava la circostanza che i contratti di finanziamento contemplavano generalmente clausole di conditionality secondo cui i pagamenti dovuti dal bilateral lender a favore dei CSP a titolo di interessi e/o rimborso del capitale, erano subordinati al fatto che il bilateral lender avesse preventivamente incassato le medesime somme dal borrower.

Ebbene tali clausole, non sono peculiari dei soli finanziamenti IBLOR, ma si rinvengono di norma anche negli accordi di sub-participation essendo strumentali al conseguimento dello scopo tipico di tali accordi che consiste – come già detto – nel trasferimento del rischio di credito dal lender al sub-participant. Ma v’è di più, negli accordi di sub-participation il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento instaurato tra la banca fronter e il borrower e quello che intercorre tra la banca ed il sub-participant è finanche più marcato ed esplicito di quanto non avvenisse in passato nelle strutture IBLOR. Infatti, non solo spesso i due finanziamenti sono esattamente speculari (nei tassi e nelle scadenze, senza che venga prevista una remunerazione per la banca fronter), ma l’identità dell’ultimo beneficiario degli interessi viene espressamente comunicata al borrower proprio per mettere tale soggetto nella condizione di applicare correttamente le ritenute alla fonte.

Ciò premesso, si rileva che nella Circolare n. 6/E, citata, l’Agenzia delle Entrate, ha affermato la non sostenibilità e la conseguente necessità di abbandonare le contestazioni aventi ad oggetto la violazione degli obblighi di sostituzione tributaria formulate con riferimento, tra l’altro, alle strutture IBLOR nella misura in cui fosse stato appurato che i percettori finali del flusso reddituale (i.e. i credit support providers non residenti) soddisfacevano i requisiti soggettivi per fruire del regime di esenzione da ritenuta di cui all’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973.

Ebbene, posto che come prima illustrato le strutture IBLOR non presentano caratteristiche peculiari che consentano di distinguerle rispetto alla generalità degli accordi di sub-participation, a meno di non ipotizzare un’inammissibile lesione del generale principio di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, non si comprende perché l’identità del beneficiario ultimo degli interessi possa essere presa in considerazione dall’Amministrazione finanziaria nell’ambito dell’attività di accertamento per abbandonare la propria pretesa impositiva riconoscendo l’applicazione dell’esonero previsto dall’art. 26, comma 5-bis del D.P.R. n. 600/1973 anche nei confronti di soggetti che percepiscono solo indirettamente gli interessi pagati dal borrower, ma non possa viceversa essere fatta valere dal contribuente per disapplicare – alle medesime condizioni – la ritenuta alla fonte.

Occorre, inoltre, evidenziare che, nella predetta Circolare, l’Amministrazione finanziaria prende in considerazione, oltre alle strutture c.d. IBLOR, il caso dei finanziamenti c.d. “back to back” veicolati per il tramite di consociate residenti in Pasi UE. Anche in questo caso, l’Amministrazione finanziaria, da un lato, “conferma la sostenibilità delle contestazioni relative all’assenza della qualifica di “beneficiario effettivo” o la natura di interposto reale in capo al predetto veicolo, operate sulla base di un’analisi caso per caso ed avente ad oggetto, principalmente, la natura back to back dei finanziamenti, ad esempio in termini di importo, condizioni, tassi, termini di pagamento e clausole non recourse”, ma, dall’altro, rileva la necessità di abbandonare eventuali contestazioni nella misura in cui fosse stato appurato che il soggetto percettore finale del flusso reddituale era in possesso dei requisiti soggettivi richiesti dall’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973.

In questa seconda fattispecie è evidente che l’approccio look through può essere utilizzato, per escludere la ritenuta alla fonte, non solo quando il soggetto “interposto” è un intermediario residente che, in quanto tale, non avrebbe subito alcuna ritenuta, ma può essere applicato anche quando il primo prenditore degli interessi non potrebbe beneficiare di alcuna forma di esonero. Nel caso esaminato nella Circolare, infatti, la consociata non residente non aveva accesso all’esonero in base alla Direttiva Interessi e Royalties in quanto non si qualificava come beneficiaria effettiva dei flussi di interessi percepiti. Eppure l’Amministrazione finanziaria riconosce l’applicabilità dell’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 con riferimento all’indiretto “percettore” degli interessi. Non si vede in che cosa tale fattispecie si differenzi da quella esaminata nell’interpello Nuovo Investimenti. Anche in quel caso, infatti la holding italiana aveva ricevuto un finanziamento da una società statunitense, facente parte del medesimo gruppo, priva dei requisiti per essere ammessa a fruire del regime di esenzione, la quale aveva reperito le risorse necessarie all’erogazione del finanziamento infragruppo mediante un finanziamento di pari importo dalla stessa contratto con la stabile organizzazione britannica di una banca americana, ovvero con un soggetto che integrava i requisiti soggettivi per godere dell’esonero da ritenuta ai sensi dell’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973. Coerentemente con le indicazioni riportate nella Circolare n. 6/E del 2016, la natura “passante” della consociata statunitense era stata accertata osservando che i due finanziamenti avevano condizioni esattamente speculari (in termini di tassi, tempi e condizioni di rimborso). Stante l’identità delle due fattispecie ci saremmo attesi che l’Amministrazione finanziaria confermasse le conclusioni esposte nella Circolare n. 6/E del 2016. Del tutto insufficienti, infine, appaiono le motivazioni con cui l’Agenzia cerca di giustificare la deviazione rispetto ai suoi precedenti, posto che non viene chiarito sotto quale profilo le vicende oggetto delle più recenti pronunce si differenzierebbero rispetto alle fattispecie analizzate nella predetta Circolare.

 


[1] Il comma 5 dell’art. 26, D.P.R. n. 600/1973 prevede che siano assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di imposta nella misura (a partire dal 1°luglio 2014) del 26 per cento i redditi di capitale corrisposti da soggetti residenti a soggetti non residenti nel territorio dello Stato. Resta ferma l’applicazione della ritenuta in misura ridotta prevista dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, ove applicabili.

[2] Più in dettaglio, il comma 5-bis dell’art. 26, D.P.R. n. 600/1973, così come modificato, da ultimo, dall’art. 17, comma 2, D.L. 14 febbraio 2016, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla Legge 8 aprile 2016, n. 49, dispone che: “Ferme restando le disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 la ritenuta di cui al comma 5 non si applica agli interessi e altri proventi derivanti da finanziamenti a medio e lungo termine alle imprese erogati da enti creditizi stabiliti negli Stati membri dell’Unione europea, enti individuati all’articolo 2, paragrafo 5, numeri da 4) a 23), della direttiva 2013/36/UE, imprese di assicurazione costituite e autorizzate ai sensi di normative emanate da Stati membri dell’Unione europea o investitori istituzionali esteri, ancorché privi di soggettività tributaria, di cui all’articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, soggetti a forme di vigilanza nei paesi esteri nei quali sono istituiti”.

[3] L’Amministrazione finanziaria, dopo aver negato l’applicabilità dell’esonero ai sensi dell’art. 26, comma 5-bis del D.P.R. n. 600/1973, si preoccupa di fare salva la possibilità di verificare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della ritenuta convenzionale prevista dall’art. 11, par. 2, della Convenzione contro le doppie imposizioni in essere tra l’Italia e gli Stati Uniti. Tale precisazione appare di dubbia rilevanza alla luce delle peculiarità del caso esaminato, essendo evidente – stante l’esatta specularità dei due finanziamenti che relega la consociata statunitense al ruolo di mero soggetto “passante” – che tale società non avrebbe potuto qualificarsi come effettivo beneficiario del flusso reddituale alla stessa corrisposto dalla società italiana finanziata.

[4] Sul punto, si evidenzia che tale soluzione interpretativa si pone, peraltro, in aperto contrasto con il pensiero espresso sul punto dalla dottrina (in tal senso, cfr., tra l’altro: L. Miele e A. Fasolino “Esenzione dalle ritenute su interessi da finanziamenti e principio del beneficiario effettivo”, in Corriere Tributario, n. 11/2019; e M. Gusmeroli, “Questioni aperte in tema di esenzione su interessi da finanziamenti a medio e lungo termine”, in Bolletino Tributario, n. 1/2017), nonché con le conclusione a cui è pervenuta la Commissione Tributaria Provinciale di Milano nella recente sentenza, 11 novembre 2019, n. 4708 ove, pronunciandosi con riferimento ad una fattispecie in cui l’Amministrazione finanziaria aveva negato la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del regime di esenzione da ritenuta di cui all’art. 26 comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973 in ragione del fatto che il primo prenditore degli interessi non soddisfaceva (a differenza del percettore finale del flusso reddituale) i requisiti soggettivi richiesti dalla norma in parola, i Giudici di prime cure hanno affermato che “la circostanza che il finanziamento sia diretto o mediato, non appare rilevante atteso che la ratiodella norma è quella di evitare una doppia imposizione e di agevolare il finanziamento all’estero delle imprese italiane”; è stato quindi ritenuto legittimo adottare un approccio look through al fine di verificare la sussistenza del requisito soggettivo a cui è subordinata l’applicazione del regime di esenzione.

[5] L’art. 11 del Modello di Convenzione OCSE, trattando specificamente della ripartizione della potestà impositiva tra Stato di residenza e Stato della fonte, in materia di interessi prevede che: “1 Interest arising in a Contracting State and paid to a resident of the other Contracting State may be taxed in that other State. 2. However, interest arising in a Contracting State may also be taxed in that State according to the laws of that State, but if the beneficial owner of the interest is a resident of the other Contracting State, the tax so charged shall not exceed 10 per cent of the gross amount of the interest.” Quanto sopra esposto risulta ancora più evidente nel caso dei Trattati contro le doppie imposizioni in essere tra l’Italia e Stati quali, ad esempio: la Francia, la Germania, il Regno Unito, i Paesi Bassi e la Cina il cui articolo 11, trattando specificamente della ripartizione della potestà impositiva tra Stato di residenza e Stato della fonte, in materia di interessi prevede che: “1 Interest arising in a Contracting State and paid to a resident of the other Contracting State may be taxed in that other State. 2. However, interest arising in a Contracting State may also be taxed in that State according to the laws of that State, but if the recipient is the beneficial owner of the interest the tax so charged shall not exceed 10% of the gross amount of the interest.”

[6] In proposito, al paragrafo 9 del Commentario all’art. 11 del Modello di Convenzione OCSE si precisa che “The requirement of beneficial owner was introduced in paragraph 2 of Article 11 to clarify the meaning of the words “paid to a resident” as they are used in paragraph 1 of the Article. It makes plain that the State of source is not obliged to give up taxing rights over interest income merely because that income was paid direct to a resident of a State with which the State of source had concluded a convention”.

[7] Il paragrafo 10 del commentario all’art. 11 del Modello di Convezione di OCSE in proposito afferma che “Where an item of income is paid to a resident of a Contracting State acting in the capacity of agent or nominee it would be inconsistent with the object and purpose of the Convention for the State of source to grant relief or exemption merely on account of the status of the direct recipient of the income as a resident of the other Contracting State. The direct recipient of the income in this situation qualifies as a resident but no potential double taxation arises as a consequence of that status since the recipient is not treated as the owner of the income for tax purposes in the State of residence”.

[8] Cfr. paragrafo 11 del commentario all’art. 11 del Modello di Convenzione di OCSE ove si osserva che “Subject to other conditions imposed by the Article and the other provisions of the Convention, the limitation of tax in the State of source remains available when an intermediary, such as an agent or nominee located in a Contracting State or in a third State, is interposed between the beneficiary and the payer but the beneficial owner is a resident of the other Contracting State”.

[9] In tal senso cfr., L. Miele e A. Fasolino “Esenzione dalle ritenute su interessi da finanziamenti e principio del beneficiario effettivo”, in Corriere Tributario, n. 11/2019.

[10] In questo senso si segnala la Risposta n. 423 del 24 ottobre 2019. Il caso posto al vaglio dell’Agenzia delle Entrate aveva ad oggetto una fattispecie in cui una banca olandese (i.e. un soggetto in possesso dei requisiti per fruire del regime di esenzione da ritenuta previsto dall’art. 26, comma 5-bis, D.P.R. n. 600/1973) aveva erogato un finanziamento a medio-lungo termine a una società italiana e, successivamente, con riferimento ad una quota parte del finanziamento in parola, aveva concluso un contratto di sub-participation con una società di cartolarizzazione fiscalmente residente in Irlanda la quale aveva reperito le risorse necessarie per la conclusione del sub-participation per il tramite di finanziamenti alla stessa erogati da alcuni Lender esteri. In particolare, l’istante aveva chiesto all’Amministrazione finanziaria di chiarire se, con riferimento agli interessi riferibili proporzionalmente alla quota parte del finanziamento oggetto del contratto di sub-participation, la sussistenza dei presupposti di ordine soggettivo per l’applicazione del regime di esenzione andasse verificata con riferimento alla società irlandese (a cui la banca olandese era tenuta a retrocedere gli interessi in parola) procedendo, in particolare, a verificare: (i) se la stessa potesse essere considerata quale beneficiario effettivo del flusso, benché i fondi utilizzati per la conclusione del contratto di sub-participation fossero stati presi ulteriormente a prestito presso due Lender esteri; e (ii) nell’ipotesi in cui tale società fosse stata riconosciuta beneficiaria effettiva degli interessi, se la stessa potesse beneficiare dell’esenzione in qualità di “investitore istituzionale”. Ebbene, in risposta al quesito posto dalla banca olandese, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che, a prescindere dal fatto che per effetto dell’avvenuta conclusione dell’accordo di sub-participation la banca olandese fosse tenuta a retrocedere a favore della società irlandese una quota parte degli interessi alla stessa corrisposti dalla società italiana finanziata, l’accertamento in merito alla sussistenza del requisito soggettivo di cui all’art. 26, comma 5-bis, dovesse continuare a essere operato avendo riguardo esclusivamente al primo prenditore (i.e., la banca olandese) essendo quest’ultimo “l’unico percettore dell’intera quota di interessi maturata a carico dell’impresa italiana”; e ciò sebbene nel caso in esame fosse acclarato che, per la quota parte del finanziamento oggetto del contratto di sub-participation, la banca olandese avesse perso la qualifica di beneficiaria effettiva degli interessi. Ma ciò che preme rilevare è che nella sua risposta l’Agenzia delle Entrate abbia ritenuto del tutto superfluo – benché la questione formasse oggetto di uno specifico quesito del contribuente – accertare se la società irlandese soddisfacesse i requisiti soggettivi per beneficiare dell’esonero, con ciò confermando l’impostazione che attribuisce esclusivo rilievo al percettore degli interessi (e non anche al beneficiario effettivo).

[11] Sia l’IBLOR sia gli accordi di sub-participation di cui si discute sono funded, ossia presuppongono il versamento di una somma da parte del participant a titolo di cash collateral ovvero sulla base di un separato contratto di finanziamento stipulato tra il participant e la banca fronter.

[12] Nelle fattispecie unfunded dovrebbe essere improbabile che la banca fronter perda la qualifica di beneficiario effettivo a favore del sub-participant in quanto il corrispettivo retrocesso al sub-participant per la prestazione della garanzia sarà presumibilmente inferiore all’interesse incassato, venendo così meno la specularità dei flussi.

[13] Nel caso dei finanziamenti c.d. “IBLOR trasparenti”, invece, il borrower, essendo a conoscenza dell’identità dei credit support providers (in virtù del fatto che il bilateral lender era obbligato contrattualmente a comunicare al borrower l’identità dei CSP e la quota di interessi spettanti a ciascuno di essi in base al funding agreement), provvedeva ad applicare la ritenuta di cui all’art. 26, comma 5, D.P.R. n. 600/1973 avendo riguardo all’identità dei CSP e considerando, quindi, la banca fronter come un mero intermediario all’incasso per conto dei credit support providers.

[14] Ciò a condizione che le stesse fossero corrisposte a soggetti white list di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 239/1996.

[15] L’art. 37, comma 3, D.P.R. n. 600/1973 dispone che: “in sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.

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